Il 5% per la Nato primo passo verso la Difesa europea
- Postato il 1 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Il 5% per la Nato primo passo verso la Difesa europea
Il 5% del Pil per la difesa europea. Le cinque domande su costi, conti e sovranità. L’incremento di un punto e mezzo per l’Italia si può finanziare aumentando le entrate o riducendo le spese permanentemente.
L’accordo raggiunto al vertice Nato dell’Aia il 25 giugno del 2024, che prevede il raggiungimento di un obiettivo del 5 per cento del Pil per la spesa per la sicurezza per i paesi membri da raggiungere entro un decennio, solleva numerosi interrogativi. A qualche giorno di distanza dall’accordo, utile allora provare ad articolare qualche risposta. Probabilmente no. La cifra simbolica del 5 per cento del Pil, più che essere basata su elementi oggettivi, è stata scelta soprattutto per compiacere il presidente americano, che vi aveva fatto cenno in qualche occasione pubblica. Il servilismo mostrato del nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, nei confronti del tycoon americano non dà solo una misura della qualità dell’uomo, ma è indicativo del vero e proprio terrore che suscita tra i partner europei la prospettiva di essere lasciati soli a confrontarsi con la crisi ucraina e gli altri rischi geo-politici.
L’obiettivo fondamentale del vertice dell’Aja era poter avere la firma di Donald Trump al documento finale del summit dove si ribadisce che “l’attacco ad un membro della Nato è un attacco a tutti”, nella speranza che una dichiarazione congiunta sia sufficiente a garantire l’impegno del volubile presidente americano.
LA SPESA EUROPEA PER LA DIFESA E LE LACUNE
È inoltre vero che gli stati europei membri della Nato collettivamente già spendono molto per la difesa (più della Russia) e che un maggior coordinamento e una maggiore interoperabilità dei sistemi d’armamenti dei singoli sarebbe sufficiente a rendere molto più efficace la difesa europea, senza bisogno di spendere di più. D’altra parte, è anche vero che gli europei sono molto indietro nel campo nei cosiddetti “strategic enablers” (intelligence e sorveglianza satellitare, cybersecurity, difesa missilistica etc.) che è stata finora delegata interamente agli americani. E senza questi, la capacità difensiva degli europei resterebbe comunque limitata. Se la maggior spesa europea servisse almeno in parte a colmare questi divari sarebbe utile.
L’accordo Nato prevede che l’obiettivo del 5 per cento di spesa sulla difesa sul Pil si articoli su due categorie: il 3.5 per cento sulla spesa per la difesa vera e propria, come tradizionalmente computata in sede Nato e l’1.5 per cento per la sicurezza in termini generali, che include le infrastrutture e la loro protezione, la protezione delle reti, cybersecurity inclusa, la sicurezza della popolazione civile e così via. Sulla base della classificazione Nato – che è più ampia di quella normalmente utilizzata per i confronti internazionali – l’Italia ha speso per la difesa nel 2024 l’1.5 per cento del Pil, cioè circa 33 mld di euro.
Considerando che il Pil italiano è stato nel 2024 pari a circa 2.200 miliardi di euro, per arrivare al 3.5 l’Italia dovrebbe dunque spendere tra i 40 e i 45 mld in più all’anno (in euro 2024); per arrivare al 5 del Pil tra i 75 e gli 80 mld in più.
STRATEGIA ITALIANA E IMPEGNI DI SPESA
Comunque: A) Il governo italiano sta cercando di convincere la Nato che in realtà l’Italia spende già il 2 per cento del Pil, attribuendo alla spesa per la difesa anche alcune poste di bilancio tradizionalmente escluse (capitanerie di porto, guardie costiere, etc.). Tentativo già fatto in passato senza successo per la verità, ma che, se adesso funzionasse, richiederebbe al paese uno sforzo finanziario minore per raggiungere il 3,5 per cento del Pil, cioè appunto altri 33 mld circa in euro 2024. Secondo le anticipazioni di stampa, questa è in effetti la cifra su cui si starebbe orientando il governo, con l’idea di incrementare ogni anno, a partire dal 2026 e per i prossimi dieci anni, la spesa dello 0,15 per cento del Pil, così da raggiungere nel 2035 l’obiettivo cercato.
B) In teoria, anche l’1.5 per cento di Pil in più che mancherebbe ancora per raggiungere il 5 per cento dovrebbe essere spesa addizionale rispetto all’esistente. Tuttavia, data l’ampia casistica in cui si articola questa categoria, è probabile che si tratti di spese che in larga misura avremmo fatto comunque o almeno questa è l’interpretazione fornita dal governo. Non ci dovrebbero dunque essere impegni addizionali di spesa per questa componente. Andrebbe anche rimarcato che l’accordo Nato è un impegno politico, non un accordo vincolante sostenuto da sanzioni, come del resto era già l’accordo del 2014 sul 2 per cento e che è stato infatti disatteso da molti paesi membri. In altri termini, si spenderà sicuramente di più per la difesa in Europa e in Italia; se fino al 5 per cento previsto è lecito dubitarne.
IMPATTO ECONOMICO E INDUSTRIA DELLA DIFESA
La risposta dipende molto da dove si spende e in quanto tempo. La spesa per la difesa italiana è per il 60 per cento spesa per il personale (mentre la media dei paesi europei che sono anche membri della Nato è circa del 40 per cento); pare ovvio che l’Italia dovrebbe dunque spendere soprattutto sull’acquisto di nuovi macchinari bellici e altre spese operative (per esempio, esercitazioni) piuttosto che sull’assunzione di maggior personale. Per gli effetti economici, il punto rilevante è se la maggior spesa prenderà la forma di maggior acquisti dall’estero (cioè, in larga misura dagli USA) o se si riuscirà a spendere acquistando di più a livello nazionale o almeno europeo, come risultato di un accordo reciproco.
Nel primo caso, si tratta di risorse che vanno all’estero e dunque l’impatto sulla economia è zero. Nel secondo caso, è presumibile qualche effetto positivo in termine di domanda aggregata e dunque di crescita (il moltiplicatore keynesiano). Ma oltre all’impatto immediato, in questo secondo caso, a seconda della tecnologia considerata ci sarebbe anche la possibilità di spill-over positivi sul settore privato, in particolare per la componente ricerca e sviluppo.
LA NECESSITÀ DI UN’INDUSTRIA EUROPEA DELLA DIFESA
Per questo la tempistica è importante; sebbene l’Italia abbia alcune importanti imprese operanti nel campo della difesa (per esempio, Leonardo, Finmeccanica) è ovvio che, se gli acquisti devono essere fatti in fretta o su macchinari che comunque l’industria europea non è al momento in grado di produrre buying America resta l’unica soluzione; altrimenti, buying Europe diventa una possibilità. Ma perché questo sia davvero possibile è necessario costruire una industria sulla difesa integrata a livello europeo, eliminando tutti i vincoli indotti dalla legislazione nazionale a difesa dei produttori nazionali e mettendoli in concorrenza, anche per ridurre i prezzi. E questo richiede tempo e un forte impegno condiviso a livello europeo.
Il ReArm EU (Readiness 2030) della Commissione rappresenta un primo passo in questa direzione, perché i finanziamenti agevolati del Safe (i 150 miliardi per prestiti messi a disposizione dalla UE) possono essere richiesti solo a sostegno di progetti comuni. Si tratta però di un passo ancora ampiamente insufficiente, sia per le dimensioni delle cifre messe a disposizione che per i limitati vincoli sui progetti comuni.
IMPATTO SUI CONTI PUBBLICI E ALTERNATIVE DI FINANZIAMENTO
Sul piano dei conti pubblici, dipende da come si finanzia questa spesa addizionale. Se con maggior indebitamento, anche scontando qualche effetto positivo sul Pil, è chiaro che la maggior spesa implicherà un ritardo nel processo di risanamento dei conti pubblici e forse anche l’impossibilità di porre il rapporto debito su Pil su una traiettoria decrescente, così come l’Italia si è impegnata a fare con il Piano strutturale e di bilancio per il 2025-31. Il rapporto dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio di giugno 2025 contiene alcune stime che confermano ampiamente queste previsioni. Anche se l’Italia ricorresse ai prestiti Safe per finanziare (in parte) la maggior spesa con indebitamento il beneficio sarebbe limitato; un risparmio di circa 40 milioni di spesa per interessi all’anno (su un totale che già sfiora i 90 miliardi) per 10 miliardi di spesa addizionale finanziata da prestiti Safe.
Del resto, c’è poco da fare. Siccome l’incremento della spesa della difesa di un punto e mezzo di Pil è previsto come permanente, questo può essere finanziato senza impattare sugli equilibri di bilancio solo o con un incremento permanente delle entrate o con una riduzione permanente delle spese o una combinazione delle due.
COORDINAMENTO NATO E NECESSITÀ DI UNIFICAZIONE POLITICA EUROPEA
Non ci sono alternative. Non sono necessariamente in contraddizione. I paesi EU che appartengono alla Nato già si coordinano in questa sede e non avrebbe probabilmente molto senso immaginare di costruire da zero un sistema parallelo. Il punto è che al momento la Nato è sotto stretto controllo degli USA, che contribuiscono da soli a oltre metà del finanziamento complessivo. Tuttavia, Trump o non Trump, è molto probabile che gli americani finiranno comunque per ritirarsi del tutto o in parte dallo scenario europeo, perché non lo considerano più strategico e anche perché non sono più in grado di finanziare una spesa così massiccia per la difesa. Sarebbe dunque importante che gli europei si preparassero a sostituirli, in termini di risorse ma anche di uomini e capacità di gestione.
VERSO UNA DIFESA EUROPEA INTEGRATA E L’UNIFICAZIONE POLITICA
È una questione di tempi, con un passaggio che idealmente dovrebbe essere graduale e che dovrebbe consentire agli europei di ottenere quelle capacità militari che al momento mancano completamente e che sono state appaltate del tutto agli americani. Il coordinamento in sede Nato avrebbe anche il vantaggio di inglobare già paesi europei importanti per la difesa che appartengono alla Nato ma non alla UE, a cominciare dal Regno Unito. Questo andrebbe poi coordinato con quello che già si sta facendo a livello UE per la difesa comune, magari con accordi specifici tra i paesi UE e gli altri.
Alla fine, però, accordi tra paesi sovrani restano comunque limitati. Se l’obiettivo è davvero quello costruire una difesa europea e acquisire una capacità di incidere a livello globale, a difesa degli interessi e i valori europei, è ineludibile affrontare il tema di una maggiore unificazione politica. I paesi interessati (certo solo un sottoinsieme degli attuali paesi UE, visto le divergenze esistenti) dovrebbero essere disponibili a cedere sovranità su difesa e politica estera a istituzioni sovranazionali, sottoposte a controllo democratico, come quelle sviluppate in ambito UE.
Il Quotidiano del Sud.
Il 5% per la Nato primo passo verso la Difesa europea