Erano fuoco poi qualcosa si è spento: nove rockstar che non riconosco più

  • Postato il 5 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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C’è stato un tempo in cui erano fuoco, vertigine, carne viva. Autentici, scomodi, carismatici. Ognuno di loro ha scritto un pezzo di storia della musica. Parlo di artisti che hanno inciso la propria impronta nel tempo. Poi qualcosa si è spezzato: chi ha perso la rotta, chi si è venduto, chi è diventato la caricatura di se stesso, e chi, addirittura, in un sol colpo è riuscito a incarnare tutto questo. Nei consueti nove punti di questo blog, ve ne propongo nove, filtrati da prospettive del tutto personali e, volendo, altamente discutibili.

Cominciamo.

1. Piero Pelù
Ne ho scritto [qui] la scorsa settimana e proprio da lui si riparte. Un tempo incarnava l’urgenza più autentica del rock italiano. La voce, la presenza scenica, il carisma: sembrava inarrestabile. Poi quella che ritengo una deriva: la partecipazione a talent, i proclami sterili da rockstar, il continuo bisogno di riaffermarsi. Forse l’energia dirompente dei Litfiba si è dissolta in una lunga, inesorabile sovraesposizione? E quei dischi pubblicati negli ultimi anni? Davvero vanno considerati all’altezza della storia che li ha preceduti? E Pelù, da simbolo di ribellione, mi sembra diventato uno dei suoi stessi bersagli.

2. Bono Vox (U2)
La deriva commerciale partorita dopo gli anni migliori pare non essere ancora finita, considerando lo scempio dell’ultima produzione su vinile, datata 2023. Guardando all’intera discografia dei quattro, emerge una verità scomoda quanto triste: sono più i dischi brutti realizzati che quelli da ricordare. Più in generale, è l’intero mondo U2 ad aver perso smalto: dischi sbagliati, operazioni commerciali inopportune, prese di posizione discutibili. Da oltre vent’anni, gli U2 non ne azzeccano una. Diciamocelo.

3. Manuel Agnelli (Afterhours)
Ha incarnato per anni un’idea diversa di musica italiana: coraggiosa, inquieta, personale. Poi la svolta televisiva, la ricerca di consenso rapido; tra giudizi in prima serata, proclami da santone e contraddizioni a mio giudizio mai davvero risolte.

Si giustifica dicendo che i soldi ottenuti da X Factor hanno permesso progetti come Germi o Ossigeno, ma altri — come Enrico Ruggeri — hanno percorso strade simili restando integri. Oggi difende i Måneskin come fenomeno generazionale, accusando chi li critica di essere un fariseo. Curioso: proprio lui, che aveva costruito la propria forza sullo spirito critico, oggi si scaglia contro chi osa esercitarlo. Spero ancora che risponda alle mie nove domande (articolo qui). Della serie: aspetta e spera.

4. Roger Waters (Pink Floyd)
Geniale, irriverente, irraggiungibile con i Pink Floyd. Ma da solista, la sua parabola musicale si è ridotta a una predica sterile (articolo qui). Niente della sua produzione solista passerà alla storia: tutto resta inscritto nel campionario creato insieme agli ex compagni. E deve averlo compreso anche lui, visto che continua a portare in tour solo i dischi dei Pink Floyd, ostinandosi persino a riscriverli a proprio uso e consumo.
Resta il genio. Ma oggi, a osservare il suo percorso, prevale lo smarrimento.

5. Vasco Rossi
Cantava “Voglio una vita spericolata” e, ai tempi, la viveva davvero. Oggi dichiara: “Non voglio più una vita spericolata, io sono una vita spericolata”, come se bastasse autoproclamarlo. I suoi testi da anni mi appaiono un campionario di luoghi comuni, conditi di senso, anche “quando un senso non c’è”. Eppure l’amore cieco dei fan resiste: lo cercano (e lo trovano) anche tra testi di canzoni apocrife, pronti a giustificare tutto, perfino il rifacimento di Creep dei Radiohead, urlato in una versione del 2009 che ancora oggi grida vendetta.

6. Axl Rose (Guns’n’Roses)
C’era una volta una voce capace di squarciare il cielo. E oggi? Quella voce è un megafono gracchiante, l’ennesima prova di quanto sia crudele l’attaccamento al proprio mito (e, inevitabilmente, ai soldi). Il coraggio di mostrarsi così, senza filtro, è disarmante. Ancora più disarmante è vedere migliaia di persone riempire gli stadi per assistere a una pantomima fuori tempo massimo. Una domanda: chi davvero rispetta il proprio pubblico — ad una certa — non dovrebbe scegliere di ritirarsi, per lasciare intatta la propria grandezza?

7. Billy Corgan (The Smashing Pumpkins)
La parabola degli Smashing Pumpkins è stata come un rollercoaster emotivo riservato “ai grandi”: ascesa lenta, arrivo in cima con capolavori assoluti, poi la discesa, inesorabile, a precipizio. Corgan ha perso il tocco da tempo, sostituendolo con un narcisismo sterile che oggi lo definisce più di ogni altra cosa. Sembra più impegnato a difendere la propria rilevanza, piuttosto che a creare musica degna di quel passato. Sostiene che la band sia tra le più incomprese di sempre. E se invece fosse stata compresa fin troppo bene?

8. Chris Martin (Coldplay)
I Coldplay erano partiti con l’aura dei predestinati: Parachutes e A Rush of Blood to the Head erano un contrasto di luce e ombra, malinconia e grande scrittura. Poi, lentamente, la mutazione: da X&Y a Viva la Vida, fino al tracollo fatto di dischi orribili, talmente brutti da sembrare irreali. Oggi vedo Chris Martin come un Jovanotti “pimpato”: vestiti colorati, balletti, canzoni sempre più insulse. E la cosa più assurda? Gli stadi continuano a riempirsi di persone pronte ad applaudire la qualsiasi: luci, braccialetti telecomandati, fuochi d’artificio, effetti speciali. La meraviglia è a portata di mano, peccato che ci si dimentichi dell’unico elemento davvero importante: la musica.

9. Peter Hook (Joy Division/New Order)
I Joy Division si sciolsero dopo la morte di Ian Curtis, giurando che mai avrebbero ridato luce a quel progetto. Ma Peter Hook, estromesso dai New Order (evidentemente alla canna del gas), non ha trovato di meglio che riesumare il catalogo della band, suonandolo in tour da anni. Sacrilegio. Non vi sembra un’operazione inscrivibile alla voce sciacallaggio emotivo? Eppure i suoi concerti sono affollati da persone che, si presume, dovrebbero riconoscere la scempiaggine di tale scelta. Anni fa ho condiviso un DJ set con lui: usava chiavette con sequenze già mixate, faceva solamente il gesto di mixare; la folla in visibilio, mentre lui se la rideva. Ogni commento ulteriore potrebbe risultare superfluo.

Vi lascio, come da tradizione, la consueta playlist dedicata, che potrete ascoltare gratuitamente sul mio canale Spotify. Mi farebbe piacere discuterne, nei commenti qui sotto oppure sul mio profilo pubblico di Facebook, connesso a questa pagina.
Buon ascolto.

9 Canzoni 9 … in prospettiva

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Il Fatto Quotidiano

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