Inquinanti eterni, trovati i Pfas nel sangue di 16 vigili del fuoco e nei dispositivi di protezione individuale
- Postato il 10 giugno 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Sono stati trovati Pfas, composti poli e perfluoroalchilici altrimenti noti come ‘inquinanti eterni’, nel sangue di 16 vigili del fuoco provenienti dai comandi di Catania, Padova, Verona, Alessandria, Genova e Pisa, ma anche nei dispositivi di protezione individuale fatti analizzare in un laboratorio indipendente. Quelli vecchi, ma anche quelli nuovi di zecca. E c’erano Pfas anche negli schiumogeni utilizzati per spegnere l’incendio nella raffineria Eni di Calenzano. Dopo la morte di quattro colleghi che hanno prestato servizio ad Arezzo e l’indagine interna con cui si cerca di capire se può esserci una relazione con l’esposizione ai Pfas, questi 16 vigili del fuoco hanno fatto volontariamente le analisi del sangue presso l’ospedale Universitario di Aquisgrana (Aachen) in Germania, mentre in laboratorio venivano esaminati anche i dispositivi di protezione individuale. Come anticipato durante una diretta de ilfattoquotidiano.it, i risultati sono stati illustrati nel corso di una conferenza organizzata alla Camera dei deputati, dal sindacato Usb dei vigili del fuoco, in collaborazione con Greenpeace Italia, che ha partecipato all’indagine. “È agghiacciante che chi fornisce un servizio di questo tipo al Paese, non solo sia esposto a queste sostanze come tutti i cittadini, ma che lo sia doppiamente proprio in ragione della sua professione” ha commentato il deputato del M5S Riccardo Ricciardi, presente alla conferenza.
I rischi per i vigili del fuoco e le analisi del sangue – In effetti, nel 2023 dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha trattato proprio l’esposizione professionale dei vigili del fuoco (attraverso le schiume antincendio e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuali), classificandola come cancerogena per l’uomo (Gruppo 1). Come ha ricordato Claudia Marcolungo, professoressa di diritto dell’ambiente all’Università di Padova, quella ai Pfas non è l’unica esposizione che coinvolge i vigili del fuoco ma, proprio per questo “va considera sia singolarmente, sia in termini di effetti sinergici con altre sostanze”. Ma cosa è venuto fuori dalle analisi indipendenti fatte eseguire dall’Usb e da Greenpeace? “Pur non evidenziando valori particolarmente elevati – spiega il sindacato – i dati superano la prima soglia di rischio individuata dalla National Academy of Sciences e suggeriscono l’avvio di un biomonitoraggio periodico per il personale”. In sei campioni, il valore per il Pfoa è stato superato, mentre quello del Pfos è stato superato in dieci campioni.
Trovata la molecola prodotta solo all’ex Solvay – Desta particolare preoccupazione la presenza nel siero di uno specifico composto. “Si tratta dell’Adv che, in base a quanto noto, viene prodotto solo nello stabilimento ex Solvay, oggi Syensquo, di Alessandria” spiega il sindacato. “I dati che abbiamo raccolto indicano chiaramente che esiste un problema Pfas per il settore dei Vigili del fuoco, una questione che non può più essere ignorata” racconta a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia. “Chiediamo al ministero perché abbiamo trovato una molecola che, secondo le informazioni pubblicamente disponibili, è riconducibile a un unico stabilito, ossia quello ex Solvay di Spinetta Marengo. E chiediamo che il governo intervenga mettendo in sicurezza il corpo italiano dei Vigili del Fuoco, nonché vietando l’uso e la produzione di Pfas su tutto il territorio nazionale”.
I Pfas trovati nei dispositivi di protezione individuale (vecchi e nuovi) – Sono stati fatti esaminare alcuni Dpi presso un laboratorio indipendente e certificato, specializzato nell’analisi di prodotti tessili: divisa e pantalone d’ordinanza (nuovo e usato), guanti, sottocasco, polo (tutti e tre solo usati) e un Kit antifiamma composto da giacca e pantalone. “In tutti i Dpi sono state analizzate 56 singole molecole Pfas (delle circa 10mila esistenti) e il parametro Aof (Fluoro organico assorbibile) utilizzato per identificare la presenza di Pfas non misurabili singolarmente e già adottato a livello normativo in California nell’ambito del divieto di Pfas nell’abbigliamento” ha spiegato Ungherese in conferenza. Nella giacca e nel pantalone di ordinanza sono stati riscontrati livelli più alti di singoli Pfas nei dispositivi vecchi, mentre i livelli di Aof sono di 2 e 16 volte più alti nei nuovi (nella giacca e nel pantalone rispettivamente). Proprio nel Kit antifiamma (giacca e pantalone) si registrano i livelli in assoluto più elevati, con valori di Aof, sia nei materiali nuovi che usati, superiori a 5mila ppm (milligrammi per chilo). Si tratta del valore massimo che la strumentazione di laboratorio può misurare, quindi la quantità potrebbe essere ben più alta. Anche qui in generale si registrano livelli più alti di singoli Pfas nei dispositivi di protezione individuale vecchi anziché nei nuovi, eccezion fatta per il pantalone dove i singoli Pfas sono più alti nel pantalone nuovo rispetto al vecchio. Tanto per avere un termine di paragone, nei prossimi anni, in base alle normative che entreranno in vigore, i limiti di legge saranno intorno a 100 milligrammi per litro, per ridursi poi negli anni. “Abbiamo trovato queste sostanze praticamente ovunque. È opportuno sottolineare – racconta Ungherese – come siano presenti, sia nei nuovi che nei vecchi componenti del Kit antifiamma (giacca e pantalone), molecole Pfas di vecchia generazione a 9, 10 e 12 atomi di carbonio, qualcosa che appartiene a tanti tanti anni fa. Si tratta di Pfas figli di una produzione che, a quanto ci dicono le aziende, non dovrebbe nemmeno esistere. Trovarli su materiale vecchio può avere un senso, ma sorprendente averli riscontrati su materiale nuovo, mai utilizzato”.
Greenpeace: “Dati in contraddizione con un documento del ministero” – Ad oggi non ci sono limiti all’uso dei Pfas in questi dispositivi dei vigili del fuoco. Greenpeace li ha però trovati, sebbene il ministero avesse sostenuto che le tute utilizzate dai pompieri italiani non presentano quantità pericolose di inquinanti eterni. In un’inchiesta firmata dalle giornaliste Francesca Cicculli e Laura Fazzini, Irpi Media aveva pubblicato il contenuto di un documento del 2018 del Ministero dell’Interno che certificava l’assenza di Pfas nei Dpi. Quel documento è diventato parte integrante della risposta della Direzione centrale per le risorse logistiche e strumentali in capo al ministero degli Interni, arrivata a giugno 2021, alla richiesta di informazioni di Conapo e Fns Cisl. Il ministero sosteneva di aver effettuato un controllo su quel documento, che faceva riferimento a una fornitura di completi antifiamma del 2018. Secondo l’azienda produttrice la concentrazione di Pfoa e Pfos era inferiore a 0,1 microgrammo per metro quadrato. La direzione centrale ne deduceva che non vi fosse alcun elemento che giustificasse il dubbio circa la sicurezza dei Dpi in uso ai vigili del fuoco italiani, per quanto riguarda la presenza di Pfas. “I nostri dati sono in netta contraddizione col documento ufficiale del Ministero di qualche anno fa” spiega Ungherese.
Utilizzati schiumogeni con Pfas anche per l’incendio di Calenzano – Per quanto riguarda gli schiumogeni, “la messa al bando in ambito europeo delle schiume contenenti Pfoa (noto cancerogeno) e Pfos (possibile cancerogeno) risale a 13 anni fa, ma è stata recepita in Italia nel 2018” ha spiegato Enrico Marchetto, vigile del fuoco del comando di Padova e coordinatore nazionale dell’Usb, anche se “alcune di questi schiumogeni sono ancora presenti negli aeroporti”. In conferenza stampa, Vitalia Murgia di Isde Italia ha ricordato, in particolare, una risposta fornita nel 2024 dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell’Interno a una nota del sindacato Conapo riguardante i possibili rischi per la salute. Il dipartimento scriveva che nelle attività di training aeroportuale non dovranno essere utilizzate le schiume filmanti che contengono o che possono contenere Pfoa, suoi sali e composti. “Il ministero – ha spiegato – dovrebbe sapere che ci sono i Pfas a catena lunga e quelli più recenti, a catena corta, che si pensava fossero meno dannosi”. In realtà, hanno criticità ambientali e sanitarie significative e, una volta riversati, si spostano molto più velocemente nelle acque, dove persistono perché gli impianti di trattamento non sono in grado di rimuoverli, neppure quelli che finzioni per i Pfas a catena lunga. “Posso dire con certezza, perché viene riportato in documenti che ho potuto analizzare insieme a Medicina Democratica – ha aggiunto – che tre dei quattro schiumogeni utilizzati per spegnere l’incendio al deposito Eni di Calenzano – contenevano Pfas a catena corta. E allora il dipartimento dovrebbe pensare di eliminarli. So che qualcosa si sta facendo, ma bisogna essere più rapidi”. Cosa chiede il sindacato? L’Usb chiede una mappatura dei siti contaminati, l’analisi delle sedi di servizio e di tutte le attrezzature, la sorveglianza sanitaria degli operatori e un piano per l’eliminazione all’esposizione lavorativa attraverso una transizione Pfas-free nelle divise, nei dispositivi di protezione individuale e nelle schiume antincendio. “Questi passi devono condurre al riconoscimento di categoria esposta – è stato spiegato – e all’inserimento a tutti gli effetti dei vigili del fuoco nei parametri Inail per un effettivo archivio delle malattie professionali”.
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