Finisce il calvario di Padre Fedele, monaco “ribelle”

  • Postato il 14 agosto 2025
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Finisce il calvario di Padre Fedele, monaco “ribelle”

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La storia di Padre Fedele, simbolo della città di Cosenza, frate ultrà e con una vita segnata da vicissitudini sempre al fianco degli ultimi


COSENZA – È ritornato alla Casa del Padre e nella sua Oasi, povero tra i poveri, ultimo tra gli ultimi. Come sperava, come voleva. Il cuore di Padre Fedele Bisceglia, 87 anni, ricoverato già da qualche tempo all’Inrca di Cosenza, per il peggioramento delle sue condizioni di salute, si è fermato martedì notte e da quel momento in poi, si è proceduto a trasformare in atti concreti le sue ultime volontà. Ma ha lottato tanto prima, ha tentato di resistere al suo corpo vecchio e malato, contrapponendo la forza delle idee e la passione per la vita, al suo cuore stanco e al respiro corto. Oggi (14 agosto 2025) alle 10 il funerale nella chiesa del Santissimo Crocifisso della Riforma.

L’ULTIMO SALUTO AL MONACO

Ieri mattina è ritornato nella chiesetta di Sant’Anna, al secondo piano della grande struttura che aveva realizzato per accogliere uomini e donne in difficoltà, che aveva dedicato a sua madre. C’era sempre la fedele e instancabile Teresa Boero ad accompagnarlo, a vigilare su di lui. Con addosso il suo saio di frate Cappuccino, ormai lontano dalle polemiche con la Chiesa ufficiale, con la sospensione a divinis e il suo desiderio di ritornare a dire messa concessogli dal vescovo Giovanni Checchinato solo in punto di morte, padre Fedele si è allontanato dalla vita terrena sereno, dopo aver ritrovato i suoi fratelli, dopo aver ancora invitato i suoi ragazzi alla conciliazione, al perdono. Sono stati in tanti a fargli visita ieri, tanti suoi ragazzi, collaboratori, giocatori di calcio noti e meno noti, e gente comune, nonostante il caldo asfissiante e il Ferragosto alle porte che ha svuotato la città.

Tutti in silenzio davanti al monaco che più di ogni altro ha scritto pagine di storia preziose per la città dei Bruzi e che ha rappresentato la voce dei poveri e la forza creativa dei giovani dei centri sociali e degli ultras che riusciva a contenere, facendo il capofila, diventando uno di loro, il più scalmanato di tutti. Al frate raccontavano le loro intemperanze giovanili e lui con sapiente maestria ne conteneva gli eccessi, trasformando quella materia grezza in opere d’arte. Usava la solidarietà come strumento didattico e coinvolgeva i ragazzi in missioni all’estero ed esperienze umane capaci di trasformare le loro esistenze. “La terra di Piero” è ancora oggi una dimostrazione concreta di quanto il monaco abbia seminato e raccolto nel corso della sua vita.

LA VOCAZIONE, IL CONVENTO E I VOTI

Padre Fedele era nato a Laurignano nel 1937. Era il primogenito di quattro fratelli, ma a cinque anni rimase orfano della madre, che morì di polmonite. E per lui cominciò una nuova vita. Fedele venne cresciuto in un orfanotrofio e non seguì il padre quando decise di emigrare in America. La scelta del convento fu quasi naturale. Sentiva dentro di sé una spinta verso gli altri, soprattutto per chi aveva più bisogno di aiuto. Dopo il noviziato si trasferì a Napoli per completare gli studi di teologia. Nel 1964 venne ordinato sacerdote. La sua intelligenza e la capacità di tessere relazioni, non passò inosservata e i suoi superiori lo mandarono subito a Roma, dove si laureò all’Università Lateranense.

La sua esperienza di parroco iniziò a Montagnola, una frazione di Acri in provincia di Cosenza, dove fece costruire subito un campo sportivo, un asilo e una chiesa. E per fare arrivare in paese elettricità e acqua, ricorse per la prima volta allo sciopero della fame. La battaglia portata avanti e la vittoria finale, lo resero immediatamente molto popolare. A Montagnola il frate rimase per sette anni. Nominato Superiore del Convento di Acri, il più importante della provincia di Cosenza, è in questo luogo che il monaco fece il salto di qualità finendo sotto i riflettori per aver portato l’urna del Beato Angelo, una delle figure più eminenti della Chiesa calabrese, dalla basilica del Cosentino fin negli Usa, per esporla ai devoti d’oltremare.

PADRE FEDELE, UNA VITA AL FIANCO DEGLI ULTIMI

Nel 1980 Padre Fedele venne trasferito a Cosenza come segretario delle missioni estere. Cominciò a viaggiare dall’India all’Etiopia, dall’Eritrea al Madagascar, dal Camerun alla Repubblica Centrafricana, dove fondò un centro per bambini handicappati, un ospedale e otto chiese. Ma erano i lebbrosi a coinvolgerlo più di chiunque altro. Riuscì a ottenere dei finanziamenti e partecipò alla costruzione di varie strutture sanitarie e scolastiche in tutto il mondo.
A Cosenza nel 2001 cominciò a prendere forma l’Oasi Francescana, dormitorio, mensa e poliambulatorio per poveri. Una struttura modello nella quale il frate coinvolse i suoi ragazzi della curva sud e dei centri sociali. Fu l’allora sindaco di Cosenza, il socialista Giacomo Mancini, a sostenere con forza il progetto del monaco e a trasformarlo in realtà.

Padre Fedele Ultrà e la presidenza del Cosenza Calcio

Padre Fedele ha vissuto tante vite ma ciò che lo ha reso più popolare, facendolo diventare a livello nazionale “il monaco ultrà” è legato senz’altro alla sua fede calcistica. Teologo, medico, più volte ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini, vicino ai “No global”, con doti di grande comunicatore, si è conquistato largo spazio anche sui giornali e una poltrona nei grandi salotti televisivi. Nel 1995, in occasione dell’Erotica Tour di Bologna, Padre Fedele assegnò a Luana Borgia, ex pornostar, con la quale si presentò la domenica allo stadio, il compito di allestire nel suo stand, contenitori per la raccolta di fondi destinati all’acquisto di un’ambulanza per il Ruanda. Alle critiche per la sua amicizia con la donna, il cappuccino rispondeva secco: “Più si va all’inferno più si trova la strada per il paradiso”.

E non si fece problemi a presentarsi allo stand della rivista “Le Ore” e alla conferenza stampa, ottenendo un assegno di cinque milioni di lire per i bambini africani.
A lui si rivolse una donna rumena raccontando la sua drammatica vicenda. Dalla confessione nacque un’operazione che si concluse con sette arresti per traffico di clandestini. E nonostante le sue molteplici iniziative, i suoi impegni pubblici e i suoi viaggi nei luoghi sperduti del mondo, “u monacu” non trascurò mai la sua vera, grande passione, quella per il calcio, che lo portò nella stagione 2004-5 a conquistarsi il posto di presidente del “Cosenza Calcio”, dopo un memorabile sciopero della fame, in seguito al quale venne anche ricoverato in ospedale.

IL CALVARIO LEGALE

Pur di fermare padre Fedele e per strappargli di mano la sua creatura, l’Oasi francescana, si fece ricorso alla peggiore delle accuse, la più infamante, quella della violenza sessuale. Fu una suora, suor Tania, a prestarsi al torbido gioco e a spedire il religioso in carcere. Ma dieci anni dopo, nel 2015, difeso dagli avvocati Franz Caruso – che da sindaco ha proclamato il lutto cittadino – ed Eugenio Bisceglia, fu assolto “perché il fatto non sussisteva”.

Fu in seguito a un atto di disobbedienza da parte del frate, che non volle lasciare Cosenza, che sopraggiunse anche la sospensione a divinis, l’allontanamento dai suoi fratelli, dalla sua Chiesa. Continuò, però, ad indossare il saio con più convinzione di prima e ad occuparsi degli ultimi, degli emarginati. Nacque così “Il Paradiso dei poveri”, in contrada Monte Chirico a Timpone degli ulivi, un luogo di accoglienza e di ristoro per gli assetati.

Padre Fedele, come aveva sempre fatto, continuò a chiedere ai ricchi per dare ai poveri, seppur messo ai margini, non tradì mai la sua fede e i valori che lo avevano sempre sostenuto. E la sua città lo ha sempre amato, anche nei momenti più difficili, quando l’uomo Fedele sovrastò fino ad annullarlo, il monaco che si incontrava sul corso principale di Cosenza, alla ricerca di cibo per poter sfamare i suoi poveri. Ora nella sua cassa di legno chiaro dove troneggia una sciarpa rossoblu sembra distante da ogni conflitto umano e dai tanti volti che lo scrutano già con nostalgia. Ma non riuscirà ad andare troppo lontano dalla sua gente, dai luoghi che ha attraversato, dai segni, profondi, che ha lasciato.

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