Droni collaborativi: il futuro del combattimento aereo è già in volo

  • Postato il 22 luglio 2025
  • Di Panorama
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Pilotare i moderni caccia significherà poter guidare un interno gruppo d’attacco del quale il pilota dell’unica macchina volante umanizzata sarà al comando. Se ne parla da almeno un decennio, sono stati costruiti prototipi e pre-serie di droni “collaboranti”, persino missili che volano in gruppo scambiandosi tra loro le priorità dei bersagli, ma ciò che serve ora è sperimentare le metodologie e le tattiche di volo, condividerle tra le forze armate e verificarne l’efficacia con centinaia di ore di simulazioni di combattimento. È noto che anche Cina e Russia stanno da tempo svolgendo prove di questo tipo, mentre gli Usa sono stati pionieri facendo esperienza cominciando a trasformare in droni aeroplani ed elicotteri d’attacco. Lo ha fatto ormai quasi otto anni fa Lockheed-Martin con gli F-16, così come Sikorsky con l’elicottero AH-60, ma soltanto dallo scorso 3 luglio l’Usaf ha reso noto di aver svolto un programma di volo per dimostrare l’attuale livello di integrazione tra sistemi con equipaggio e velivoli a pilotaggio autonomo. Tale nicchia di attività viene definita Mum-T, sigla che deriva da Manned-UnManned Teaming, ovvero cooperazione tra mezzi pilotati e autonomi. All’inizio di questo mese, utilizzando due differenti aeroplani, ovvero un Boeing F-15E Strike Eagle e un Lockheed-Martin F-16C, presso la base di Eglin, in Florida, sono state effettuate diverse missioni del tipo Autonomous Collaborative Platforms (Acp) all’interno di scenari di combattimento simulato insieme con una coppia di droni del tipo Kratos XQ-58A Valkyrie. Tali esperimenti sono considerati della massima importanza per mantenere il dominio nel potere aereo abbassando i costi senza compromettere le capacità operative, riducendo al tempo stesso il rischio di perdita di un pilota. La grande differenza del Valkyrie rispetto ad altri Acp esistenti sta nel fatto che non necessita di un aeroporto per poter operare. In pratica, essendo lanciabile da catapulta, può unirsi ai caccia già in volo, eseguire la missione e quindi atterrare dopo aver dispiegato un paracadute. Dal punto di vista delle capacità belliche l’utilizzo dei droni collaborativi permette di aumentare la forza offensiva senza accrescere ulteriormente l’impegno mentale del pilota a bordo dell’aeroplano madre, che può anche sfruttare i droni per essere protetto e rimanere a distanza dalle minacce. Sia l’Usaf, sia il Corpo dei Marines sono fortemente interessati a tali tecnologie, che vengono valutate costantemente anche nell’ottica di trasferire i risultati al Dipartimento della Difesa, dove vengono valutate da un gruppo di tecnici guidato dal generale Ken Wilsbach, Comandante dell’Air Combat Command, e dal generale di brigata Jason Bartolomei, a capo del Laboratorio di ricerca dell’Air Force. La campagna prove è quindi seguita dal Centro prove dell’Usaf e dalla Marina Usa per garantire l’interoperatività tra le diverse forza armate che utilizzeranno tali capacità, ovvero: anche se le tipologie di droni collaborativi Acp usati da Aviazione, Esercito e Marina sono differenti, ogni forza armata deve poter controllare quelli degli altri nell’ottica di salvaguardare le capacità interforze. Lo stesso problema ci sarà poi in ambito Nato, Alleanza che sta tardando a creare uno standard condiviso e che giocoforza sembra destinata a dipendere da quelli statunitensi. Non è un caso se Kratos e Airbus alla fine di giugno hanno annunciato una collaborazione strategica per fornire all’Aviazione tedesca un drone da combattimento del tipo collaborativo, basato proprio sullo XQ-58A Valkyrie, che possa essere operativo a partire dal 2029. Pochi anni, ma la necessità tedesca è quella di colmare un divario tecnologico causato dai possibili ritardi del programma Fcas intrapreso con Francia e Spagna che non sarà concretamente in servizio prima del 2040 neppure qualora gli attuali dissensi tra Airbus e Dassault sulla leadership del progetto venissero risolti.

Autore
Panorama

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