Israele adesso invade, Netanyahu: «Occupazione di Gaza permanente»
- Postato il 6 maggio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Israele adesso invade, Netanyahu: «Occupazione di Gaza permanente»
Netanyahu dà il via libera al piano di intervento militare Israele intende sfruttare appieno il momento favorevole: a Gaza occupazione permanente
Non dovrebbe sorprendere che dopo il 7 ottobre Israele avesse nei suoi piani l’assunzione del controllo di tutta Gaza. Dopo le orribili ore di quel terribile giorno vissute dalla popolazione israeliana nei kibbutz il 7 ottobre 2023 e con 59 ostaggi ancora nelle mani di Hamas da 576 giorni, è cambiato l’orizzonte strategico per Israele nelle risposte alle minacce dei nemici ai suoi confini. Sembra che per Gerusalemme non sia più ammesso tornare indietro. Il governo di Netanyahu avverte, forse, che ora non può permettersi di non finire il lavoro smantellando completamente Hamas, espellendola dalla Striscia dopo averne preso il totale controllo. Pensa, forse, che difficilmente si presenterà un’opportunità come questa per andare fino in fondo: mettere in sicurezza lo Stato ebraico e ottenere la liberazione senza condizioni di tutti gli ostaggi.
Il Gabinetto di sicurezza israeliano ha dato il via libera a una nuova operazione di terra che prevede l’occupazione dell’intera Striscia di Gaza e la preparazione di un piano per assumere il controllo della distribuzione degli aiuti, piano questo respinto dai gruppi umanitari internazionali dopo le ripetute richieste del governo israeliano di organizzare la distribuzione degli aiuti in maniera sicura, attraverso la società civile per evitare che questi beni vengano sequestrati da Hamas che li sottrae alla popolazione che viene così istigata all’odio per Israele. L’organizzazione palestinese vuole invece il controllo degli aiuti umanitari perché attraverso di essi arrivano anche le armi.
Inoltre, Hamas aveva rifiutato la proposta di marzo presentata dall’inviato dell’amministrazione Trump Steve Witkoff che l’avrebbe obbligata a rilasciare alcuni ostaggi ancora vivi in cambio della proroga del cessate il fuoco allora vigente. Ma l’organizzazione terroristica palestinese aveva chiesto come precondizione che le forze israeliane si ritirassero completamente dalla Striscia.
Ma ora Israele sembra percepire che questo sia il momento per il cambio di strategia, dopo il fallimento del cessate il fuoco di marzo. Nella prima operazione terrestre, l’IDF aveva attaccato le roccaforti di Hamas e si era ritirato, se pur parzialmente, dalla Striscia; Hamas era tornata così a iniziare a ricostruire la sua rete e le sue basi. Davanti a tutto questo Gerusalemme sembra essersi convinta che solo con il mantenimento del controllo di tutto il territorio potrà impedire all’organizzazione terroristica di ricostruire appieno la sua rete del terrore.
Hamas aveva bisogno di una tregua lunga per poter iniziare a rigenerarsi confidando in un perdurante sostegno da parte dell’Iran. Sembra che avesse attivato il comando della Brigata di Gaza City, Izz al Din al Haddad, e si sostiene che avesse iniziato a reclutare cittadini di Gaza nel corso di funerali e incontri di preghiera, offrendo loro cibo, aiuti e assistenza medica in cambio dell’arruolamento. Si era procurato queste risorse dirottando i convogli di aiuti umanitari. Ha utilizzato munizioni inesplose per costruire nuovi ordigni improvvisati. Inoltre, Teheran aveva inviato a Gaza suoi esperti militari per addestrare le nuove reclute.
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato dunque un piano per espandere gli attacchi militari su Gaza e per questo ha richiamato decine di migliaia di riservisti in preparazione della nuova fase dell’operazione. Il piano dovrebbe essere messo in pratica dopo la visita nella regione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto per la prossima settimana. Il presidente Usa ha incluso nel suo tour in Medio Oriente anche la Turchia.
Il governo israeliano ha intenzione di riprendere la distribuzione di aiuti umanitari a Gaza controllandola direttamente tramite aziende private. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie hanno annunciato che non avrebbero collaborato, sostenendo che ciò avrebbe violato i principi fondamentali dei diritti umani.
La prima fase del piano prevede la conquista di nuove aree a Gaza e l’espansione della “zona cuscinetto” lungo il confine della Striscia con l’Egitto. Subito dopo la rottura della tregua, a differenza del passato, l’esercito israeliano non si è limitato ad evacuare le aree fonti di minaccia alla propria sicurezza dopo averle bonificate, ma le ha occupate per controllarle dall’interno. L’IDF è da tempo al lavoro per l’evacuazione dello strategico valico di Rafah e per la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine tra Gaza ed Egitto. Il “corridoio Morag” che separa la Striscia di Gaza tra Khan Yunis e Rafah e che si estendeva a nord-ovest da Israele fino al Mar Mediterraneo, ora proseguirà per cinque chilometri nella Striscia, circondando di fatto Rafah, tagliando le linee di rifornimento di Hamas dal Sinai.
Il “corridoio Morag” è un corridoio di sicurezza pianificato nella Striscia di Gaza meridionale, voluto dal primo ministro Benjamin Netanyahu il 2 aprile scorso dopo la rottura del cessate il fuoco e dopo la nuova offensiva contro Rafah che dovrà creare un terzo asse controllato da Israele e stabilire nuovi corridoi di sicurezza consentendo la divisione di Gaza in sezioni separate. Netanyahu ha descritto il “corridoio Morag” come il “secondo Philadelphi Corridor”, mirante ad aumentare la pressione su Hamas affinché rilasci gli ostaggi rimanenti e ceda il controllo dell’intera Striscia.
Netanyahu sostiene che questo piano di attacco è diverso dai precedenti perché ora “l’occupazione dell’intera Gaza diventerà permanente, anziché essere limitata”. Secondo alcuni osservatori, non è escluso però che se Hamas capisse che Israele fa sul serio, ci sarebbe la possibilità di raggiungere un nuovo accordo di cessate il fuoco e di scambio di ostaggi prima della fine della visita del presidente Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti dal 13 al 16 maggio.
Il cambio di strategia di Israele appare evidente anche nei riguardi della Siria. L’esercito israeliano ha triplicato la sua presenza sulle alture del Golan e ha stabilito nove nuove postazioni all’interno del territorio siriano, sei mesi dopo essere entrato nell’area in difesa della comunità drusa vicina a Israele, vessata dai gruppi islamisti sunniti di al-Shaara. Israele si sente minacciata dal governo filo-jihadista di Damasco e non tollera alcuna presenza militare nella regione a sud della capitale siriana per questo motivo ha esteso la sua zona cuscinetto nelle alture del Golan e chiede che sia costituita un’amministrazione autonoma drusa in tutta l’area a sud di Damasco che man mano sta ponendo sotto il suo controllo occupando porzioni sempre maggiore di territorio siriano.
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