Il maestro: il film sull’elogio della sconfitta

  • Postato il 8 settembre 2025
  • Cinema & Tv
  • Di Artribune
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C’è qualcosa di irripetibile nelle estati che segnano il passaggio dall’infanzia alla giovinezza. Non tanto per i traguardi raggiunti, ma per le scoperte inattese, le bugie smascherate, i legami che nascono al di là delle regole.

Il Maestro, presentato Fuori Concorso a Venezia 82 e al cinema dal 13 novembre 2025 con Vision Distribution, si muove proprio in questa zona fragile e luminosa: quella in cui la sconfitta diventa rivelazione e il fallimento apre alla possibilità di un nuovo inizio.

Il Maestro: un film di formazione in cui non serve vincere

Andrea Di Stefano, dopo L’ultima notte di Amore, firma un film che somiglia a un romanzo di formazione in chiave sportiva, ma che rifiuta i cliché della vittoria come destino obbligato. “I film sullo sport raccontano sempre storie di gente che ce la fa, nell’ultima scena”, spiega il regista. “Non era la mia storia. Mi interessano i perdenti del cartellone, quelli che non finiscono sul podio. Perché è lì che si nasconde l’eroismo: nella capacità di ballare dopo la sconfitta, di scoprire la gioia dentro la resa”.

Il viaggio in macchina del tredicenne Felice – interpretato con grazia da Tiziano Menichelli – lungo la costa italiana e insieme al sedicente ex campione Raul Gatti (Pierfrancesco Favino), ha la leggerezza di una commedia all’italiana e la malinconia di un’estate che non tornerà più.

Pierfrancesco Favino e l’importanza della sconfitta

Ogni partita persa, ogni bugia smontata, si trasforma in un tassello di libertà: per il ragazzo, che impara a liberarsi dal peso delle aspettative paterne, e per il maestro, che intravede nell’allievo la possibilità di riscattare se stesso.

Favino racconta così il cuore del progetto: “Due sconfitti possono fare una vittoria. Oggi viviamo un’ossessione per la performance, un narcisismo che ci vuole sempre primi. Ma non è così. Anche non essere i numeri uno è un modo di stare al mondo. I miei maestri mi hanno insegnato proprio questo: che a volte le lezioni arrivano nei momenti meno attesi, da persone che non ti aspetti”.

Una commedia malinconica ben riuscita

La scrittura di Ludovica Rampoldi, che firma la sceneggiatura insieme a Di Stefano, arrivata a maturazione dopo vent’anni dalla prima stesura, e aggiunge al racconto il peso del tempo: “Eravamo troppo giovani per affrontarlo, all’inizio. La commedia è rimasta, ma col tempo è entrata anche la malinconia del fallimento, delle occasioni mancate. Non per inseguire mode o sensibilità, ma perché la vita nel frattempo ci ha insegnato a guardare anche quella parte di realtà”.

Il Maestro non è dunque un film sul tennis, ma un film sul rischio di crescere, sul valore di insegnare e sul coraggio di perdersi. È un omaggio ai mentori imperfetti, alle sconfitte necessarie, ai legami che si imprimono come cicatrici leggere, destinate a restare.

Margherita Bordino

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Autore
Artribune

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