In Francia Arles ha un nuovo museo della Moda e del Costume tutto a tema provenzale

  • Postato il 29 luglio 2025
  • Moda
  • Di Artribune
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C’è qualcosa di profondamente intimo nel collezionare abiti. Non tanto nell’accumularli, quanto nel custodirli. Hélène Costa e Magali Pascal, da appassionate raccoglitrici di stoffe autoctone, lo hanno sempre saputo, costruendo un autentico vocabolario estetico della Provenza. Nasce così il nuovo Museo della Moda e del Costume ad Arles, voluto da Fragonard e aperto lo scorso 6 luglio, dall’incontro di due genealogie al femminile: da una parte Anne, Agnès e Françoise Costa – alla guida della maison di profumi fondata a Grasse nel 1926 – e dall’altra Odile Pascal, storica di moda sulle orme della madre. L’obiettivo? Preservare, mostrare e trasmettere il patrimonio del costume arlesiano. 

Museo della Moda e del Costume di Arles
Museo della Moda e del Costume di Arles

Il museo della Moda di Arles secondo Studio KO: l’empatia architettonica 

In primo luogo, è piuttosto curioso notare quanto l’eco di questa cittadina in terracotta circondata da girasoli sembri propagarsi tra le ciglia del mondo. L’anfiteatro romano, il LUMA, la casa gialla di van Gogh: a ospitare il nuovo museo, entrando a pieno titolo tra gli indirizzi di Arles da flaggare su Maps, è l’Hôtel de Bussy al 16 di Rue de la Calade. Un edificio settecentesco dai silenzi nobiliari, ancora avvolto nell’odore di calce, di lavanda, di mani antiche; restaurato nientemeno che da Studio KO, team noto per il Musée Yves Saint Laurent di Marrakech e Chiltern Firehouse. Difatti, i celebri architetti parigini Karl Fournier e Olivier Marty hanno operato nel rispetto quasi ascetico del patrimonio storico, modulando la loro presenza per restituire l’anima dello spazio, senza doverlo né imitare né reinventare. Pavimenti lucidi che ricordano le piastrelle tradizionali di Marsiglia, pareti che evocano vele fantasma galleggianti sul Rodano, il lampadario che cade dal soffitto come un gioiello provenzale, il grande drappo sospeso sulla scalinata, simbolo del ruolo commerciale della città. Il risultato è un organismo vivo, predisposto a far emergere le voci del passato.

La mostra inaugurale del Museo della Moda e del Costume di Arles

La mostra inaugurale, intitolata Collections-Collection, si presenta come un corpus tessile che sfiora ben 10.000 pezzi, testimonianza stratificata dell’abbigliamento arlesiano e provenzale dal XVIII al XX Secolo. Curata con rigore filologico e passione innata dal neodirettore Clément Trouche, la rassegna si sviluppa cronologicamente come una narrazione per silhouette, dove ogni figura diventa una biografia immaginata – emblematica è la robe à la française giallo burro eletta a manifesto. E i copricapi, i bustini, le sete, i caracos, i fichu, diventano evocazioni sensoriali. “La prima sala è un cabinets de curiosités, dove gli oggetti appaiono allo stato originario, quando un collezionista li scopre, li acquista o li inserisce nella sua raccolta. Subito si percepisce come entrano in risonanza tra loro e diventano parte di una storia condivisa” dichiara Trouche. Per poi lasciare spazio a una sorta di criocamera dei tessuti: penombra, controllo della temperatura, controllo dell’umidità, anti-polvere. Siamo ospiti in una vetrina del non-tempo. 

Antoine Raspal e Charles Fréger: immagini che vestono il tempo

In dialogo con le silhouette troviamo lo sguardo di due grandi interpreti del costume. Da un lato Antoine Raspal, pittore nativo del XVIII Secolo, autore del famoso quadro L’atelier de Couture, altrimenti detto “la Gioconda arlesiana”, che ritrae le “Rose Bertin locali” all’opera. “È l’unica rappresentazione dettagliata e a colori dell’interno di un atelier sartoriale del Settecento” spiega Trouche. Dall’altro Charles Fréger, artista contemporaneo delle “pelli sociali”, che con la sua video-installazione restituisce al gesto dell’indossare un costume tradizionale la sua sacralità quotidiana. Le donne scannerizzate da Raspal – sempre nella stessa posa, in abiti diversi – anticipano l’idea di moda come identità mobile e rappresentazione sociale. Fréger, dal canto suo, indaga l’eco di quei gesti nell’attualità, dimostrando che il costume non è reliquia, ma rito che si rinnova. 

La “Fashion Arlésienne” ritorna al Museo della Moda e del Costume di Arles

Ancor prima di Raspal, la bellezza dell’“Arlésienne”, la donna di Arles, è simbolo e leggenda,  complice il rinvenimento nel 1651 della Venere di Arles, statua in marmo talmente apprezzata da Luigi XIV da collocarla nella Galleria degli Specchi di Versailles (ora al Louvre). Nell’Ottocento, in Francia, questa figura era conosciuta come la “fashion Arlésienne”: non seguiva le tendenze, le creava. Dalla rilettura della robe à l’anglaise in chiave locale all’utilizzo del rosa – allora simbolo di mascolinità. Dal momento in cui la città era un punto d’entrata per le merci tra il Mediterraneo e il continente (dalle navi marittime alle barche fluviali), le Arlesiane erano le prime a servirsi dei tessuti. E ad esprimersi attraverso essi, ad esempio, durante la “Grande Promenade”, una sfilata annuale che dal 1830 celebrava la sartorialità locale.

Basti pensare che le donne passavano un anno intero a concepire il proprio abito. Valutato poi dalla stampa, che nominava la “regina” dell’evento in base all’eleganza. Come raccontano le cronache degli archivi municipali, ci dice Trouche, “nel 1838 le Arlesiane si presentarono in camicie da notte per protestare contro i giornalisti di moda corrotti dai commercianti di tessuti”. Il che, non è che la testimonianza di una cultura della moda decisamente consapevole e radicale. È innegabile: con l’apertura del Museo della Moda e del Costume di Arles Fragonard non inaugura solo uno spazio espositivo, ma un originale crocevia tra storia, conservazione dei tessuti e cultura provenzale. Dove si ha l’impressione che il tempo stesso abbia indossato un abito, e stia danzando, in punta di piedi, tra le pieghe della memoria.

Aurora Mandelli

L’articolo "In Francia Arles ha un nuovo museo della Moda e del Costume tutto a tema provenzale" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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