In rivolta: così 29 donne testimoniano discriminazioni, sfide, violenze e tabù sui corpi e danno voce a un “manifesto”
- Postato il 6 ottobre 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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Ogni corpo racconta una storia e non tutti i corpi, agli occhi della società, hanno ancora gli stessi diritti. Per questo è importante parlarne, denunciare, raccontare, non solo la pressione che i corpi devono subire ma anche la loro capacità di resistenza e trasformazione. È questo il concetto alla base del libro-manifesto In rivolta, Manifesto dei corpi liberi, edito da Castelvecchio con cui WeWorld, organizzazione umanitaria attiva da 50 anni in oltre 20 Paesi, ha voluto unire le voci di 29 donne per parlare di una concetto tanto semplice quanto ricco di sfaccettature: il corpo come punto di incontro tra storia, cultura, affetti, traumi, desideri.
Così attiviste, giornaliste, professioniste che lavorano a contatto con donne di tutto il mondo hanno raccontato esperienze personali, professionali o semplicemente dati che, insieme, rappresentano un coro unanime nel promuovere il rispetto di ogni corpo e l’autonomia corporea, cioè, come spiega la stessa organizzazione “proteggere il diritto di ciascuna persona a fare scelte libere, rispettando i propri desideri e valori, senza subire violenze o imposizioni”.
Il volume sarà presentato al WeWorld Festival che si terrà a Bologna dal 7 al 12 ottobre. Il libro è arricchito dall’indagine Ipsos-WeWorld Il corpo politico. Autonomia corporea e menopausa tra potere, resistenza e cura collettiva, che a trent’anni dalla Conferenza di Pechino fotografa un quadro urgente: pressione estetica in crescita vertiginosa, discriminazioni legate all’età che colpiscono più duramente le donne rispetto agli uomini, e una menopausa ancora invisibile, priva di strumenti e informazioni adeguate per essere affrontata.
In rivolta, manifesto per corpi liberi, attraverso le voci, tra le altre, di Vera Gheno, Lidia Ravera, Azzurra Rinaldi, Donata Columbro, Sarah Malnerich, Francesca Fiore, Antonella Questa, Pegah Moshir Pour e Chiara Gregori, racconta le pressioni che i corpi devono subire, ma anche le risposte che possono dare, resistenza, affermazione, trasformazione, per sfociare poi, appunto, in un Manifesto in 10 punti. Il libro si articola in cinque sezioni che raccontano tutto questo: Il corpo normato, che esplora leggi e consuetudini attraverso cui si esercita potere sui corpi; Il corpo non conforme che raccoglie le esperienze di chi sfida le etichette imposte; Il corpo che deve farsi madre, che ospita riflessioni sui corpi fertili; Il corpo che invecchia, in cui vengono raccontate le disuguaglianze legate all’età; Il corpo di battaglia, che esplora i contesti di violenza e sfruttamento. Il racconto, in particolare, esplora le esperienze di corpi femminili, marginalizzati, a volte discriminati e racconta il difficile accesso di questi corpi a informazioni, servizi, scelte e diritti.
Così, per esempio, si può leggere la storia di Hala Soliman Dawood Abu Rayya, farmacista con oltre 15 anni di esperienza nel settore umanitario che ha lavorato a lungo nella Striscia di Gaza. Attraverso la sua testimonianza, Hala racconta la difficoltà dell’essere sfollati e di essere, contemporaneamente, donna: sanguinare, avere le mestruazioni (parola ancora oggi difficilissima da pronunciare per molti, quasi fosse una parolaccia da dire sottovoce), nei rifugi, spesso sovraffollati con servizi igienici assenti, o persino per strada, diventa una sfida. Così la salute sessuale, riproduttiva o anche il semplice igiene mestruale, diventa un lusso. Lei stessa, racconta, ha vissuto un’esperienza di privazione: nella paura dei bombardamenti il suo corpo ha reagito interrompendo il ciclo mestruale per mesi. Poi, d’un tratto, quando è dovuta fuggire per forza, quando i tank israeliani si sono presentati alla porta di casa, le mestruazioni sono tornate manifestandosi come emorragia. Nel rifugio la gestione delle mestruazioni, senza privacy, senza acqua, senza prodotti, è stata un incubo.
La giustizia mestruale è un tema filo conduttore sia del lavoro di WeWorld, sia delle testimonianze che si alternano nel libro. Come quella della giornalista Claudia Bellante che racconta della sua esperienza a Dar es Salaam, in Tanzania, dove le credenze sulle mestruazioni sono ancora radicate nella comunità: gli assorbenti vanno bruciati perché, se qualcuno vede il tuo sangue mestruale, il malocchio potrebbe colpirti e farti diventare sterile.
Ma nel volume corale il corpo viene sviscerato in ogni sua forma. Così Georgina Orellano, sex worker, femminista e attivista argentina, racconta i “corpi in vendita” che, poi, in vendita non sono, privati anche dei diritti più basilari come affittare una casa perché non si possono dimostrare i redditi: “Nessuna vende il proprio corpo, lavoriamo con una parte di esso – rivendica – La sacralizzazione della sessualità blocca l’estensione dei diritti alle sex worker”.
Parlare di corpi, ci ricorda In rivolta, vuol dire anche parlare della loro estetica. Così nasce il capitolo “Il corpo non conforme”. Corpi grassi, trans, con disabilità o razzializzati: l’estetica del corpo è uno stigma sociale che attraversa ogni cultura fin dalla nascita. Lo racconta bene Lara Lago che affronta il difficile tema della grassofobia. Un’etichetta appiccicata addosso fin da bambina, analizza l’autrice e giornalista, che l’ha portata ad iniziare diete già in seconda media. La riflessione di Lago, però, non è solo personale: i corpi grassi, che non rientrano cioè in una estetica prestabilita, incorrono in problematiche anche nell’ambito lavorativo. Un esempio? Secondo il Journal of Obesity, persone con corpi grassi hanno il 37% di probabilità in meno di essere assunte rispetto alle persone normopeso, a parità di competenze.
Le pressioni sui corpi, ci ricordano le autrici del volume, iniziano fin dall’infanzia. Ma dalla pubertà diventano ancora più presenti. Per tutti, sia chiaro, ma un po’ di più per i corpi con utero, spesso visti solo come “corpi che possono generare” e che, soprattutto “devono farlo”. Una percezione diffusa, secondo il rapporto Il corpo politico di WeWorld, che accompagna il volume: quasi nove donne su dieci, infatti, sentono il peso dello sguardo sociale sulle proprie scelte riproduttive, se avere figli, quanti e quando. Così le voci di In rivolta snocciolano questa pressione sociale, dall’essere una “incubatrice vivente“, donne viste solo per il loro portare in grembo, il cui corpo scompare subito dopo aver partorito, alla difficile situazione della genitorialità che, in Italia, ricade, soprattutto, sulle donne.
Il libro alterna momenti di riflessione ad altri amaramente ironici. Dati e testimonianze. Non ha un filo conduttore unico, né una risposta: piuttosto pone delle domande, apre gli occhi, risveglia. Le 29 voci che si susseguono raccontano con un punto di vista a volte più analitico altre più colloquiale il corpo. Non come pensiamo di conoscerlo, un contenitore, ma come una identità, e anche, lo descrive bene Pegah Moshir Pour in un capitolo dedicato all’Iran, come atto di rivolta: lì anche ballare è rivoluzionario, “è il corpo che prende parola, che rifiuta l’obbedienza, che trasforma la bellezza in resistenza”.
IL FESTIVAL DI WEWORLD
In rivolta, Manifesto dei corpi liberi, come detto, verrà presentato in anteprima alla seconda edizione del Festival di Bologna dell’organizzazione umanitaria che si tiene dal 7 al 12 ottobre. Il tema di quest’anno è “Sentire è un atto politico” ed affronta “l’urgenza di riscoprire l’empatia in un’epoca segnata da crisi dimenticate, conflitti normalizzati e ingiustizie strutturali. In un flusso costante di notizie che rischia di anestetizzarci, sentire non è più un gesto scontato, ma un vero e proprio atto di resistenza”. Il Festival si snocciola in diversi luoghi (qui il programma completo), dal cinema Lumière al Mercato Ritrovato: tanti gli e le ospiti che si alterneranno sui palchi di quest’edizione, dalla fumettista e attivista Josephine Yole Signorelli (Fumetti brutti), alla linguista, saggista e attivista Vera Gheno, all’attivista Patrick Zaki. Il Festival si aprirà il 9 ottobre, al Modernissimo, con i saluti di Dina Taddia, consigliera delegata di WeWorld e del sindaco di Bologna Matteo Lepore. Tornerà anche il format Chiacchierata attivista, da cui ha preso forma (nella quindicesima edizione del WeWorld Festival di Milano), anche il Manifesto presente nel libro. Un invito a riflettere su come le persone si organizzano, si alleano e prendono parola per costruire nuove alleanze, immaginare narrazioni diverse, reclamare il diritto alla presenza, alla parola, al dissenso.
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