Il teorema delle tre C
- Postato il 21 maggio 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“Se ami una persona lasciala andare, perché se ritorna, è sempre stata tua. E se non ritorna, non lo è mai stata” così scrive Khalil Gibran che tanto e quanto profondamente ha meditato sul concetto di amore. Può sembrare paradossale la prima parte dell’aforisma, “lascia andare chi ami”, eppure è l’unico vero modo di amare, è quello che quasi sempre i genitori fanno nei confronti dei figli, osservarli mentre si allontanano verso la loro vita con la gioia di “perderli” nel momento stesso in cui comprendono che un tale amore è quello che loro stessi hanno ricevuto, o forse avrebbero voluto ricevere, dai propri genitori. L’esortazione di Gibran, però, riguarda l’amore di coppia, e solo adeguatamente ripensato lo si può riconoscere nell’esempio appena esposto: nessun figlio se ne va davvero se osservato mentre si incammina, porta con sé l’amore ricevuto, nemmeno è necessario che “ritorni”, anzi, sarebbe il segno di un fallimento suo e dei genitori, rimarrà comunque l’intimo legame di tanto amore, chiarito il punto torniamo al tema: l’amore di coppia. Per intraprendere la nostra riflessione, precisandone la prospettiva, possiamo seguire le impronte lasciate da Hermann Hesse nel suo splendido scritto “Sull’amore” nel quale possiamo leggere che “l’amore è il desiderio divenuto saggezza; l’amore non vuole possedere; vuole soltanto amare”, credo che la più compiuta forma d’amore sia quella che permette tanto a chi ama quanto a chi è amato di essere libero e, forse pleonastico sottolinearlo ma nemmeno poi tanto, chi confonde l’amore col possesso sta negando la libertà per certo dell’amato e, in altra forma, anche la propria. Possiamo affermare che se non c’è libertà è impossibile l’amore? Credo di si, anche se essere liberi non significa non avere doveri, ma, mi si permetta l’apparente cripticità, l’amore è la più libera forma di dovere o, per ricorrere alle affermazioni sempre piuttosto estreme dell’amico Gershom Freeman e che riporto come utile provocazione: “l’amore non comporta doveri ma espande i diritti”.
A sostegno delle mie tesi vorrei riflettere sul “teorema delle tre C”, controllo, condivisione complicità, potremmo definirlo come una sorta di percorso terapeutico per mezzo del quale imparare ad amare ed essere felici. La fase patologica che spesso caratterizza una storia d’amore, intendo una storia che, lasciatasi alle spalle il cosiddetto innamoramento, ha intrapreso il cammino per accedere alla stagione più alta e complessa, quella dell’amore. Spesso un simile sentimento anche se saggio, come sostiene Hesse, può far insorgere la paura della perdita dell’altro e, nel tentativo di assicurarsene la garanzia di permanenza, generare una qualche forma di volontà di controllo sulle emozioni e le azioni dell’oggetto d’amore. Si tratta di un caso classico di eterogenesi dei fini, la fatica ossessiva per controllare l’amato/a ne determina, il più delle volte, l’allontanamento. È necessario comprendere che l’amore è la più assoluta esperienza di libertà in quanto, se maturo e davvero saggio, regala la felicità di avere senza l’urgenza di possedere. Il bisogno di possesso, di controllo, di garanzie, è la metastasi del sentimento, un amore così malato è destinato all’estinzione o a un incedere claudicante che, inevitabilmente, impedirà la corsa, graverà sulla relazione fino a ucciderla o ingrigirla malinconicamente. La felicità non ha volto ma spalle, ammonisce il buon Nietzsche, scopri quanto eri felice dopo che la felicità se ne è andata, se poi questo è accaduto a causa tua è disperazione, ecco perché è tanto importante imparare ad amare prima che i nostri errori depauperino irrimediabilmente la nostra storia, una volta infranto il vetro, anche un’eventuale accurata riparazione ci mostrerà a ogni sguardo l’irreversibile ferita.
Proprio in riferimento all’allegoria del vetro mi piace citare una splendida definizione dell’amore: “l’amore è l’improvviso schiaffo d’acqua piovana che spaventa il vetro dal quale stavi spiando il mondo”, sarebbe utile una riflessione più approfondita sul concetto espresso dell’aforisma, ma è tempo di tornare al nostro teorema. Molto ci sarebbe da approfondire sul tema del controllo, provo a sintetizzare tornando all’esempio dei figli: il controllo genitoriale nei loro confronti deve ed è finalizzato alla loro sicurezza, a difenderli dai pericoli ai quali l’esperienza ci ha già esposti, anche se non va dimenticato che la nostra vita non può divenire il vademecum universale per vivere, ma solo la nostra palestra esistenziale, non fornisce tutte le risposte e non può essere applicata come copia carbone alle scelte dei nostri figli; la responsabilità, in ogni caso, grava sulle spalle degli adulti almeno fino a quando i figli non si emancipano da questa assumendola sulle proprie, se il genitore si ritiene in dovere di conservarla nei riguardi di un figlio anche quando è “grande” significa che non ha svolto correttamente il proprio compito. Ben altro significato assume il controllo se rivolto al partner, da atto altruistico si trasforma in egoismo ed esplicita dichiarazione di mancanza di rispetto, è espressione di vigliaccheria e violenza, è conseguenza di una logica malata che si fonda sul presupposto “poiché io ti amo allora tu devi”. Questa sorta di giurisprudenza del sentimento ha una radice lontana, a mio parere, poiché l’amore è per sua natura libero, non consente a chi lo prova di controllarlo, questo inevitabilmente spaventa e viene da pensare che, se non posso scegliere ma solo vivere tale sentimento, significa che amare non è una forma di libertà. In un certo senso è così, l’amore è libero, non chi ama, non a caso si parla di servitù d’amore. Tentare di normare le proprie emozioni degenera spesso nel tentativo, ancor più aberrante, di voler regolamentare anche quelle dell’amato/a.
La matura e saggia crescita dell’innamoramento fino al raggiungimento dell’amore ha bisogno che si superi la prima C per evolversi in condivisione: l’amato non deve essere tale in quanto espressione della mia volontà, esiste indipendentemente dalle mie aspettative, non deve nemmeno divenire ciò che vorrei che fosse, come potrei affermare che amo una persona in quanto mi aspetto che cambi tanto da rispondere alle mie attese? L’amato va condiviso per ciò che è e diviene, solo in questo modo il viaggio di coppia non si esporrà al pericolo terribile del “non ti riconosco più”, il rischio è di aver percorso una via con l’altro senza averlo vissuto momento per momento, allora può accadere che, alla prima sosta, al primo inciampo, lo si possa scoprire cambiato tanto da apparire irriconoscibile e, se ci guardassimo allo specchio con onestà, forse non sapremmo riconoscere nemmeno noi stessi. Il viaggio condiviso, nel tempo, si esprime attraverso un ulteriore livello di condivisione, più intima, più profonda, intrisa delle ombre reciproche, è quello che potremmo chiamare la terza C: complicità. L’affettuosa, disinteressata, incondizionata complicità è la più solida radice di un amore sano, destinato a crescere e fiorire, regalare profumi e frutti che gli amanti potranno godere nel rinnovato e differente dono di ogni stagione. La fatica del controllo e l’impegno alla condivisione hanno finalmente raggiunto la saggia maturità della complicità, l’amore adulto è ora fonte di vera felicità per entrambe. Resta ancora da aggiungere un pensiero che, anche se espresso in chiusura, assume un valore propedeutico: il vero segreto della felicità è saper amare prima di tutto se stessi, ebbene, se proviamo a controllarci, magari censurando emozioni profonde, se non ci condividiamo quotidianamente perché afflitti dal divertissement pascaliano, se non sappiamo essere complici di noi stessi significa che non abbiamo imparato ad amarci: con quale ottusa arroganza potremmo allora pensare di essere in grado di amare qualcuno e di meritarci il suo amore?
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.