Il gabbiano vent’anni dopo: così, per amore del teatro, Arkadina e Nina si riavvicineranno

  • Postato il 27 ottobre 2025
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Notissime sono le parole con le quali Anton Cechov nell’ottobre 1895 annunciava Il Gabbiano all’amico Suvorin: “E’ una commedia con tre ruoli femminili, sei ruoli maschili, quattro atti, un paesaggio (vista sul lago), numerose discussioni letterarie, poca azione e cinque pud di amore”; come dire, amore a tonnellate.

Ma il problema è che, quando queste tonnellate sono mal distribuite e peggio indirizzate, l’amore diventa fonte sicura di infelicità, come purtroppo accade molto spesso nella vita reale. E come accade appunto nel Gabbiano, dove tutti, o quasi, amano senza essere ricambiati.

Il giovane scrittore Treplev, di cui è innamorata infelicemente Masha, ama la giovane Nina, per la quale scrive una commedia, ma Nina si invaghisce del letterato di successo Trigorin, a sua volta compagno di qualche anno più giovane della madre di Treplev, la famosa attrice Arkadina. Alla fine, trascorsi due anni, il colpo di pistola che Treplev si spara, fuori scena, arriva a suggellare col sangue la commedia, gettando su di essa una luce tragica.

Il copione che ho fra le mani, After Kostja, di Livia Castiglioni, immagina Il gabbiano vent’anni dopo, datandolo “Russia, inizio novembre 1917”, cioè poche settimane dopo la presa del Palazzo d’Inverno, la cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre. Insomma, il “mondo nuovo” a cui i personaggi di Cechov alludono spesso, sognandolo o temendolo, è bruscamente arrivato. E gli spari, che risuonano insieme alle urla dei contadini in rivolta, fanno da sfondo all’incontro fra Arkadina e Nina, tornata alla vecchia tenuta sul lago dopo tanto tempo. Gli altri personaggi, da Masha a Trigorin, verranno soltanto evocati in absentia.

Arkadina è invecchiata e affaticata, ha dovuto lasciare il teatro e vive rinchiusa nella tenuta, con il peso di un dolore inestinguibile. Tuttavia non ha perso verve e ironia. Del resto, per lei il teatro non è soltanto una professione ma un modo di stare al mondo. All’inizio, dopo averla fissata a lungo, dice a Nina “Hai sbagliato l’ingresso”, costringendola a ripeterlo. E continuerà a fare battute metateatrali (“Cade a pezzi. Il teatro in generale cade a pezzi”) e ad alludere al pubblico in sala.

Continuerà soprattutto a recitare, mentendo, fingendo malori oppure simulando terrore di fronte alla notizia della presa del Palazzo d’Inverno: “Ci sei cascata? Eh, sì. Niente male. Sono ancora brava. Proprio brava”.

Nina, dopo l’iniziale imbarazzo, non si sottrae al confronto con la suocera mancata e rivale in amore, rispondendo colpo su colpo. Il fardello dei dolori accumulati (la perdita del figlio in tenerissima età, l’abbandono da parte di Trigorin, le disillusioni artistiche, soprattutto il rimorso per il suicidio di Kostja), l’ha fatta maturare, fornendole un equilibrio che le era sempre mancato.

Più che sull’immaturo e meschino Trigorin, è su Kostja che divampa lo scontro, con il reciproco rinfaccio delle colpe per il suo gesto estremo. Arkadina, anche lei consapevole nonostante tutto delle proprie responsabilità di madre troppo autocentrata per prendere davvero sul serio le pene del figlio, è gelosa del sentimento che Kostja provava per Nina, confermato dal fatto che per lei avesse scritto la commedia, e con disperato acume freudiano arriva a negarlo: “Ma ovviamente è per me che l’ha scritto, per me, solo per me. Sua madre… L’unica che voleva interessare! Colpire! Stupire!”.

Ma, in fondo, le due donne hanno più cose che le accomunano rispetto a quelle che le dividono: tradite dallo stesso uomo, entrambe hanno perso un figlio e, non ultima, condividono la stessa professione-passione.

Ed è proprio in nome del teatro che avviene il riavvicinamento finale, mentre cresce il frastuono di fondo. “Chissà cosa accadrà al teatro adesso… con la rivoluzione, intendo”, si domanda Nina. “Il teatro – risponde Arkadina – non morirà mai. Risorgerà sempre”.

Questo bel copione è diventato uno spettacolo intenso, autentico Kammerspiel, grazie alla funzionale regia di Alberto Oliva e soprattutto alle due esperte attrici, Alessandra Frabetti e Sarah Biacchi, rispettivamente Arkadina e Nina. Ad un’attrice che vanta un lungo e qualificato curriculum come Frabetti, questa Arkadina iper cechoviana si adatta a pennello. E’ fatta apposta per esaltarne la non comune versatilità espressiva, cioè la capacità di padroneggiare registri molto diversi, passando con naturalezza dal sarcasmo più feroce alla tenerezza, alla commozione, e poi di nuovo, subito, all’ironia più graffiante.

Un’attrice che fa un’attrice che recita sempre, anche fuori dal palco. Quasi un teatro al cubo, in cui a volte sembra che sia il personaggio a mettere in scena l’attrice, invece che il contrario.

La brava interprete di Nina è chiamata a una prova impegnativa per poter reggere il confronto con Arkadina-Frabetti. E non delude, grazie anche a un affiatamento che infine diventa autentica complicità al femminile.

Prossime repliche: 14 novembre al Teatro Garage di Genova, 15 novembre al teatro Sipario strappato di Arenzano.

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Il Fatto Quotidiano

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