Inquinamento da Pfas, le reazioni alla storica sentenza Miteni e le ricostruzioni sommarie (e autoassolutorie) della politica

  • Postato il 27 giugno 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La sentenza della Corte d’Assise di Vicenza che riconosce il reato di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque e prescrive condanne tra gli 11 e i 17 anni ai vertici della Miteni è prima di tutto una vittoria dei cittadini e, in particolare, delle Mamme no Pfas e dagli ambientalisti, che si sono costituiti parti civili e hanno riempito l’aula. Si sono commossi e hanno accolto il verdetto con un lungo applauso liberatorio. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, dice che fu proprio la Regione, su suo mandato “nel 2013, a segnalare per prima alla magistratura gli effetti gravissimi e irreversibili dell’inquinamento da Pfas”, ma la contaminazione fu accertata dopo che, a maggio 2011, per la prima volta i ricercatori Cnr-Irsa Stefano Polesello e Sara Valsecchi entrarono in Miteni, raccogliendo campioni di acque di scarico. E da allora sono passati tanti anni e tanti errori. Basti pensare che cinque anni prima, a marzo 2007, al ministero dell’Ambiente e all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) era arrivata una mail da parte del professore Michael McLachlan, docente di Chimica dei contaminanti dell’Università di Stoccolma che, nel corso di uno studio, aveva registrato nel fiume Po, all’altezza di Pontelagoscuro in Emilia Romagna, 200 nanogrammi per litro del cancerogeno Pfoa, contro una media europea di 30.

Le reazioni (e le verità) della Regione Veneto – “Nel 2013, in un contesto privo di riferimenti normativi specifici, la Regione Veneto, attraverso Arpav e la Direzione Prevenzione dell’Area Sanità e Sociale, segnalò la gravità della contaminazione da Pfas alle Procure delle province di Vicenza, Verona e Padova” ricostruisce dopo la sentenza l’assessore alla Sanità del Veneto, Manuela Lanzarin. La Regione Veneto chiese all’Istituto Superiore di Sanità di fissare dei limiti che arrivarono solo a gennaio 2014: 30 nanogrammi per litro di Pfos, 500 per Pfoa e 500 per la somma di tutti gli altri Pfas. Nello stesso anno, però, fu concessa l’Autorizzazione integrata ambientale all’azienda, in piena emergenza Pfas, data dalle autorità confluenti nella Conferenza dei servizi, comprese Regione e Provincia. Passaggio che ha permesso di passare dalla produzione dei Pfas di vecchia generazione a quelli di nuova generazione. “In un quadro normativo allora assente – prosegue, però, il governatore – la Regione ha agito con determinazione, imponendo ai gestori idrici la filtrazione delle acque, stanziando fondi per la messa in sicurezza e attivando, nel 2016, un Piano di Sorveglianza Sanitaria aggiornato nel 2018, che ha coinvolto 127mila cittadini dell’area rossa. Abbiamo investito risorse regionali, richiesto e ottenuto lo stato di emergenza nel 2018, e sostenuto in sede giudiziaria una tra le più ampie documentazioni tecnico-scientifiche mai prodotte in un processo ambientale in Italia”. Alla Regione Veneto, costituitasi parte civile, la sentenza riconosce oggi un danno superiore ai 6,5 milioni di euro, che i condannati, insieme ai responsabili civili Mitsubishi Corporation e Icig, saranno tenuti a risarcire.

Il Movimento 5 Stelle: “Denunciavamo, ma i leghisti ci attaccavano” – Una verità diversa quella del deputato veneto del M5S, Enrico Cappelletti. “È partito tutto molti anni fa, dagli esposti presentati in Procura dal M5S, nel silenzio assordante di tutti gli altri partiti e con i giornali locali e i leghisti che attaccavano noi e non i responsabili del disastro” ha scritto sui social, subito dopo la pronuncia del verdetto. “Avevamo ragione da vendere – ha aggiunto – ma certo rimane l’amaro in bocca per un disastro che porterà il nostro territorio a pagare un costo ben più salato, conseguente alla grave contaminazione subita”. Poi il ringraziamento a “Sonia Perenzoni, nostra coraggiosa consigliera comunale, senza la quale non ci sarebbe stato un processo per inquinamento da Pfas e la multinazionale Miteni probabilmente continuerebbe ancora oggi a inquinare indisturbata”. Anche Elena Mazzoni, responsabile nazionale ambiente Prc-Se e Gabriele Zanella, segretario regionale Prc Veneto ricordano di aver denunciato per anni “l’operato della Miteni e l’inerzia delle istituzioni, che hanno permesso un inquinamento sistematico e devastante delle nostre acque e delle nostre terre, convinti che la salute dei cittadini e l’integrità del nostro territorio non potessero essere barattate con il profitto”.

Le battaglie delle associazioni ambientaliste – “Dopo anni di denunce, vertenze e battaglie, portate avanti anche da Legambiente e dai suoi circoli, chi ha inquinato finalmente paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio veneto danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini” ricostruisce Legambiente. E il riferimento è proprio alla prima denuncia nel 2014 fatta dal Circolo Perla Blu di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali, coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente “che in questi anni si sono battuti, dentro e fuori le aule del tribunale, per ottenere giustizia”. Una denuncia arrivata dopo l’Aia concessa a Miteni quello stesso anno. Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, Legambiente Veneto e il circolo locale chiedono che si proceda quanto prima alla bonifica del sedimento inquinato “che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni”. Dalle acque di falda, rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 chilometri quadrati, ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi inquinanti eterni.

Cosa accadrà ora – Come ricordato da Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, nei giorni scorsi è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del documento di analisi del rischio propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso. Per Chiara Campione di Greenpeace Italia “la storica sentenza dà nuova linfa al principio ‘chi inquina paga’ ed è il risultato di un’importante opera di denuncia fatta dalla società civile e di indagine dei Noe dei carabinieri. Ora – aggiunge – il prossimo decisivo e necessario passo deve essere l’inizio delle operazioni di messa in sicurezza e bonifica di tutta l’area contaminata, a tutela dell’ambiente e della salute delle persone”. La capogruppo democratica alla Camera, Chiara Braga insieme al capogruppo Pd in Commissione parlamentare d’inchiesta sugli Ecoreati, Stefano Vaccari, sottolineano che la verità giudiziaria a cui si è arrivati impone adesso una responsabilità politica altrettanto chiara: “Si proceda subito con le bonifiche e il Governo italiano intervenga con urgenza. È tempo di colmare quei vuoti normativi che hanno finora permesso la diffusione incontrollata di sostanze Pfas e occorre a fissare limiti per la diffusione delle sostanze perfluoroalchiliche che siano stringenti e uniformi su tutto il territorio nazionale”. Per i parlamentari del M5S nel comitato Pianeta 2050, Sergio Costa, Alessandro Caramiello, Carmen Di Lauro, Ilaria Fontana, Gisella Naturale “le pesanti condanne dimostrano che chi ha avvelenato falde e comunità deve pagare, senza ‘se’ e senza ‘ma’. Questo è un primo grande passo, ma serve una legge nazionale sui Pfas seria, una bonifica reale e la garanzia che simili disastri non si ripetano più”.

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Il Fatto Quotidiano

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