Kenya, giugno 2025: la protesta della Gen Z, un copione che si ripete. In peggio

  • Postato il 29 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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C’è una data che i giovani kenioti difficilmente dimenticheranno: il 25 giugno. Già, perché esattamente un anno fa il paese era stato scosso dalle violente manifestazioni contro la legge finanziaria, costate la vita a più di 60 persone. E proprio in questo giorno, dodici mesi dopo, la storia si è ripetuta. Con lo stesso dolore. Con lo stesso sangue. Con ancora più rabbia.

Quella che doveva essere una giornata di memoria e lutto per commemorare le vittime del 2024 si è trasformata in un nuovo, tragico capitolo di violenza. Le cifre parlano chiaro, anche se il bilancio definitivo è ancora incerto: almeno 9 morti – secondo Amnesty International si tratta addirittura di 16 – oltre 400 feriti e più di 60 arresti. E tutto questo in meno di 24 ore. Fin dall’alba il centro di Nairobi era bloccato da agenti antisommossa e barriere di filo spinato per impedire ai dimostranti di avvicinarsi alle sedi istituzionali.

Come se non bastasse, poco dopo è scattato il silenziatore mediatico. L’ente governativo delle comunicazioni ha imposto a radio e televisioni di interrompere tutte le dirette sulle proteste. Bloccato internet e Telegram.

Fino all’altro ieri qualcuno forse avrebbe potuto liquidare tutto con una scrollata di spalle. Le proteste della Generazione Z keniota? Un fenomeno da social, fatto di hashtag virali, meme ironici e campagne online. Giovani iperconnessi, con più dimestichezza con TikTok che con la piazza e capaci solo di qualche scazzottata con la polizia. Ma ormai da tempo quella narrazione fa acqua da tutte le parti. Già, perché la rabbia della Gen Z keniota non è più una questione virtuale. È diventata qualcosa di fisico, concreto, dolorosamente reale. E si misura con il sangue versato per le strade di Nairobi.

Quello a cui stiamo assistendo è un drammatico salto di qualità nella protesta sociale in Kenya. Da una lotta a colpi di tweet, si è passati ad uno scontro costante, continuo e diretto con la polizia. Dai post indignati agli scontri corpo a corpo. E non è un fenomeno isolato. È il sintomo di una frattura generazionale e politica sempre più profonda.

Questi ragazzi – che a differenza dei “nostri” sono giovani davvero – cresciuti tra pugni in faccia e precarietà, stanno dicendo a voce alta quello che per anni è rimasto sottotraccia: che non si fidano più delle istituzioni. Che non credono alle promesse di riforma. Che non hanno più nulla da perdere. Dietro la rabbia c’è un mix esplosivo di fattori: disoccupazione cronica, aumento vertiginoso del costo della vita, repressione poliziesca e, soprattutto, la percezione di essere ignorati da una classe politica lontana anni luce dai problemi reali delle nuove generazioni.

A questo punto la domanda che tutti si fanno – dentro e fuori dal Kenya – è una sola: dove porterà questa escalation? Voi direte: beh, è l’Africa! Ne siete proprio sicuri? Quando lo Stato inizia a “giocare sporco”, appoggiandosi addirittura a bande paramilitari per intimidire i manifestanti, la soglia del non ritorno si avvicina pericolosamente.

Le immagini arrivate da Nairobi raccontano di strade trasformate in teatri di guerriglia urbana: barricate improvvisate, falò accesi per bloccare i viali principali, e manifestanti che sfidavano le forze dell’ordine fino a tarda sera. La risposta delle forze di sicurezza? Idropulitrici, lacrimogeni e – nonostante le smentite ufficiali – veri e propri colpi d’arma da fuoco, come confermano le cartelle cliniche di molti ricoverati.

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