Dietro le quinte di Sandokan: la magia delle scenografie di Luca Merlini
- Postato il 27 novembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Dietro le quinte di Sandokan: la magia delle scenografie di Luca Merlini

Sandokan come non l’avete mai visto: il colossal firmato Lux Vide prende vita nelle scenografie di Luca Merlini. Leggi l’intervista allo scenografo.
Quando si parla di Sandokan, si pensa subito a giungle tropicali, navi che solcano mari in tempesta e avventure che hanno fatto la storia della letteratura e del cinema italiano. Ma dietro ogni inquadratura mozzafiato del nuovo colossal Lux Vide – Gruppo Fremantle, realizzato in collaborazione con Rai Fiction e il sostegno della Calabria Film Commission, in arrivo su Rai 1 il 1° dicembre 2025, c’è un lavoro titanico di scenografia e creatività.
Dal Teatro 7 del polo produttivo Lux Vide alle location spettacolari tra Isola di Réunion, Lazio, Toscana e Calabria, ogni set racconta una storia a sé, trasformando luoghi reali in mondi immaginari, incredibilmente credibili. La colonia inglese di Labuan a Lamezia Terme, le spiagge, i boschi bruciati, Le Castella, i Laghi La Vota Gizzeria, Grotticelle e Tropea: nulla è lasciato al caso. Dietro questo universo visivo c’è Luca Merlini, scenografo che ha saputo fondere innovazione tecnica e visionarietà artistica, trasformando ogni spazio in protagonista della storia. Nella nostra intervista, ci porta dietro le quinte, raccontando difficoltà, soluzioni creative, emozioni e curiosità di un lavoro destinato a incantare il pubblico internazionale.
Luca Merlini, quali sono state le difficoltà principali nella realizzazione delle scenografie di Sandokan?
«Le sfide erano enormi. Dovevamo far fruttare al massimo ogni risorsa e creare strutture versatili, capaci di trasformarsi in più scenografie. Il consolato poteva diventare prigione o infermeria, le carceri si trasformavano in bordello di Labuan. Per risolvere problemi tecnici e garantire durata, abbiamo utilizzato il legno lamellare, poco comune in questo tipo di produzione. Così le capriate, già trattate e dipinte, diventavano parte della scenografia e rimarranno intatte negli anni».
Come avete costruito il polo produttivo a Lamezia Terme?
«Quando siamo arrivati, non c’era nulla: solo un campo vuoto. Abbiamo dovuto preparare il terreno, costruire tutte le infrastrutture e creare un polo produttivo completo. È stato un lavoro enorme, ma fondamentale per dare vita a un set funzionale e scenograficamente spettacolare».

Quali emozioni ha provato nel vedere il risultato in televisione?
«È stata un’emozione unica. Confrontarsi con una pietra miliare della cinematografia italiana, non era facile. Ci aspettano tutti al varco (confessa Merlini con un sorriso, ndr). Speriamo che la gente non rimanga delusa. Ma già mentre giravamo le scene, si capiva che stavamo facendo qualcosa di speciale. Abbiamo creato un gruppo fantastico e tutta la troupe – costume, scenografia, regia, montaggio – hanno dato il massimo. Secondo me, è una grande opera».
Luca Merlini, possiamo svelare qualche aneddoto da backstage sulle scenografie?
«Eravamo tutti concentratissimi. Una delle sfide più grandi è stata il vento. Le strutture dovevano sostenere impianti complessi e resistere alle intemperie, e grazie alla loro progettazione abbiamo superato brillantemente ogni difficoltà».
Qualche curiosità sulle altre location calabresi?
«Abbiamo girato in un bosco di palme bruciato, parte di un lotto di terra vicino a un vivaio. Il sottobosco era stato devastato da un incendio, ma nella nostra storia questo scenario era perfetto: rappresenta il territorio abitato dai Dayak, le popolazioni autoctone, costrette dagli inglesi a lasciare la foresta in fiamme. Incredibilmente, abbiamo trovato un set naturale già pronto, a due passi, senza dover intervenire. Oltre al bosco, ci sono state spiagge spettacolari. Abbiamo fatto numerosi sopralluoghi in luoghi mozzafiato. Per questioni di tempo e spostamenti, abbiamo dovuto rinunciare ad alcune riprese, ma contiamo di recuperarle nella prossima stagione. Speriamo che il pubblico le chieda!».
Luca Merlini, cosa ci racconta a proposito delle imbarcazioni, cuore pulsante delle avventure di Sandokan?
«Quello che abbiamo fatto per il consolato di Labuan lo abbiamo applicato anche alle imbarcazioni. Ad esempio, la barca di Sandokan era una struttura modulare, utilizzata anche per l’imbarcazione del sultano dei Brunei. Le stive erano trasformabili e impiegate su entrambe le navi. Abbiamo realizzato anche una piccola parte del vascello inglese, creando modelli in scala esposti in mostra, scannerizzati e trasformati in modelli 3D per le navigazioni in campo largo. Siamo stati tra i primi a usare un impianto LED di questo tipo. Abbiamo circondato le imbarcazioni con schermi alti sette metri, proiettando mare, cieli e tramonti, senza mai uscire dal teatro».

Qualche dettaglio in più sulla barca di Sandokan?
«È stata la più complessa da realizzare. La prua è un mix tra drago cinese e l’impugnatura di un coltello dayak, come richiesto dal regista Jan: doveva essere aggressiva e unica. Dopo vari tentativi, abbiamo creato la versione definitiva, con una prua staccabile, proprio come i musetti delle auto di Formula 1, sostituibile per le diverse scene e per il cambio di imbarcazioni».
Le prigioni e il bordello di Labuan?
«Abbiamo progettato un ambiente duplice. Da un lato l’infermeria e le carceri del consolato, dall’altro il bordello dove Sandokan è cresciuto. Due mondi in un unico spazio, trasformando la scenografia in protagonista assoluta».
Il Quotidiano del Sud.
Dietro le quinte di Sandokan: la magia delle scenografie di Luca Merlini