Dall’aumento delle spese militari Nato alla Global minimum tax: come Trump sigla nuovi accordi con Europa e Cina
- Postato il 2 luglio 2025
- Business
- Di Forbes Italia
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Prima della riunione dell’Alleanza Atlantica, Washington e Pechino hanno annunciato la firma di un nuovo protocollo che rafforza l’accordo quadro sottoscritto a maggio a Ginevra, il quale aveva temporaneamente sospeso i dazi reciproci e, in particolare, il dazio del 150% sulle merci cinesi importate.
La carenza di terre rare, che aveva costretto alla chiusura temporanea uno stabilimento della Ford a Chicago per l’assenza di magneti, ha raffreddato i toni bellicosi di Trump, risuonati nel discorso d’insediamento contro il suo principale nemico: la Cina. La dipendenza dell’industria americana da minerali strategici ha smascherato la tigre di carta, Trump: forte con i deboli (l’UE), debole con i forti (la Cina). Tanto da indurlo ad annunciare sui social di aver appena firmato l’accordo quadro.
L’ignoranza dell’amministrazione americana riguardo alle esigenze produttive dei grandi colossi industriali, come Ford, ha decretato la fine della guerra dei dazi indiscriminata. Trump e i suoi sodali farebbero bene a riflettere sulle parole del prof. Luigi Einaudi, tratte dalle Prediche Inutili del 1947: “conoscere per deliberare”, pubblicate all’indomani dell’uscita dell’Italia dalla guerra. Mai parole sembrano più illuminanti di fronte al fragore con cui Trump brandisce la tabella degli ordini esecutivi, quasi fosse uno scalpo da esibire in ricordo della tragica fine degli indiani d’America.
Nel momento in cui il “gallo cedrone” che guida gli Stati Uniti ha dovuto abbassare la cresta con la Cina, noi europei, grazie alla diplomazia accomodante del presidente della Nato, Ruttle, abbiamo appreso che nel vertice del 25 giugno i 32 Paesi dell’Alleanza Atlantica (Spagna esclusa) hanno deciso di aumentare le spese militari dal 2 al 5% del Pil, di cui il 3,5% per la difesa e l’1,5% per infrastrutture, entro il 2035.
L’Europa e la spesa per il riarmo
Un successo storico per l’America First di Trump e una genuflessione da parte di un’Unione Europea priva di spina dorsale, nonostante il presidente spagnolo Sánchez avesse dichiarato che non avrebbe accettato un simile accordo. Il rinvio degli effetti dal 2026 al 2035, senza un’analisi approfondita delle implicazioni, circa 5 miliardi di euro annui per ciascuno dei 32 Stati, compresi quelli indebitati come il nostro, dimostra come l’attenzione dei nostri governanti sia rivolta solo al presente, senza alcun riguardo per il futuro.
Si è preferito gettare la palla in calcio d’angolo, nella speranza di ingraziarsi Trump in vista di un nuovo accordo commerciale. Si guarda il dito, dimenticando la luna.
L’Europa, che si è distinta per gli alti livelli di welfare sociale, in un contesto geopolitico segnato dall’incertezza, tra guerre in Ucraina e Medio Oriente e l’imprevedibilità negativa di Trump, rischia di finire in una trappola densa di contraddizioni, senza via d’uscita.
La spesa per il riarmo, pianificata per i prossimi dieci anni, rappresenta un enorme tributo all’economia americana, che beneficerà delle commesse europee in campo militare. Nel breve periodo, infatti, i Paesi europei non avranno la capacità di produrre armamenti tecnologicamente avanzati, oggi appannaggio delle grandi industrie statunitensi.
I rischi
Trump, fallito il tentativo di reinsediare una nuova manifattura per sostituire le merci importate, obiettivo originario della guerra dei dazi, ha trovato una rapida compensazione grazie alla supina disponibilità dell’Europa a farsi carico della spesa militare, senza condizioni.
La nostra presidente del Consiglio è uscita dal vertice affermando serenamente che nel 2026 “non sarà necessario uno scostamento”, come se il nostro Paese, in quell’anno, chiudesse i battenti come una bottega che non riapre dopo Capodanno. E no! Saranno proprio gli anni successivi al 2026 a rischiare il collasso delle finanze pubbliche e degli investimenti in economia e welfare, quando termineranno gli effetti del Pnrr e si dovrà riportare in linea il rapporto deficit/Pil, oggi ancora al 137%, secondo quanto previsto dal nuovo Patto di stabilità.
Guai a interrogarsi su cosa dovranno fare i produttori per affrontare le sfide del mercato, tra Green Deal, digitalizzazione e intelligenza artificiale. “Si vedrà a tempo debito” è il mantra odierno.
Non si tratta solo di preoccuparsi dell’impatto, pur rilevante, della spesa militare sui conti pubblici, ma di chiedersi se avremo la possibilità di progettare un piano di medio periodo in grado di rilanciare la produttività e garantire un adeguamento reale di salari e pensioni al costo della vita, ancorato a una crescita del Pil con indici ben superiori ai prefissi telefonici.
Il compromesso della Global minimum tax
Indipendentemente da questo inedito sviluppo delle spese militari, accettato come un vincolo indiscutibile, prescindendo dalle volontà popolari, mancava solo la ciliegina sulla torta per risollevare lo spirito di Trump, dopo il boccone amaro dell’accordo con la Cina.
L’intesa raggiunta dal G7 sulla Global minimum tax, definita un “compromesso onorevole” dal Ministro dell’Economia Giorgetti, prevede una sostanziosa esenzione per le multinazionali americane, in cambio del blocco delle ritorsioni fiscali previste dall’Obbb Act a danno di imprese e persone che pagano le tasse negli Stati Uniti ma operano in altri Paesi dove rischiano imposizioni considerate discriminatorie dai contribuenti USA.
L’aumento al 5% delle spese per il riarmo e l’esenzione delle multinazionali americane dalla Global Minimum Tax costituiscono un combinato disposto di due decisioni pensate per rassicurare il volto del trumpismo, dopo il rospo cinese.
Il monito lanciato da Trump venerdì 27 giugno, alla vigilia del vertice Nato, “gli europei impareranno a non essere cattivi con noi”, ha subito ricevuto una risposta positiva. Al di là delle chiacchiere sul trumpismo, bisogna prendere atto che, finora, l’Europa non riesce a dire altro che: Trump, sì.
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L’articolo Dall’aumento delle spese militari Nato alla Global minimum tax: come Trump sigla nuovi accordi con Europa e Cina è tratto da Forbes Italia.