Il teatro dopo Gaza: una riflessione sulle Cronache di Celestini e l'(ir)rappresentabilità dell’orrore
- Postato il 4 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Si può rappresentare l’orrore? E’ una domanda antica quasi quanto il teatro. In particolare, da Seneca in poi, superato il divieto greco di mostrare la violenza e il sangue, si può parlare di un vero e proprio Teatro dell’Orrore, che trionfa nel teatro elisabettiano. Dove Shakespeare, in particolare, mette a frutto anche la tragedia italiana del Cinquecento, come Orbecche di Giraldi Cinthio, per citare la più popolare.
Non è un caso che per Artaud, e per il suo Teatro della Crudeltà, le tragedie di Seneca e gli Elisabettiani siano stati dei riferimenti privilegiati. Anche se, nella sua visione, la Crudeltà è nozione più metafisica che letterale, riferendosi fondamentalmente alla capacità che il teatro può avere, quando è capace di spingere al limite e oltre i suoi mezzi espressivi, a cominciare dalla voce, di far accedere lo spettatore a una conoscenza in grado di superare le apparenze ingannevoli del reale, a una gnosi potremmo dire.
Ma intanto, nel corso del Novecento, il mondo è chiamato a confrontarsi con fattispecie inedite (o quasi) di orrore: dalle stragi di massa di civili inermi (grazie alla pratica dei bombardamenti aerei sulle città, inaugurata durante la guerra civile spagnola) ai genocidi: dallo sterminio del popolo armeno a quello di sei milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. Senza dimenticare l’apocalissi atomica di Hiroshima e Nagasaki.
In particolare la Shoah segna un punto di non ritorno rispetto alla questione dell’orrore e della sua (ir)rappresentabilità. Nel dopoguerra si sviluppa un acceso dibattito, nel corso del quale tende a prevalere una posizione iconoclasta, secondo la quale davanti all’Olocausto bisogna fermarsi e far prevalere il silenzio. Perché siamo di fronte a qualcosa non soltanto di inconcepibile ma anche di indicibile e, a fortiori, di irrappresentabile. Solo i superstiti hanno diritto di parola.
E’ su queste basi che il cineasta francese Claude Lanzmann compose il colossale documentario Shoah (1985, 9 ore e mezza) nel quale non viene usata neppure un’immagine d’archivio e a parlare sono, appunto, soltanto i testimoni. Un “monumento”, secondo le sue stesse parole, contro i “documenti”, inevitabilmente e oltraggiosamente inadeguati. Nota è, al riguardo, la sua netta ripulsa dei tentativi hollywoodiani di “ricostruire” Auschwitz, e in particolare di Schindler’s List di Spielberg.
Altrettanto nota è la polemica di Salzmann e dei suoi sostenitori contro lo storico dell’arte Georges Didi-Huberman. Questi, per una mostra sui campi di sterminio nel 2000, aveva valorizzato quattro foto scattate ad Auschwitz nell’agosto 1944 da membri del Sonderkommando, ebrei costretti a sovrintendere alle operazioni di gasatura e cremazione. Il testo, ampliato, è diventato poi il libro Immagini malgrado tutto, del 2003 (Cortina, 2005).
Questo dibattito pluridecennale mi è tornato in mente mentre assistevo, il 10 aprile scorso a Bologna, allo “spettacolo” L’aria esausta. Cronache sopra e sotto Gaza, di Ascanio Celestini e Fabio Tonacci, che parte dalle cronache della guerra nella Striscia scritte dal secondo, giornalista di Repubblica.
Celestini leggeva brani delle corrispondenze, alternandoli a video (uno di questi mostrava Tonacci nei claustrofobici cunicoli sotterranei scavati per decine di chilometri a Gaza, da cui il titolo), a dialoghi con lo stesso giornalista e a “storielle” ebraiche. Sono stati raccontati con obiettività e misura alcuni dei tanti crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano (ma anche l’efferatezza dell’eccidio compiuto da Hamas). Niente da dire, a parte l’impressione che Celestini, straordinario affabulatore, fosse un po’ come un leone in gabbia, costretto(si) a leggere.
Ma niente ha eguagliato l’intensità sconvolgente di due tracce vocali, che aprivano e chiudevano il lavoro. Nella prima, un giovane paramedico (coinvolto nell’agguato che l’Idf ha teso il 23 marzo scorso a tre ambulanze della Mezza Luna Rossa palestinese, e in cui sono stati trucidati quindici operatori umanitari) fa al telefono la cronaca in diretta dell’attacco. Quando capisce cosa gli sta per accadere, inizia a pregare, si scusa con la madre e accetta il martirio, mentre cresce il crepitio delle mitragliatrici.
Nella seconda, la voce è quella di Hind Rajab, una bambina di sei anni. E’ intrappolata ancora viva in un’automobile, con i suoi cinque parenti già morti, mentre un tank si sta avvicinando. E’ riuscita a chiamare la Mezza Luna Rossa e sentiamo la sua voce terrorizzata, mentre un’operatrice cerca di confortarla, assicurandole che stanno arrivando a salvarla. Non ci riusciranno. Il suo cadavere sarà estratto dalle lamiere contorte solo dodici giorni dopo, il 10 febbraio 2024.
Due “testimoni integrali”, avrebbe detto Primo Levi, che grazie alla tecnologia riescono a parlarci anche dopo la morte dal cuore dell’inferno.
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