Il consiglio musicale del mese: Cardiacs, A Little Man and a House and the Whole World Window

  • Postato il 31 agosto 2025
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Chi già conosce i Cardiacs apprezzerà in modo particolare il consiglio musicale del mese di settembre! Chi non li conosce, e suppongo che siano molti, è bene che sia avvisato subito: state per essere trasportati in un mondo in cui le note e i ritmi si assemblano in maniere che non avete mai ascoltato prima!

Nonostante una lunga carriera nella musica, iniziata alla fine degli anni Settanta, e un grande riconoscimento in Gran Bretagna, sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori, i Cardiacs si sono sempre mossi in una zona d’ombra, al di fuori del mainstream. Tutte le produzioni dei Cardiacs sono infatti autoproduzioni, pubblicate sotto l’egida della loro etichetta Alphabet Business Concern. Questa è una delle principali ragioni per cui molti non ne hanno mai sentito parlare. Eppure, nella loro storia, hanno anche avuto diversi passaggi radiofonici, in patria come all’estero, perfino qui da noi in Italia, anche se solo su emittenti alternative.

Dopo aver registrato due demo tapes tra il 1980 e il 1981 e due mini-album nel 1984 e nel 1986, arrivano al loro vero e proprio esordio discografico nel 1988, dopo dieci anni di attività prevalentemente live, proprio con questo A Little Man and a House and the Whole World Window. In seguito, pubblicheranno altri quattro album in studio, oltre a una serie di album dal vivo, di raccolte e un DVD live. Anche se diversi critici musicali insistono che la migliore produzione dei Cardiacs sia il loro quarto doppio album Sing to God del 1996, io ho preferito qui proporvi il sound dei Cardiacs degli inizi, quello che ha letteralmente sconvolto le orecchie degli ascoltatori degli anni Ottanta e che andrebbe sempre tenuto presente quando si parla della cosiddetta “musica degli anni Ottanta”.

Per chi volesse approfondire la conoscenza dei Cardiacs, c’è da dire che qualsiasi dei loro album contiene un elevatissimo tasso di qualità e di innovazione sorprendente. Ma i due album successivi, On Land and in the Sea del 1989 e Heaven Born and Ever Bright del 1992, sono probabilmente fra i più rappresentativi. Ah, e non dimentichiamo che a breve uscirà un nuovo attesissimo album, intitolato LSD, la cui produzione era stata interrotta nel 2008 a causa di una malattia debilitante del leader Tim Smith.

La terza traccia dell’album è Is This the Life?, brano estratto come singolo e divenuto in seguito uno dei brani simbolo della band. Questo è il video ufficiale.

Per avere un’idea dell’importanza dei Cardiacs sulla scena musicale internazionale, basti pensare alla quantità e varietà di musicisti che li hanno indicati come un riferimento e un’ispirazione: tra i tanti, i Blur, Mike Patton, i Tool, i Marillion, Steven Wilson, i Napalm Death, Dave Grohl… Il Royal Conservatoire of Scotland nel 2018 ha conferito a Tim Smith una laurea honoris causa, indicando nelle motivazioni anche la sperimentazione con tecniche compositive all’avanguardia, ideate da Messiaen negli anni Quaranta.

I Cardiacs hanno visto moltissimi cambi di formazione durante la loro storia, con i due fratelli fondatori Tim e Jim Smith come unici membri sempre presenti. La sassofonista Sarah Cutts, in seguito Sarah Smith dopo il matrimonio con Tim, è entrata nei Cardiacs nel 1980, divenendo anche lei un’icona importante della band. Nel 1983 si associa alla band il tastierista William D. Drake, che darà al sound dei Cardiacs un timbro inconfondibile. Jon Poole, altro personaggio importante della storia più recente dei Cardiacs, è entrato nella band nel 1991, principalmente come chitarrista, nonostante lui abbia il ruolo di bassista in diversi altri interessanti progetti musicali.

Nel 2003 è entrato nel gruppo anche Kavus Torabi, chitarrista che oggi è anche alla guida della nuova incarnazione dei Gong dopo la morte di Daevid Allen. E, oltre a questi, molti altri musicisti si sono succeduti, a volte anche passando dal ruolo di roadie o di amministrativi della Alphabet Business Concern a quello di musicisti. Insomma, una grande famiglia, una tribù che si è spesso presentata dal vivo con una formazione di otto musicisti sul palco, con organici strumentali piuttosto inusuali.

A Little Man and a House and the Whole World Window è stato registrato dal sestetto che viene riconosciuto dai fan dei Cardiacs come la formazione “classica”: Tim Smith alla voce e chitarra, Jim Smith al basso e voce, Sarah Smith ai fiati, William D. Drake alle tastiere, Dominic Luckman alla batteria e Tim Quy alle percussioni e al sintetizzatore. La title track che apre l’album ci dà un chiaro esempio dell’importanza del sound delle tastiere di Drake nella definizione dello stile della band.

In questo primo brano, viene anche presentato uno dei temi musicali che ritornerà all’interno di altre canzoni dell’album, quasi si trattasse di un concept album: “That’s the way we all go” (È quello che facciamo tutti). Non è solo il testo a ritornare, ma l’intera frase musicale, anche se a un primo ascolto è difficile rendersene conto, perché veniamo sopraffatti dall’intrico di temi e melodie che si succedono in maniera inattesa.

Le tessiture all’interno dell’album

Come avrete capito dai primi due brani proposti, si tratta di un album che molti definirebbero “strano”. Il che, tradotto, significa che è sorprendente, che non si allinea a ciò che ci si aspetta, né ritmicamente, né melodicamente, né armonicamente e neanche a livello di struttura delle canzoni. Eppure, se si è disposti ad ascoltare con curiosità, invece di far scorrere la musica in secondo piano come se fosse una colonna sonora della nostra vita quotidiana, è un album godibilissimo. Un album che però rivendica un ruolo importante alla musica, come una forma d’arte e non un oggetto di ornamento di uno spazio o di riempimento di un tempo.

Nel complicato intrico di ritmi e melodie, alcuni temi musicali ritornano ogni tanto da un brano all’altro, come a voler costruire un filo conduttore, tipico dei concept album. E in effetti, un tema di fondo che accomuna l’intero svolgimento dell’album c’è, ma in una maniera che è nuova e diversa anche per i concept album. Qui abbiamo un piccolo uomo, in una piccola casa, e fuori dalla finestra può vedere il mondo intero, ma il mondo non vede lui: una metafora psicologica, ma anche sociologica. I testi, d’altra parte, sono piuttosto oscuri. In generale, però, mi sembra di poter dire che l’album ci porta da una prospettiva dei drammi personali a quella delle questioni sociali, come a dimostrare che si tratta di due facce della stessa medaglia. La seconda traccia è In a City Lining.

Una band incredibile dal vivo

Nonostante tutte le disquisizioni sulla complessità della loro musica e sui riferimenti aulici a compositori di musica contemporanea, i Cardiacs sono una band squisitamente rock. E, in quanto tale, la loro dimensione per eccellenza è il live. Già dagli inizi degli anni Ottanta, i concerti dei Cardiacs erano curati fin nei minimi dettagli. I musicisti entravano in scena con costumi un po’ barocchi, ma anche molto mal messi, e un pesante trucco in faccia.

Durante tutta l’esibizione, Tim Smith mostrava un comportamento infantile da bambino capriccioso, bullizzando continuamente gli altri membri della band, in particolare il fratello al basso. E anche le loro reazioni erano inscenate come la rappresentazione di un personaggio. Insomma, le persone reali erano completamente nascoste da queste maschere temporanee e le ingiustizie della società rappresentate come capricci infantili, in un gioco in cui anche il pubblico era partecipe.

Verso la fine dei concerti, comparivano sul palco anche i manager della Alphabet Business Concern, anche loro in genere mascherati. Le loro esibizioni divennero ben presto molto apprezzate in Gran Bretagna. Nel 1984, i Cardiacs furono chiamati dallo stesso Fish ad aprire i concerti del tour dei Marillion. Poiché molti dei fan della band progressive facevano fatica all’epoca ad accettare questo atteggiamento fondamentalmente punk, vennero più volte contestati. Al punto che Fish in persona (non dimentichiamolo, un armadio scozzese di oltre due metri di altezza…) uscì sul palco durante una loro esibizione per intimare al pubblico di smettere. Qualche anno dopo, nel 1992, i Cardiacs erano invece headliners in un concerto a Londra aperto dai Radiohead.

Dive è la quinta traccia dell’album, che nel video è proposta dal vivo.

Genere? Quale genere?

Se avete avuto la pazienza di guardare i video e, soprattutto, di ascoltare i brani che vi ho proposto finora, una domanda vi sarà certamente sorta: ma che genere musicale è questo? Per molti, soprattutto critici musicali, i Cardiacs dovrebbero essere inseriti nell’ambito del progressive rock: le loro soluzioni ritmiche e melodiche sempre sorprendenti e mai banali sarebbero infatti da associare alle intricate strutture dei Gentle Giant e alle spericolatezze di Frank Zappa. Lo stesso Tim Smith, in un’intervista, ha però dichiarato di non essere d’accordo, affermando che la sua band faceva pop, con un po’ di psichedelia.

Altri hanno invece messo l’accento sull’atteggiamento punk che emerge da molte canzoni dei Cardiacs, arrivando a definirli come l’anello di congiunzione tra il punk e il prog e coniando un termine apposito per indicare il loro genere musicale: pronk. C’è poi chi, concentrandosi sulla messa in scena surreale dei loro live, li ha visti come dei precursori di quello che sarà poi definito “pop barocco”.

Ma i Cardiacs sfuggono con grande maestria da ogni definizione di genere, creando una musica che è sempre nuova, sempre interessante, sempre sorprendente e che non cerca la protezione di una bandiera o l’approvazione di nessuno sulla base di una presunta appartenenza a un genere musicale. È una musica che ha il coraggio di essere quello che è, di presentarsi a noi con tutte le sue bizzarrie e di porci domande, invece di offrirci risposte già confezionate e non richieste.

R.E.S. è il penultimo brano dell’album, dove sentiamo chiaramente il ritorno del tema di “That’s the way we all go”: un brano in cui la ritmica vagamente punk è giustapposta a temi melodici da cantilena infantile e poi smembrata e ricomposta in virtuosismi ritmici che sono sempre una sorpresa nuova. E nel testo, il “give me something I don’t need” (dammi qualcosa di cui non ho bisogno) sembra quasi riecheggiare la critica a chi preconfeziona risposte non richieste.

 

Un album fondamentale

Questo, in sostanza, è un album sempre nuovo e sorprendente. A distanza di quasi mezzo secolo dalla sua pubblicazione, ancora oggi A Little Man and a House and the Whole World Window risulta innovativo e fresco. Provate a immaginare l’effetto dirompente che può aver avuto nel 1988! Sicuramente, questo è un album che chiunque dovrebbe ascoltare.

L’ultima traccia è The Whole World Window, in cui in qualche modo il mondo fuori dalla finestra cambia e il piccolo uomo nella casa vola nel cielo attraverso la finestra, seguendo una figura femminile, forse l’amata, forse la madre… “E mi ricordo che mia madre mi diceva di lasciar perdere tutti i miei giocattoli divertenti, che non avrebbero fatto un uomo di me, e crescere è una cosa interessante da fare, non è così?” Questa sì che è una bella domanda!

 

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Blitz

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