Il mare non è più lo stesso: i gabbiani si adattano alle città. Mi ricorda qualcosa che ci riguarda
- Postato il 27 aprile 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Ho trascorso il 1983 presso il Bodega Marine Laboratory, a Bodega Bay, in California: è il paesino dove Hitchcock ha girato Gli Uccelli. Il film circola ancora e presumo che anche i giovani lo conoscano. Un gabbiano becca la fronte di Tippi Hedren, la protagonista femminile, mentre attraversa la baia in barca. I locali sono sorpresi: “Non era mai successo prima”. L’aggressività degli uccelli sale in poche ore, nel film, e si ribellano dai passerotti ai corvi.
La finzione diventa realtà? Sono stato recentemente a Venezia e c’erano cartelli che non avevo mai visto, sui bidoni dell’immondizia. Attenzione ai gabbiani. Non mangiare in strada. Non avvicinarsi. Chi gira con un panino in mano diventa un obiettivo per i gabbiani che, in picchiata, arrivano a portar via il cibo di mano. Non succedeva, prima, proprio come ne Gli Uccelli. Le stesse scene si vedono in altre città, dove i cartelli ancora non ci sono. I gabbiani reali sono grossi, devastano i cestini delle immondizie, spargono il contenuto tutt’attorno. Perché lo fanno?
I gabbiani reali sono uccelli marini e, naturalmente, mangiano principalmente pesci. Mangiano anche altri uccelli, da sempre. Ma i pesci sono sempre più rari (li prendiamo noi). Se andate su un banco di pescheria potrete vedere con i vostri occhi: i pesci locali sono sempre più scarsi, e dominano specie allevate o importate da altri mari. I gabbiani, diminuendo le loro fonti di sostentamento, dovrebbero diminuire di numero. E invece cercano cibo altrove. Nelle discariche, ad esempio, dove abbondano avanzi di cibo. Hanno scoperto le città e, invece, di fare i nidi sulle scogliere a strapiombo sul mare, li fanno su tetti e terrazze, dove difendono nidi, uova e pulcini, come noi difenderemmo i nostri figli.
La tecnica con cui rubano il panino dalle mani è la stessa con cui acchiappano un pesce. Lo vedono dall’alto, volano in picchiata e lo carpiscono col becco. Non hanno gli artigli dei rapaci.
Se abitate in una città con i gabbiani vi sarà capitato di vederli mentre fanno fuori qualche piccione, oppure un ratto. Da uccelli marini stanno diventando terrestri, e stanno cambiando rapidissimamente le loro diete principali (in città non mangiano pesci). Non hanno evoluto nuovi comportamenti: sono preadattati alla nuova situazione. Usano schemi comportamentali che si sono evoluti in certe condizioni e che, ora, sono ottimali in altre condizioni.
Perché non se ne stanno in mare? La risposta è: il mare non è più lo stesso e loro si rifiutano di soccombere a fronte del cambiamento. Si rifugiano in altri posti, cercando quel che avevano e non hanno più. Penso che sarebbero contentissimi di continuare la vita di sempre, ma è diventata impossibile e quindi vanno a cercare fortuna altrove.
Vi viene in mente qualcosa che ha a che fare con noi? A me sì. I gabbiani sono rifugiati “economici”, non trovano soddisfazione ai loro bisogni e vanno a cercarla altrove. Lo facciamo da sempre anche noi che, dall’Africa, ci siamo espansi su tutte le terre emerse, dall’Artico alla Terra del Fuoco. Spingendo altre specie all’estinzione, stravolgendo gli ambienti con l’agricoltura, depauperando i mari con la pesca industriale, eliminando le specie ostili, incluse popolazioni degli indigeni umani percepiti come tali. Rispetto a noi i gabbiani sono dilettanti. Si tratta di una specie protetta, tra l’altro. La protezione si basa sulla loro vita “precedente”, ma le norme sono in vigore, anche se hanno cambiato vita e ora qualcuno li considera nocivi.
Non ricordo con precisione la data, ma ricordo l’evento. Dal balcone di casa mia, a Genova, mio padre vide un gabbiano reale posato sul tetto di una casa vicina. “Guarda che bel gabbiano – mi disse – non li avevo mai visti da queste parti”. E neppure io. Da allora i gabbiani hanno proliferato anche lontano dal mare, ce ne sono anche a Bolzano. Non sono i soli. A Roma e Genova vedo sempre più frequentemente stormi di pappagalli verdi. Li ho visti anche a Bruxelles. Erano importati come animali da compagnia e sono probabilmente stati “liberati” da chi si era stufato di prendersi cura di loro. Le nutrie, invece, erano allevate come animali da pelliccia (il castorino) e quando nessuno comprò più le pellicce di quel tipo, furono liberate nei fiumi. E ora eccole qua. Il Tevere romano ne è pieno.
Il pensiero che la natura sia stata “progettata” (come direbbe Cingolani) per soddisfare i nostri bisogni è abbastanza comune e ci sorprendiamo se risponde e si adatta alle nostre “pressioni”, senza cedere ad esse: è infantile pensare che sia lì solo per noi. Più la feriamo e più diventa forte. Avviene con le specie nocive che diventano resistenti ai pesticidi, e coi batteri patogeni che evolvono resistenza agli antibiotici. La natura cambia continuamente con un processo inarrestabile: l’evoluzione. Noi siamo parte del processo e dobbiamo esserne consapevoli, in modo da agire responsabilmente, per il nostro bene. Non preoccupiamoci per la natura, dobbiamo badare a noi stessi. Se la brama di dominio è eccessiva, chi pensate che l’avrà vinta?
Se pensate che vinceremo noi… assicuratevi, come consiglia il Ministro della Protezione Civile a chi chiede ristori per le catastrofi naturali. Ma se i danni da pagare saranno troppo ingenti, i premi assicurativi diventeranno insostenibili, proprio come il debito che stiamo contraendo con il resto della natura.
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