Il leader, Dio e l’esercito: così la tregua tra Israele e Iran esalta il messianesimo guerresco di Trump
- Postato il 25 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il capo, l’esercito e Dio. Non necessariamente in quest’ordine, ma tutti compenetrati nella divina trinità che sta alla base della narrazione scelta da Donald Trump e dal suo governo per raccontare se stessi e tramandare la propria immagine ai posteri. Un misto di culto della personalità, celebrazione della potenza militare Usa e linguaggio messianico che è alla base della comunicazione della Casa Bianca guidata dal tycoon fin dall’inizio del mandato, ma che è diventato di plastica evidenza con il bombardamento dell’Iran.
Il messaggio è emerso in tutto il suo afflato leaderistico-religioso nel discorso con cui Pete Hegseth ha salutato l’operazione Midnight Hammer. “L’ordine che abbiamo ricevuto dal nostro comandante in capo era mirato, potente e chiaro” e “grazie alla leadership audace e visionaria (…) le ambizioni nucleari dell’Iran sono state annientate. Molti presidenti hanno sognato di sferrare il colpo di grazia al programma iraniano. E nessuno ci è riuscito. Fino a Trump”. Che era davanti alla tv a guardare il segretario alla Difesa magnificare il suo operato ben oltre l’adulazione: “Quando questo presidente parla, il mondo dovrebbe ascoltare“, “è stato un onore vederlo guidare (…) i nostri grandi guerrieri americani in questa operazione di successo”. “Dio benedica le nostre truppe, Dio benedica l’America e noi rendiamo gloria a Dio per la sua provvidenza”, la conclusione di Hegseth. Che giusto il 22 maggio ha presieduto la celebrazione di una preghiera nell’auditorium del Pentagono nel quale Trump è stato elogiato come leader “designato da Dio“. Come i sovrani.
Salutato da una nutrita schiera di ammiratori e leader religiosi come “scelto“, “unto” , “salvatore”, “la seconda venuta” del Messia o “il Cristo per questa epoca“, capace di auto-raffigurarsi sui social vestito da Papa della Santa Romana Chiesta a pochi giorni dal conclave, era stato lo stesso Trump a mettere se stesso sotto l’ala protettrice dell’Altissimo. “E’ successo qualcosa di molto speciale. Ammettiamolo”, ha detto la scorsa estate pochi giorni dopo essere stato colpito da un proiettile durante un comizio a Butler, in Pennsylvania. “È… un atto di Dio“, ha aggiunto il mese dopo in un costante avvicinamento al concetto. “Dio mi ha risparmiato la vita per un motivo”, ha specificato quindi nel discorso della vittoria a Mar-a-Lago a novembre. Prima della profezia finale: “Sono stato salvato da Dio – ha trionfato nello speech inaugurale tenuto a Capitol Hill a gennaio – per rendere di nuovo grande l’America”.
Anche e soprattutto nei tempi difficili in cui bisogna fare la guerra, tanto che il Signore è tornato protagonista nei messaggi delle ultime ore. “Ti amiamo, Dio, e amiamo i nostri grandi militari. Proteggili”, è stata l’invocazione pronunciata il 22 giugno nelle ultime battute del discorso alla nazione dopo l’attacco a Teheran. “Questa è una guerra che avrebbe potuto durare anni e distruggere l’intero Medio Oriente, ma non l’ha fatto e non lo farà mai! – ha quindi vaticinato nel post su Truth che ha annunciato la tregua -. Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran, Dio benedica il Medio Oriente, Dio benedica gli Usa e Dio benedica il mondo!“.
Era già tutto in una foto, quella scattata nello Studio Ovale l’8 febbraio: il capo carismatico raccolto in preghiera alla sua scrivania e attorniato, in una composizione che ricorda vagamente “L’Ultima Cena” di Leonardo, da una schiera di predicatori e collaboratori tutti intenti nell’elevare i propri altissimi pensieri verso il cielo. “Come dice la Bibbia: ‘Beati gli operatori di pace’ – citava Gesù Cristo nel messaggio pubblicato su X -. E a tal fine, spero che la mia più grande eredità, quando tutto sarà finito, sarà conosciuta come un pacificatore e unificatore“.
Raccolto in preghiera tra gli astanti c’era anche tale Johnnie Moore, reverendo evangelico diventato direttore delle operazioni della Gaza Humanitarian Foundation, il discutibile ente privato a cui è affidata la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia, in una nomina che rende evidente l’approccio di Washington alla questione: la comunità evangelica, convinta che la salvezza dell’uomo dipenda dall’adempimento delle profezie ovvero la creazione di un unico Stato ebraico su quella che considerano la Terra Santa, è da sempre schierata al fianco di Israele e ha sostenuto il governo Netanyahu nella guerra a Hamas.
Tutto torna, d’altronde. Sì, perché prima di essere messo a capo “dell’esercito più potente che il mondo abbia mai conosciuto” (ipse dixit proprio domenica), Pete Hegseth aveva evocato “la riedificazione del Tempio“, un omaggio all’antico sogno messianico israeliano di distruggere i luoghi santi musulmani nella parte occupata di Gerusalemme per costruire sulle loro rovine il Terzo Tempio ebraico. Sempre nel nome di Dio, ovviamente.
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