È attivo il nuovo regolamento europeo contro il traffico di antichità (ma non tutti lo sanno)

È entrato in vigore il 28 giugno 2025 un nuovo regolamento introdotto dall’Unione Europea per contrastare il traffico illecito di antichità d’arte, ma che rischia di trasformarsi in un boomerang per il sistema artistico. Sebbene, infatti, le intenzioni e gli obiettivi siano unanimemente condivisibili, oltre che già previsti da altre normative in essere per la tutela del patrimonio artistico, il Regolamento (UE) 2019/880 penalizza non solo la filiera commerciale, ma anche il comparto della ricerca e delle esposizioni, rendendo quanto mai complesso, ad esempio, il prestito, oltre che la compravendita, di opere d’arte antica. E al momento l’unica certezza che sembra imperare è la poca chiarezza su cosa si può fare e cosa no, anche per la diversa applicazione possibile nei diversi Stati membri dell’Unione.

Il nuovo regolamento europeo contro i traffici illeciti d’arte

Il nuovo regolamento, introdotto per la prima volta nel 2019 ma attivo solo ora, dal 28 giugno 2025, in Europa e quindi anche in Italia, impone che qualsiasi soggetto che importi all’interno dei confini dell’Unione Europea beni culturali prodotti o scoperti al di fuori di quella provveda ad adempiere a una due diligence a dir poco rafforzata. Ovvero che fornisca una documentazione esaustiva sulla legittima provenienza dell’oggetto artistico, per giustificarne l’esportazione dal Paese di origine e l’importazione entro i confini dell’Unione.
La misura, incentivata anche dopo il saccheggio, in anni recenti, del patrimonio culturale e dei siti archeologici in Siria e Iraq, si applica a opere d’arte, antichità, oggetti di arte decorativa e collezionabili, per combattere il commercio illegale di beni provenienti in particolare da Paesi al centro di conflitti e disordini, dove il traffico potrebbe finanziare organizzazioni criminali e terroristiche. La nuova previsione parte da una ratio sacrosanta, che il patrimonio culturale sia uno dei fondamenti della società, in tutti i luoghi del mondo. E che la sua sottrazione, menomazione o distruzione vada osteggiata, in modo compatto. 

TEFAF Maastricht 2025. Ph. Cristina Masturzo
TEFAF Maastricht 2025. Ph. Cristina Masturzo

Cosa cambia nel commercio di antichità con le nuove previsioni EU

In particolare il regolamento va a delimitare ciò che si può fare o non si può fare con riferimento a tre categorie di beni culturali: quelli esportati illegalmente; reperti di scavi archeologici o di siti monumentali con più di 250 anni, a prescindere da ogni soglia di valore; beni con più di 200 anni e un valore economico riconosciuto superiore a €18.000. 
Per la prima tipologia, ciò che è consentito è presto detto: nulla. È vietato introdurli in UE, senza se e senza ma, e questo anche da prima del nuovo Regolamento. I beni della seconda categoria richiederanno, invece, una licenza di importazione prima dell’ingresso nell’Unione, e chi li importa dovrà fornire prove che quegli oggetti non siano stati esportati illegalmente. Per la terza, infine, si richiede una dichiarazione firmata dell’importatore in autocertificazione che attesti che i beni non sono stati esportati illegalmente dal Paese di origine, accompagnata da una descrizione degli oggetti. In mancanza del rispetto di queste previsioni si procederà al sequestro dei beni coinvolti e sono possibili ulteriori conseguenze penali. 

La nuova piattaforma digitale per le licenze di importazione 

Il Regolamento 2019/880 prevede inoltre la creazione di archivi digitali per migliorare trasparenza e tracciabilità sulla provenienza degli oggetti d’arte, tramite una banca dati internazionale per l’importazione dei beni culturali, l’ICG (acronimo per Import Cultural Goods), e l’iscrizione degli importatori alla piattaforma digitale TRACES NT, che ospita appunto il sistema europeo centralizzato ICG. Sarà attraverso questo strumento che andranno presentate le documentazioni richieste, a seconda della tipologia di bene in oggetto. Per quelli con più di 250 anni, chi importa dovrà presentare una richiesta di licenza di importazione tramite il sistema ICG agli Uffici Esportazione, per certificare che l’esportazione non avvenga in conflitto con la legislazione del Paese di origine. Se non è individuabile lo Stato di creazione o scoperta del bene o qualora il bene sia stato rimosso prima del 24 aprile 1972 (data della Convenzione UNESCO sulla tutela del patrimonio artistico mondiale), il titolare potrà ottenere una licenza producendo documentazione sufficiente ad attestare la legittima esportazione dall’ultimo Paese in cui il bene si è trovato per oltre cinque anni. Facendo ricorso, a titolo esemplificativo, a cataloghi d’asta, fatture, polizze assicurative, documenti di trasporto, titoli di proprietà vari. Si prevede poi una deroga in caso di importazioni temporanee per esposizioni e fiere, per le quali potrà bastare una dichiarazione al posto della licenza, che sarà però necessaria se il bene viene venduto e trattenuto nei confini UE.  Per i beni con più di 200 anni e un valore economico riconosciuto superiore a €18.000 è richiesta invece una dichiarazione dell’importatore, sempre tramite sistema ICG, all’atto dell’importazione, per attestare la conformità dell’esportazione alle leggi del Paese di origine. Anche qui, se il Paese di origine non è identificabile o il bene è stato esportato prima del 1972, l’importatore potrà dichiarare l’esportazione conforme alla normativa dell’ultimo Paese in cui si trovava per almeno cinque anni. Le risposte dagli Uffici Esportazione di competenza dovranno arrivare entro 90 giorni dalla ricezione della domanda e se ci fossero richieste di integrazioni il decorso dei termini va ricalcolato daccapo. 

Tiziano Vecellio, Madonna con Bambino e Santa Maria Maddalena, 1555-1560, Trinity Fine Art di Carlo Orsi. Ph. Loraine Bodewes. Courtesy TEFAF
Tiziano Vecellio, Madonna con Bambino e Santa Maria Maddalena, 1555-1560, Trinity Fine Art di Carlo Orsi. Ph. Loraine Bodewes. Courtesy TEFAF

Le criticità che affliggono l’applicazione del regolamento EU sull’arte antica

Bene, si potrebbe dire, sembra tutto quantomai giusto, equo. E allora qual è il problema? Il problema è che i passaggi che elencavamo incappano, nella realtà, in una selva di ostacoli difficilmente aggirabili, oltre che in una macchina di burocrazia ancora più pesante del passato, che si somma o si scontra, in alcuni casi, con le regolamentazioni nazionali, già critiche di per sé. Andando a danno, solo e di più, della circolazione delle opere d’arte nel mondo, che andrebbe invece alleggerita e incentivata, sia per fini culturali, che commerciali. Mentre, poi, appunto, sono magari già in vigore nei Paesi dell’Unione Europea normative rigorose sul tema del patrimonio. Le criticità delle nuove previsioni, secondo gli operatori, riguardano in primo luogo la tipologia di oggetti, individuati attraverso categorie ombrello di eccessiva ampiezza, che avvicinano e omogeneizzano il trattamento di reperti archeologici e di arte del Seicento, per dirne una. Così come, dove subentrano soglie di valore economico, queste sono tali da intercettare praticamente tutto, come una pesca a strascico con reti a maglie strette. 
Se passiamo poi alla documentazione richiesta per le importazioni, nella pratica si rende necessaria all’improvviso una prova di legalità che non sempre esiste, anche in presenza di legittime esportazioni, perché semplicemente nel passato molti incartamenti, quando presenti, venivano conservati solo fino alla fine delle procedure previste. 
In ultimo, per chi vive nel mondo reale e ha avuto a che fare almeno una volta con un ufficio di una Sovrintendenza o un Ufficio Esportazione, il pensiero va alla moltiplicazione di operazioni necessarie, di livello burocratici, di incombenze, che vanno a innestarsi sulle croniche carenze di efficienza e personale delle infrastrutture amministrative coinvolte. 

L’eccezione, troppo debole, per i fini educativi delle mostre 

Infine, se l’effetto sismico di questo provvedimento sarà ravvisabile di certo in eventi commerciali come le grandi fiere dell’antico, da TEFAF a Maastricht a Brafa a Bruxelles, un’ultima considerazione riguarda la circolazione delle antichità coperte dal nuovo Regolamento 2019/880 e destinate, invece, a mostre e progetti di impianto culturale. In questo caso esiste infatti un regime alternativo, di esenzione “per fini educativi, scientifici, di conservazione, restauro, esposizione, digitalizzazione, arti performative, ricerca accademica o cooperazione tra musei o istituzioni analoghe”. Applicabile però, a quanto pare, ai prestiti dai musei extra-UE, ma non ai prestatori privati, che saranno quanto mai scoraggiati dal metter in viaggio opere delle loro raccolte, esponendole (ed esponendosi) al rischio di essere penalizzate da documentazioni incomplete, lacunose, che, nell’impossibilità di essere colmate, le condannerebbero al sequestro certo. E dunque, mentre nessuno si sognerebbe di ostacolare o lamentarsi di una misura di legge sacrosanta, in grado di tutelare l’arte di tutto il mondo e mettere fine ai saccheggi dei secoli passati, gli operatori antiquari e artistici sono invece oggi legittimamente confusi e amareggiati anche, da quella che suona come una criminalizzazione preventiva del loro lavoro, che guarda alla circolazione e alla filiera commerciale delle opere d’arte come colpevole fino a prova contraria. 


Cristina Masturzo 

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L’articolo "È attivo il nuovo regolamento europeo contro il traffico di antichità (ma non tutti lo sanno)" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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