Il pessimo rinnovo contrattuale dei metalmeccanici rafforza le ragioni dello sciopero generale

  • Postato il 26 novembre 2025
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Se si vuole cogliere dal vivo una delle principali ragioni per cui il sistema salariale italiano da anni precipita verso il basso ed è il peggiore tra i paesi più sviluppati, basta guardare al rinnovo del contratto dei metalmeccanici, appena sottoscritto tra FimFiomUilm e Federmeccanica.

Negli ultimi anni la perdita di potere d’acquisto per un lavoratore metalmeccanico di livello medio è stata di più di 250 euro netti al mese. Per recuperare questa perdita, i salari contrattuali avrebbero dovuto crescere di circa 350 euro lordi. La richiesta dei sindacati confederali per il rinnovo del contratto triennale, dall’inizio del 2025 alla fine del 2027, è stata di 280 euro in più al mese. FimFiomUilm hanno spiegato questa richiesta, inferiore a ciò che sarebbe stato necessario per pareggiare i conti con la perdita salariale, con altre importanti rivendicazioni normative. Prima di tutto la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, poi un potenziamento delle funzioni e dei poteri dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, infine rivendicazioni contro il precariato e per i diritti individuali.

Il risultato finale, tanto esaltato in queste ore dai dirigenti sindacali e ancor più dagli industriali, cancella la piattaforma. L’aumento salariale è di 205 euro lordi medi, con il prolungamento di un anno della durata del contratto. Allungare la durata del contratto è un classico metodo negli accordi sindacali per fare sembrare di più i soldi. Ma in realtà l’aumento effettivo è di 177 euro, perché 28 erano già stati erogati ai lavoratori nel giugno di quest’anno, in virtù del meccanismo di rivalutazione dei salari basato sull’Ipca. Questo indice dell’aumento dei prezzi è stato adottato dal contratto dei metalmeccanici, però con una pesante limitazione: i costi dei prodotti energetici importati non vengono calcolati. Cioè l’aumento dell’energia elettrica, del gas e della benzina per la busta paga non contano.

All’inizio della trattativa la Federmeccanica aveva controproposto un aumento di 170 euro. Il risultato finale è dunque di 7 euro in più della proposta delle imprese, però con il contratto che dura anche nel 2028. Fino al giugno dell’anno prossimo i metalmeccanici non riceveranno alcun aumento, poi scatteranno circa 50 euro in più, mesi dopo seguiranno altre piccole tranches. L’ultima rata dell’aumento di oltre 60 euro sarà addirittura nel giugno del 2028.

Per quanta riguarda la riduzione dell’orario non si ottiene nulla, anzi c’è un peggioramento delle condizioni dei lavoratori, con l’aumento delle ore di flessibilità obbligatoria e la diminuzione della giornate di riposo libere. Nulla sulla salute e la sicurezza, pasticci e chiacchiere su tutto il resto. Insomma un risultato negativo sul piano normativo e pessimo su quello salariale.

L’intesa FimFiomUilm-Federmeccanica non recupera nulla di quanto i lavoratori hanno perso e rischia di peggiorare ancora nel tempo il valore reale delle retribuzioni. Un risultato persino inferiore a quello degli accordi in alcune categorie del pubblico impiego, accordi che la Cgil aveva rifiutato di sottoscrivere perché giudicati troppo bassi. Invece ora per Landini questo contratto è “una buona notizia per tutto il paese”.

La firma del contratto dei metalmeccanici conferma che è ancora pienamente in vigore il sistema di compressione dei salari definito con gli accordi di “concertazione” del 1992-93, sistema rinnovato e anche peggiorato in diverse intese, fino al “Patto della Fabbrica” del 2018.
Negli ultimi trent’anni l’Italia ha avuto la peggiore dinamica salariale tra i paesi Ocse, non solo per le politiche di austerità dei governi, ma per la complicità di Cgil-Cisl-Uil con il sistema delle imprese. I sindacati confederali hanno accettato di scambiare, con la Confindustria e le organizzazioni imprenditoriali, il riconoscimento del proprio ruolo con il salario dei lavoratori. Hanno accettato regole che impediscono di rivendicare veri aumenti della retribuzione e che impongono sempre di inseguire in ritardo l’aumento dei prezzi. Il sistema contrattuale italiano è come la carota appesa al bastone davanti all’asino, che per quanto cammini non riesce mai a raggiungere l’obiettivo.

Sembrava che stavolta i sindacati confederali dei metalmeccanici avessero provato a forzare un poco il sistema, ma dopo quaranta ore di sciopero hanno praticamente accettato ciò che gli industriali offrivano all’inizio. Abbiamo salvato il contratto nazionale, hanno dichiarato i dirigenti di FimFiomUilm. No, hanno confermato un sistema contrattuale che fa sprofondare i salari e garantisce i profitti.

Tutto questo rafforza il significato e il valore dello sciopero generale del 28 novembre, proclamato dai sindacati di base e conflittuali. È infatti necessaria una profonda rottura del sistema contrattuale fondato sia sull’austerità di bilancio dei governi, sia sulla complicità tra sindacalismo confederale e imprese. Senza questa rottura continuerà il disastro dei salari, che certo non sarà fermato dalla doppiezza di una Cgil che contesta a Giorgia Meloni ciò che accetta volentieri da Confindustria.

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Il Fatto Quotidiano

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