“Ho parlato con Maduro, ecco come è avvenuta la liberazione di Schiavo. Speranza per Trentini e altri detenuti”

  • Postato il 14 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Quando si salva un uomo, si salva il mondo intero”. Poche parole, ben ponderate, raccontano il senso di sette mesi di mediazione: quella di Gianni La Bella con il presidente venezuelano Nicolas Maduro per il rilascio dell’imprenditore italiano 67enne, Oreste Alfredo Schiavo, recluso da cinque anni a Helicoide, il carcere di Caracas sorvegliato dal Servizio bolivariano dell’intelligence (Sebin). “Una vicenda piccola, ma grande al tempo stesso” perché “una porta è stata aperta”, dice La Bella, che ha condotto l’operazione per conto della comunità di Sant’Egidio. E si riferisce anche ad Alberto Trentini – il cooperante di Lido Venezia recluso dallo scorso 15 novembre nel Paese e per il quale la diplomazia italiana è al lavoro da mesi – e ad altri prigionieri italiani ancora reclusi nel Paese. Docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, studioso di America Latina e già coinvolto nei colloqui di pace in Colombia, La Bella ha portato avanti la delicata trattativa al Palacio de Miraflores.

Come ha avuto inizio la mediazione della Comunità di Sant’Egidio in questo caso?
La comunità è stata coinvolta fra ottobre e novembre dello scorso anno da alcuni missionari e ha esplorato le possibili strade con la Chiesa locale e con il mondo politico venezuelano. Poi stata presentata la richiesta di liberazione di Schiavo alla discrezionalità del capo dello Stato. Il tutto è stato possibile per la terzietà e la credibilità della Comunità, che in passato ha già lavorato in Venezuela. Inoltre ha promosso il processo di pace in Colombia e contribuito alla fine della guerriglia in Guatemala, dove sono state fatte tacere le armi. Usando le parole pronunciate poco fa da papa Leone XIV: operiamo per «una pace disarmata e disarmante».

Maduro ha liberato Schiavo, ma cosa ha ottenuto in cambio?
Il suo è stato un segnale di apertura: io non ho portato né incenso, né mirra. Ho semplicemente avuto l’opportunità di sostenere un lungo colloquio con il presidente Maduro, che ringrazio di aver concesso l’indulto a Schiavo. Con Maduro ho parlato di tante cose, tra cui la liberazione di Schiavo, la situazione dei prigionieri politici – alcuni ufficialmente fermati per reati comuni – e la crisi del Paese. Era interessato anche ad alcuni temi di politica estera. Lui mi ha illustrato la sua visione della realtà, io la mia. È stata una conversazione franca, dopodiché l’incontro e il dialogo appartengono al dna degli uomini. Se Gesù stesso si è fermato con tutti chi sono io per non farlo? Questo non vuol dire che io condivida il pensiero o l’azione del mio interlocutore. E direi si sia costruito un ponte di cui potranno beneficiare molti.

Come è nata la possibilità di questo incontro?
Il colloquio è avvenuto tra la morte di papa Francesco e l’elezione di papa Leone XIV. Nessuno può nascondere la popolarità avuta da papa Francesco in Venezuela, dove molta gente ha pianto per la sua morte. Lo stesso presidente venezuelano ha avuto un rapporto diretto con Bergoglio: si confessa e si sente cattolico. L’erede di Hugo Chavez è anche consapevole del peso e della rilevanza sociale che la Chiesa ha nel Paese. Ma anche della necessità di collaborare con le autorità ecclesiali, sempre presenti a facilitare percorsi di dialogo e transizione, come accaduto in Cile e in Polonia. E questo l’ho constatato di persona nelle conversazioni con l’arcivescovo di Caracas e con il nunzio apostolico ma anche durante visitando il Santuario di Isnotù, nello stato Trujillo, dove si trovano le spoglie di José Gregorio Hernández, il primo santo del Venezuela canonizzato proprio da Bergoglio. Lì ho trovato la Chiesa di popolo di ha sempre parlato papa Francesco. Dalla fede in comune sono nate premesse umane e di linguaggio che aprono le porte al dialogo.

Nelle carceri venezuelane ci sono altri detenuti italiani, tra cui Alberto Trentini. Cosa ci si può aspettare?
Direi che si sia aperto uno spiraglio di speranza, speriamo passi più luce possibile. Di certo la liberazione di Schiavo insegna che si può liberare qualcuno: le autorità del Venezuela lo hanno fatto e possono ancora farlo. E qui il pensiero va ad Alberto Trentini. Quanto alla situazione del Venezuela, servono più sforzi. Non sempre coloro che si oppongono a Maduro hanno impiegato modi consoni per deporre il presidente in carica. L’opposizione non ha sempre cercato il dialogo, ma ha contribuito a cristallizzare la crisi del Paese. E tutto ciò ricade sugli ultimi: le dure condizioni di vita per il Paese, la mancanza di speranze e alternative per un’intera generazione. C’entrano anche le sanzioni in un contesto di rottura del quadro internazionale con dinamiche tipiche della guerra fredda.

Lei è studioso di Aldo Moro. Ha influenzato la sua mediazione?
Moro è stato senza dubbio un punto di riferimento per l’America Latina, sempre disposto a integrare le diversità. Ci sono inoltre non poche consonanze tra il contesto politico italiano e quello venezuelano come l’urgenza, allora, di costruire una democrazia dopo un’epoca di dittatura. Non bisogna avere paura del compromesso, parola che spesso ha un’accezione negativa. È solo incontrando l’altro che la diversità trova spazio. La nostra Costituzione è ad esempio frutto di un grande compromesso tra le anime cristiana, liberale e socialcomunista del Paese. E in Venezuela lo è stato anche il Pacto de Punto fijo del 1958, di chiara ispirazione morotea, che era un accordo tra le forze politiche democratiche al fine di prevenire derive autoritarie. Una cosa è certa: nessuno si salva da solo, come disse papa Francesco il 27 marzo 2020 in piazza San Pietro.

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Il Fatto Quotidiano

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