Il fantasma dell’Urss funziona ancora contro le critiche al libero mercato. Ma così non vediamo i nostri guai
- Postato il 12 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Blackbird
Per decenni ci hanno raccontato una favola rassicurante: noi, l’Occidente, eravamo il regno della libertà, dell’abbondanza e delle infinite opportunità; loro, l’Unione Sovietica, erano il grigiore, la fame e la coda davanti al negozio vuoto. Una narrazione perfetta. Peccato che, come tutte le favole, servisse più a tranquillizzare i cittadini che a raccontare la realtà.
Durante la Guerra Fredda, l’esistenza dell’Urss era un pungolo costante. Per dimostrare che il capitalismo era “più umano” del socialismo, l’Occidente ha inventato (e finanziato) welfare generosi, scuole pubbliche efficienti, sanità universale, case popolari di qualità. Il messaggio era implicito: “Non serve la rivoluzione, qui viviamo già meglio di loro”.
L’Urss era un sistema a partito unico, sì, ma con comitati e assemblee che eleggevano rappresentanti all’interno di un quadro ideologico preciso. Non era la nostra democrazia, almeno quella che con mille difficoltà esprimeva pluralità negli anni della guerra fredda, ma non era nemmeno la caricatura monocromatica che la propaganda ci ha venduto. E dentro quel sistema sono nate vette artistiche straordinarie, pur sotto censura, scuole d’arte e di ingegneria rinomate.
In Occidente basta un algoritmo di una piattaforma streaming o un editore timoroso per silenziare un’opera “non monetizzabile” senza bisogno di polizia politica. La censura sovietica era diretta, brutale, dichiarata. La nostra è morbida, invisibile, fatta di interessi pubblicitari, lobbying, linee editoriali “prudenziali” e algoritmi che seppelliscono ciò che non porta profitto o che disturba troppo, basta vedere video e storie rimosse sui social di chi denunciava quello che succede a Gaza o raccontava una versione differente sulla guerra russo-ucraina. È più elegante, ma proprio per questo più difficile da combattere.
Negli anni 90, con il crollo dell’Urss, scompare il bisogno di dimostrare qualcosa ai cittadini. E allora arrivano le privatizzazioni selvagge, lo smantellamento graduale della sanità e della scuola pubblica, il lavoro sempre più precario, presentato come “flessibile”, esplodono le disuguaglianze. Ma non c’è niente di cui preoccuparsi, c’è sempre un documentario in tv sulle file sovietiche per il pane, così puoi ricordarti che “poteva andare peggio”.
Il trucco è stato questo: raccontare l’Urss come un inferno senza sfumature, ignorandone i punti di forza — uguaglianza materiale, accesso universale a casa, lavoro, sanità, istruzione — per impedire alla gente di chiedere: “Perché non possiamo avere certe cose, senza rinunciare alle libertà politiche?”. Meglio dire che tutto era marcio, così nessuno si fa domande. Oggi, basta evocare la parola “comunismo” per neutralizzare qualsiasi critica al mercato totale. Intanto, mentre ridiamo delle loro code per il pane, noi facciamo file interminabili ai pronto soccorso; mentre accusiamo loro di avere “un solo partito”, da noi i partiti si moltiplicano solo per dire le stesse cose.
Il nemico è morto da trent’anni, ma il fantasma funziona ancora benissimo: finché guardiamo nello specchio rotto dell’Urss, non ci accorgiamo della polvere che abbiamo in casa e, soprattutto, ci convinciamo che non abbiamo alternative.
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