“Ho avuto una segnalazione da parte di Gucci perché, cercando su Google, uscivo prima io del brand. In televisione mi sono sentito usato”: lo rivela Bello Figo
- Postato il 23 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Paul Yeboah, conosciuto come Bello Figo, è il protagonista del nuovo episodio del podcast One More Time di Luca Casadei. Il rapper e youtuber, originario del Ghana, racconta il suo percorso dall’arrivo in Italia fino al successo musicale e alle controversie che lo hanno reso una figura di spicco sul web, dove ha ottenuto credibilità come artista urban. Arrivato a Parma a dodici anni, Yeboah ricorda i primi tempi in Italia come complessi: “Era tutto bello fin quando mi ritrovo a venire qua. Siamo atterrati a Milano, mi guardo intorno ed era un mondo diverso. Non mi sono mai ambientato, fino a un paio di anni fa”.
Descrive un’infanzia riservata e solitaria: “Dal 2004 me ne restavo solo nella mia cameretta perché sono timido e non uscivo mai. La cosa che mi ha aiutato tanto ad esprimermi è stata la musica”. La musica diventa presto il suo mezzo di comunicazione principale. “Ho iniziato a cantare e a scrivere in inglese seguendo i miei idoli. Poi mi hanno sfidato a farlo in italiano, ma non parlavo bene e ho aspettato fino al 2010, 2011″. L’obiettivo era riprendere l’energia dei modelli americani adattandola alla realtà italiana: “Non avevo filtri, cercavo di interpretare il loro personaggio. Mi veniva male, ma ci mettevo simpatia. Se non potevo mostrare le super macchine, almeno facevo ridere”.
Sul nome d’arte, agli inizi Bello Figo Gucci, racconta le controversie con la casa di moda fiorentina: “C’è stata una segnalazione da parte di Gucci perché, cercando su Google, uscivo prima io del brand. Dopo un confronto hanno capito che ero solo un ragazzino che voleva fare musica e ci sono passati sopra. Ho mantenuto il nome Bello Figo”.
La svolta arriva con “Non pago affitto”: “Era la fase in cui vivevo con i miei e non trovavo lavoro. Non parlava di politica, poi è stato associato al tema degli immigrati”. L’attenzione mediatica si intensifica: “Mi chiamano in tv, mi dipingono come un profugo. Io ridevo, ma mi sono sentito usato”.
Il successo porta anche tensioni personali: “Mai pensato che una canzone fatta in cameretta potesse arrivare così in là. I miei amici si vergognavano di me”. Le polemiche attirarono anche l’attenzione delle autorità: “La Digos mi è venuta in casa per segnalarmi minacce alle serate. Io sapevo la mia direzione, non volevo offendere nessuno”.
(Video dal podcast “One more time” di Luca Casadei – Onepodcast)
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