I miti spiegano la realtà: dalla violenza alla nazione, cosa funziona in Africa (e non solo)
- Postato il 6 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Viviamo di miti e cioè di racconti o narrazioni che offrono credibili spiegazioni della realtà che ci circonda. Sono caratterizzati da eroi, dei o personaggi fantastici che influiscono sull’interpretazione del mondo e dettano scelte, comportamenti e visioni credibili della realtà. Ogni epoca e cultura, anche quelle ritenute ‘scientifiche’ o ‘tecnologicamente avanzate’, ha i suoi miti, evidenti o impliciti, riconosciuti o mascherati da apparente razionalità. Nella vita reale sono i miti accettati o subiti che orientano buona parte delle azioni che compiamo. I miti sono anche ciò che può manipolare la realtà onde renderla funzionale al tipo di mondo e dunque di potere che ogni narrazione perpetua.
In Africa uno dei miti che va per la maggiore è quello della durata ‘divinamente voluta’ dei mandati presidenziali. La componente mitica del potere, pensato come espressione di un’elezione dai contorni divini, fa supporre che il capo non cerchi che il bene e la difesa del popolo. Non casualmente si allungano o trasformano la durata dei mandati che le costituzioni opportunamente avevano regolato per evitare abusi di potere. Quindi si cambia la costituzione o si inventano sistemi per aggirarne i limiti fino, se necessario, al colpo di stato istituzionale o a quello che passa attraverso le armi.
Quest’ultimo mezzo apre la via al secondo e altrettanto allettante mito: quello della violenza e dunque delle armi che aiutano a tradurla in pratica come mezzo di trasformazione o di conquista del potere. Dietro questo mito si trova quello dei sacrifici umani che, soli, garantirebbero le fondamenta della stato, della nazione e la sua identità. I cimiteri, le fosse comuni, i monumenti e le feste nazionali sono solo alcune delle espressioni di questo mito fondatore della storia. La facilità con cui si fabbricano, commerciano, usano e prosperano gli armamenti non è casuale. Il mito della potenza, nato con lo stato e da esso nutrito, non ha memoria. Il mese prossimo si realizzerà l’80esimo anniversario dell’esplosione atomica a Hiroshima. Questa tragedia è volutamente dimenticata.
I regimi militari che sembrano accompagnare la vita politica di una parte consistente dei Paesi del Sahel sono anch’essi visti come ‘mitica’ soluzione alla corruzione del sistema politico organizzato attorno ai partiti e alle costituzioni. Sarà l’uniforme, le armi tenute in riserva, l’apparente o reale disciplina che sembrano incarnare, ma i militari come via di salvezza per il popolo si affermano come un altro mito che riesce ad aggregare ideali, giovani e aspirazioni sopite. La disciplina e l’uomo forte dallo statuto simile a quello dello sceriffo, gemellato con l’idea del re tradizionale, offrono ai militari una riserva quasi inesauribile di fiducia del popolo. I miti sono spesso e volentieri militarizzati e armati.
Infine è la nazione, intesa come popolo che si identifica dentro uno spazio geografico e culturale prescelto per l’eternità, uno dei grandi miti creati della modernità. I confini, le bandiere, l’esercito, la cultura e la religione formano, così si pensa, un tutto omogeneo e coerente, frutto di una mitica discendenza fatti di eroi, navigatori e santi. Le competizioni sportive con l’inno nazionale, cantato con la mano sul cuore dagli atleti, rappresenta quanto di più emozionante ci sia nella vita. La nazione mitizzata si afferma come unico ambito identitario e garanzia per usufruire dei diritti inerenti al cittadino. Alle frontiere si fa esperienza, spesso drammatica, di questo mito nazionale.
Al confine infatti i ponti spesso diventano muri, reticolati, zone di non-diritto o di commercio transfrontaliero. I fiumi, i mari e i deserti si trasformano troppe volte in cimiteri non custoditi. Il mito che ne assicura il supporto simbolico sembra godere di un futuro assicurato. Ecco perchè smitizzare l’immaginario ereditato e fare dei poveri e oppressi la propria ‘patria’ è l’unico sentiero da seguire.
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