Donne e videogiochi sono tutt’altro che lontani. Due affrontano il tema
- Postato il 25 luglio 2025
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- Di Artribune
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L’agenzia Newzoo afferma che nel 2023 il 45% delle persone che nel mondo giocavano a videogiochi si identificavano come donne. Nonostante questo, il videogioco si porta ancora dietro un retaggio da ambiente prettamente maschile, tipico di tutta l’informatica. Secondo una causa intentata nel 2018 da una dipendente e un’ex dipendente di Riot Games per discriminazioni sul lavoro, un manager della compagnia avrebbe affermato che “la diversità non dovrebbe essere al centro della progettazione dei prodotti di Riot Games perché la cultura videoludica è l’ultimo spazio sicuro rimasto per i ragazzi adolescenti bianchi”. La rappresentazione delle donne nei videogiochi resta quindi uno spazio conteso, contraddittorio e meritevole di indagine. Lo dimostra un libro italiano da poco uscito: PlayHer. Rappresentazioni femminili nei videogiochi di Giulia Martino e Francesco Toniolo (Tlon, 2025)
Matteo Lupetti

Da dove vengono le rappresentazioni femminili dei videogiochi?
Seppure non ci sia una netta divisione, possiamo individuare nel libro due gruppi di capitoli. Il primo descrive la storia di specifici ruoli della donna e delle loro rappresentazioni, e i videogiochi sono qui punto di partenza per esplorare la nostra società. Abbiamo quindi la donna nella fiaba, la strega, la soldata, l’imprenditrice, l’intelligenza artificiale, l’archeologa/paleontologa e un capitolo che prende spunto dalla serie Horizon (Sony Interactive Entertainment, 2017 – in corso) per discutere il mito del matriarcato preistorico. Rientra in questo gruppo, senza soffermarsi in modo specifico sulla rappresentazione femminile in quanto tale, anche una parte su Doki Doki Literature Club (Team Salvato, 2017), letteratura creepypasta e il nostro rapporto con gli schermi digitali. Un più piccolo gruppo di capitoli descrive invece proprio la rappresentazione femminile in videogiochi o gruppi di videogiochi, comunque raccontandone il rapporto con altre rappresentazioni videoludiche e non: l’orchessa/vampira Lady Dimitrescu in Resident Evil Village (Capcom, 2022), la principessa di The Legend of Zelda (Nintendo, 1986-in corso), le aliene di Mass Effect (Electronic Arts, 2007 – in corso), la genderizzazione dei personaggi healer (quelli che curano), le protagoniste di Summoner 2 (Volition e THQ, 2002). PlayHer ha il merito di combinare un tono divulgativo alla ricerca di un certo rigore accademico (la sua possente bibliografia offre ricche opportunità di verifica e approfondimento). Inoltre, non si ferma agli esempi più banali e alle letture più facili. Questo vuole dire che è però un libro forse poco adatto per avvicinarsi alla materia, anche perché concentrandosi sulle storie e le rappresentazioni femminili che hanno influenzato i videogiochi trascura in gran parte il contesto produttivo e materiale dei videogiochi stessi.
Giulia Martino, Francesco Toniolo – PlayHer. Rappresentazioni femminili nei videogiochi
Tlon, Roma 2025
Pagg. 280, € 18
ISBN 9791255541196
Donne autrici, giocatrici e personaggi nel mondo del videogioco
Su questo aspetto consigliamo un libro poco meno recente: Videogioco: femminille, plurale di Fabrizia Malgieri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola e Lorena Rao (Ledizioni, 2024). Oltre a esplorare, in un percorso più metodico, la storia della rappresentazione della donna nel videogioco (nelle parti curate da Malgieri) all’interno del loro contesto sociale, culturale, economico e materiale, il volume discute la storia del lavoro femminile nell’industria videoludica (in una delle parti curate da Rao) e quella delle sue comunità (nelle parti curati da Pirola). A questi contributi si aggiunge un breve approfondimento (curato da Pilla) sulle sovrapposizioni tra comunità online dei videogiocatori e quelle della manosphere, il mondo dei movimenti convinti che la diffusione del femminismo abbia portato alla discriminazione contro gli uomini. Inserire la storia della rappresentazione della donna nel videogioco all’interno della storia della sua forza lavoro e delle sue comunità mostra quanto i due aspetti siano legati. Come scrive Malgieri, “man mano che lo status delle donne che lavorano all’interno dell’industria videoludica sta migliorando, anche la rappresentazione dei personaggi femminili dei videogiochi sta ottenendo risultati migliori; e laddove le donne sono maggiormente coinvolte nella creazione e nello sviluppo dei videogiochi, le protagoniste femminili tendono ad essere in linea con rappresentazioni più progressiste, che a loro volta tendono ad influenzare la percezione delle donne nella società nel suo complesso”.




Cosa resta fuori quando si parla di donne e videogiochi
I due libri ci sembrano comunque condividere alcuni limiti. Per esempio, non dedicano spazio né alle donne trans né alle persone non binarie, e in generale non affrontano gli aspetti queer della questione di genere. Per quanto si accenni al non binarismo del genere nei capitoli curati da Pirola per Videogioco: femminile, plurale, il libro per esempio identifica Zoë Quinn, persona non binaria, come donna. Ed entrambi i volumi si soffermano soprattutto su opere dedicate alla nicchia hardcore, come quelle per console, poco rappresentative di ciò viene giocato quotidianamente da miliardi di persone e dunque dell’influenza del videogioco sulla cultura popolare. È un po’ paradossale che si parli tanto di videogioco hardcore e tanto poco del cosiddetto videogioco casual, come quello per smartphone, perché come tra l’altro spiega Pirola il videogioco casual è da sempre associato alle donne ed è proprio per questo solitamente escluso dal racconto dell’industria videoludica (tranne quando bisogna calcolarne i profitti).
Fabrizia Malgieri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola, Lorena Rao – Videogioco: Femminile, plurale
Ledizioni, Milano 2024
Pagg. 260, € 18
ISBN 9791256001491
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