Gli Stati Uniti tra nazionalismo e pluralismo culturale. L’esempio del Monte Rushmore e la storia dei Nativi Americani

  • Postato il 19 agosto 2025
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Negli Stati Uniti di Donald Trump, la partita del presidente “contro” il sistema culturale ereditato da chi lo ha preceduto si è giocata finora sull’intimidazione. Fattivamente, i primi mesi della sua amministrazione hanno determinato tagli significativi ai finanziamenti pubblici necessari a molte istituzioni culturali americane – musei e biblioteche in testa – per perseguire la sostenibilità economica.

Donald Trump e la cultura dell’eccezionalità americana

Una minaccia che sfocia nel ricatto se si considera il tentativo del presidente statunitense di instaurare una dinamica premiale (o fate come vi dico, o chiudo le casse federali), con l’intenzione dichiarata di favorire l’affermazione di una cultura “dominante”. O, per dirla con le parole utilizzate nella comunicazione ufficiale notificata solo qualche giorno fa al circuito degli Smithsonian Museums, di una cultura che celebri “l’eccezionalità americana”. Insomma: Make America Great Again, anche al museo. Rimuovendo “le narrazioni divisive o faziose per ripristinare la fiducia nelle nostre istituzioni culturali condivise”, perché i musei americani siano “luoghi di apprendimento, meraviglia e orgoglio nazionale per le generazioni a venire”.

Il Monte Rushmore e i luoghi della cultura negli Stati Uniti

Del resto l’uso della cultura a fini patriottici (ancor prima che propagandistici) è un pallino di Donald Trump, che già durante il primo mandato aveva cercato di imporre la sua “presenza” nel sito culturale più celebrato dagli americani, esprimendo il desiderio di vedere il suo volto scolpito nel Monte Rushmore, monumento simbolo degli Stati Uniti che può aiutare a comprendere quanto una certa forma di nazionalismo – di certo, e per fortuna, non sempre portato all’estremo come nella propaganda trumpiana – abbia sempre alimentato l’identità culturale collettiva statunitense.
Per rendersene conto è sufficiente visitare il monumento in questione, impresa di indubbia abilità tecnica e impatto scenografico con pochi eguali al mondo. Dunque attrazione turistica tra le più visitate d’America – con 2,5 milioni di presenze all’anno – ma innanzitutto memoriale degli Stati Uniti prossimi a celebrare, il 4 luglio 2026, i 250 anni dalla firma della Dichiarazione d’Indipendenza che diede inizio alla loro storia.

Il Memoriale del Monte Rushmore
Il Memoriale del Monte Rushmore

La storia del Monte Rushmore. L’impresa e gli obiettivi

Percorrere il Viale delle bandiere e ritrovarsi in una sera d’estate tra il pubblico che, numerosissimo, assiste alla cerimonia di illuminazione del Monte – pretesto per celebrare la grandezza della storia americana, tra storie di veterani, inni a canzoni patriottiche intonate a gran voce e con un pizzico di commozione da tutti i presenti – significa immergersi a pieno in questa cultura. E aiuta a comprendere meglio perché Trump ambisca a vedersi ritratto nella roccia accanto a George Washington, l’artefice della nascita della nazione, Thomas Jefferson, colui che ne favorì lo sviluppo iniziale, Theodore Roosevelt, che supportò la crescita degli Stati Uniti, e Abraham Lincoln, che contribuì alla stabilità della nazione in uscita dalla Guerra Civile, e per questo morì assassinato.

Sulla parete sud-est del Monte Rushmore, nella catena delle Black Hills in South Dakota, i volti dei quattro presidenti americani scelti per aver rappresentato i valori democratici e dell’unità nazionale raggiungono i 18 metri di altezza. Furono scolpiti dallo scultore Gutzon Borglum, che recepì un’idea dello storico Doane Robinson però cambiando i soggetti, tra il 1927 e il 1941. Dopo di allora, si è più volte ipotizzato di ammettere nel gotha alcuni tra i successori più meritevoli di comparire, come Franklin D. Roosevelt, John Kennedy o Donald Reagan. Quella di Trump, però, è la prima autocandidatura, rispolverata di recente dalla proposta di legge di una deputata repubblicana. L’integrazione, con buona probabilità, non avverrà mai: innanzitutto, per mancanza di spazio sulla parete, peraltro estremamente fragile, da cui all’epoca dell’impresa furono rimosse circa 500.000 tonnellate di roccia tramite dinamite. Già Borglum dopo studi attenti delle criticità del sito e diverse modifiche apportate al progetto in corso d’opera, stabilì l’impossibilità di prevedere aggiunte successive. C’è poi il tema del merito: sebbene il dibattito sull’opportunità di “aggiornare” il pantheon dei presidenti spingendosi oltre i “4 Padri d’America” si riaccenda periodicamente, la figura di Trump è discussa e discutibile.

Il Monte Rushmore nel parco delle Black Hills
Il Monte Rushmore nel parco delle Black Hills

Donald Trump, il Monte Rushmore e la disputa con i Nativi Americani

Eppure uno dei presidenti più controversi della storia statunitense potrebbe imporre la sua presenza nell’area grazie a un escamotage alternativo, finanziando la realizzazione di un Giardino Nazionale degli Eroi Americani proprio vicino al Monte Rushmore. Trump ha già firmato l’ordine esecutivo per costruire il giardino, che dovrebbe ospitare 250 statue a grandezza naturale di figure storiche, grazie a uno stanziamento di 40 milioni di dollari che il Senato deve ancora approvare. Ma l’iniziativa ha riaperto una ferita mai guarita nel territorio che fu zona sacra delle tribù native americane prima dell’arrivo dei colonizzatori. Nel 1868, il Trattato di Fort Laramie riconosceva infatti l’appartenenza delle Black Hills al popolo Sioux: meno di dieci anni dopo, però, il governo degli Stati Uniti sequestrò la terra per l’estrazione dell’oro. E solo nel 1980 una sentenza della Corte Suprema ha sancito la violazione del trattato, proponendo un risarcimento di oltre 1 miliardo di dollari per le tribù coinvolte, che però hanno sempre rifiutato continuando invece a rivendicare i diritti sulla terra.
Il Memoriale del Monte Rushmore – che gli americani scelsero di realizzare proprio sulle rocce sacre dei Sioux Lakota, apponendo un sigillo indelebile su una conquista fatta di massacri e usurpazioni – è direttamente interessato da questa disputa. Come tutti i parchi nazionali e statali che si trovano in prossimità o all’interno di territori e riserve native, infatti, l’ente che lo gestisce è obbligato a interagire e collaborare con le nazioni tribali, rendendo conto del proprio operato.

Crazy Horse in costruzione
Crazy Horse in costruzione

Il Crazy Horse Memorial. Un esempio di pluralismo culturale

Non molto distante, intanto, è ancora molto lontano dal concludersi il cantiere ultradecennale del Crazy Horse Memorial, impresa monumentale e controversa quanto quella del Rushmore, da cui mutua l’idea. Nel rivendicare la sacralità della Black Hills, quasi istituendo una sfida con l’iconografia che celebra la magniloquenza a stelle e strisce, la tribù dei Lakota decise alla metà del Novecento di scolpire un monumento che raffigurasse il capo Cavallo Pazzo, trionfatore della battaglia di Little Big Horn contro il generale Custer. Impresa avviata nel 1948 anche a costo di tradire il rispetto per la terra alla base della cultura nativa americana – dunque con profusione di cariche esplosive per ottenere la più grande statua al mondo scolpita in una montagna – e non ancora portata a termine (a oggi sono stati completati solo il profilo del volto e il braccio teso di Cavallo Pazzo). Ma il Memoriale di Crazy Horse è anche una storia di famiglia: ad avviare i lavori, su commissione del capo Henry Standing Bear, fu lo scultore Korczak Ziolkowski, che alcuni anni prima aveva lavorato al fianco di Gutzon Borglum sul Monte Rushmore; e molti dei dieci figli avuti da Ziolkowski hanno proseguito l’impresa, passando oggi il testimone ai nipoti dello scultore. Il cantiere fu aperto con pochissimi mezzi a disposizione e tuttora si finanzia unicamente con i proventi dei biglietti di ingresso al memoriale e con le donazioni: non sono mai stati accettati contributi federali o statali, e anche per questo si procede a rilento. Tuttavia il sito si è trasformato in uno dei più interessanti centri culturali per la divulgazione e la valorizzazione delle culture native americane degli Stati Uniti, e ospita oggi l’Indian Museum of North America e il Native American Educational and Cultural Center, che promuove l’arte di artisti contemporanei delle tribù e fornisce spazi per esposizioni temporanee tematiche. Testimonianza concreta di quanto la pluralità culturale, in un Paese complesso come sono gli Stati Uniti, sia ancora in grado di resistere alla minaccia della monocultura.

Livia Montagnoli

L’articolo "Gli Stati Uniti tra nazionalismo e pluralismo culturale. L’esempio del Monte Rushmore e la storia dei Nativi Americani" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune

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