Il lutto si addice ad Elettra targato Livermore è quasi cinematografico e supportato da un grande cast
- Postato il 20 ottobre 2025
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- Di Genova24
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Genova. Davide Livermore aveva ragione quando nelle note di regia ha definito il cast di ‘Il lutto si addice ad Elettra’ uno dei migliori che ha avuto nella sua vita.
Paolo Pierobon (Ezra Mannon); Elisabetta Pozzi (Christine Mannon); Linda Gennari (Lavinia Mannon); Marco Foschi (Orin Mannon); Aldo Ottobrino (Adam Brant); Carolina Rapillo (Hazel Niles) e Davide Niccolini (Peter Niles) hanno dato vita a una prova che definire straordinaria è poco reggendo il palco per le oltre tre ore di spettacolo senza cali, senza sbavature e non stiamo parlando della prima rappresentazione, in cui la tensione del debutto può essere amica per una performance che va dritta dall’inizio alla fine, ma di una delle repliche, precisamente quella di venerdì 17 ottobre, a cui Genova24.it ha assistito (c’è tempo sino al 26 ottobre per andare a vedere questo titolo al Teatro Ivo Chiesa).
Un cast che ha assecondato in tutto e per tutto l’idea registica di Livermore (la produzione è del Teatro Nazionale di Genova in coproduzione con Centro Teatrale Bresciano per il 2026) per questa tragedia di Eugene O’Neill che rievoca l’Orestea di Eschilo attualizzandola però alla borghesia americana. Un’idea che evoca scenari hitckockiani nelle musiche (soprattutto in quelle del cambio di scena) con una scenografia in bianco e nero (persino il funerale di Ezra lo è, con a bandiera a stelle e strisce grigia e bianca) molto geometrica a sottolineare la ‘prigione’ emotiva e sociale in cui vivono i personaggi in cui però le luci splendide di Aldo Mantovani hanno caratterizzato i momenti più importanti con la forza del rosso, del viola, proprio come in effetti Hitckock faceva nelle pellicole a colori. Una resa davvero quasi cinematografica.
La trama. La guerra di Secessione è finita (1865). La potente famiglia Mannon attende il ritorno del generale Ezra Mannon, che porta notizie del figlio Orin, anche lui arruolato. La figlia Lavinia Mannon non vede l’ora di riabbracciare il padre, per il quale nutre una morbosa adorazione, mentre odia la madre, sicura che abbia tradito il marito. Le due donne litigano e Christine, messa alle strette, confessa non solo di provare disgusto ormai per il marito ma anche di averlo tradito. E l’identità dell’amante fa precipitare la situazione. L’uomo amato da Christine è infatti Adam Brent, figlio del fratello di Abe, padre di Ezra e di una bambinaia, scacciati entrambi dalla famiglia per il disonore provocato. Christine ucciderà il marito, approfittando di un suo attacco di angina per somministrargli veleno anziché la pastiglia per il cuore. L’omicidio di Ezra era già stato programmato dai due amanti ma lo svenimento reale di Christine è un fuori programma che complica tutto perché, mentre lei giace svenuta sul pavimento, Ezra, soccorso nel frattempo da Lavinia, ha il tempo di incolpare la moglie. Lavinia decide allora di vendicarsi usando Orin, tornato a casa profondamente cambiato, ma ancora totalmente schiavo della necessità di amore da parte di sua madre. A farne le spese sarà proprio Adam. La situazione è destinata a precipitare ancora di più: i morti continueranno a perseguitare Lavinia e Orin.
Drammi famigliari, traumi irrisolti, l’eredità di un nome, Mannon, che è quasi una persecuzione. Gli ingredienti sembrano quelli di una qualsiasi soap opera (qualcuno in platea ha citato le serie turche), ma è la verità: O’Neill ha semplicemente riadattato la tragedia che esiste da quando esiste l’umanità e Livermore decide di amplificare le implicazioni individuali di queste azioni, senza più il tribunale dell’aeropago che giudica. Qui il coro sono le chiacchiere altrui, che non si vedono e non si sentono. Sono i personaggi stessi a farlo e Lavinia, nella sua decisione finale di chiudersi nella magione di casa, rinunciare all’amore per espiare la maledizione dei Mannon perché ‘i morti non muoiono’ è la summa di tutto il percorso che si dipana in tre parti: “Il ritorno, l’agguato, l’incubo” e 13 atti.

Livermore decide di tagliare personaggi presenti nella versione originale come il giardiniere, che è colui che custodisce i segreti e che dovrebbe avere la funzione del coro, per ridurre tutto all’essenzialità del dramma appunto individuale e famigliare, aiutato anche dalla traduzione di Margherita Rubino.
La musica è una costante anche durante la recitazione, i gesti degli attori sono accordati con l’inquietudine sonora che permea tutta la storia raccontata sul palco dal primo all’ultimo minuto. Lo sappiamo che non ci sarà lieto fine. Persino i fiori neri sulla scena hanno un ruolo sonoro.
Bellissimi i costumi di Gianluca Falaschi: gonne vaporose e tagliate a metà polpaccio per le donne, siamo negli anni 50 anche nelle pettinature, con menzione speciale per quelli di Cristine e Lavinia, con quello della figlia ormai trasformata in sua madre nell’ultima parte della rappresentazione davvero molto simile eppure diverso.
E tornando agli interpreti Elisabetta Pozzi giganteggia nei panni di Christine, abile manipolatrice, di cui non sapremo mai il perché ha smesso di amare Ezra solo dopo il matrimonio. Lei, che era stata Lavinia quando Melato era la madre, ora ha trovato in Linda Gennari una Lavinia altrettanto brava. Gennari cura i gesti, le espressioni degli occhi e del volto, in modo maniacale. La gamba e il piede inclinati nello stesso modo della madre quando ormai è diventata a sua immagine e somiglianza fa impressione. La trasformazione nel corso dell’opera è strabiliante, in pratica dà vita a due personaggi in uno. Non sono da meno gli uomini con Marco Foschi nei panni di un Orin sempre più in balia delle proprie nevrosi, incapace di tornare quello di prima della guerra.
Lo spettacolo è anche un omaggio a Luca Ronconi, che il Lutto lo mise in scena. Al regista è dedicata una serie di incontri sino a novembre.
Orari: domenica ore 16; martedì, mercoledì, venerdì -ore 20:30; giovedì e sabato ore 19:30; lunedì riposo.

Il lutto si addice ad Elettra in tournée
Lo spettacolo sarà in tournée a Palermo (Teatro Biondo) dal 7 all’11 gennaio, a Napoli (Teatro Mercadante) dal 14 al 18 gennaio, a Torino (Teatro Carignano) dal 21 al 25 gennaio, a Brescia (Teatro Sociale) dal 27 gennaio all’1 febbraio, a Trieste (Teatro Rossetti) dal 5 all’8 febbraio, a Treviso (Teatro Del Monaco) dal 12 al 15 febbraio.
Gli incontri
Attorno allo spettacolo restano ancora un paio di incontri:
Mercoledì 22 ottobre
Viva per sempre. La morte nella storia dell’arte, della musica e del teatro.
Dialogo tra Giacomo Montanari, Assessore alla cultura del Comune di Genova, Luigi Giachino, Direttore del Conservatorio “Niccolò Paganini” e Andrea Porcheddu, dramaturg del Teatro Nazionale di Genova.
Giovedì 23 ottobre
La geografia del cordoglio. Storie di necrologi e di vite.
Dialogo tra Michele Brambilla, Direttore del Secolo XIX, Maurizio Barabino, Amministratore Unico A.Se.F. e il musicologo Massimo Arduino.