La crisi scandalo del cinema italiano, le ultime parole famose del ministro Giuli, il commento di Vincenzo Vita

  • Postato il 3 agosto 2025
  • Cinema
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Cinema italiano, secondo Vincenzo Vita siamo ai titoli di coda: “Il ministro Giuli e il cinema italiano ai titoli di coda”, scrive Vincenzo Vita sul Manifesto.
Il ministro per le attività culturali Alessandro Giuli, da tempo atteso, si è finalmente presentato al Senato per relazionare sulla situazione del cinema italiano.
Quella che è stata una gloriosa industria e un luogo di eccellenza internazionale è oggi una terra inaridita, piena di scandali e in crisi non occasionale.
Siamo al cospetto di una brutta pagina, che va affrontata senza giri di parole o retoriche imbarazzanti.

La crescita del sostegno pubblico ha visto lievitare le cifre -ha sottolineato Giuli- da 250 milioni di euro del 2016 a 746 del 2023, fino ai 696 del 2024 riconfermati per il 2025. Peccato che 200 opere del periodo 2020-2024 (per circa 300 milioni di euro) siano oggetto di attività ispettive della Guardia di Finanza. La vicenda del presunto regista statunitense Kaufmann (accusato di omicidio oltre che di frode alle casse dello Stato) è stato il detonatore di uno tsunami enorme e abnorme.

Si tratta dell’evidente esposizione del meccanismo del cosiddetto tax credit ad avventure non commendevoli. Del resto, proprio su simile tipologia di finanziamenti, Epifania dell’ideologia liberista fondata sugli incentivi ai già ricchi relazionati con i grandi gruppi, da tempo le critiche sono state aspre. Purtroppo, tali critiche non sono mai state prese sul serio, relegate a mere forme di dissenso rispetto all’omologante pensiero dominante.

E sono gravi le responsabilità di parte significativa delle associazioni del settore, corriva e subalterna alla corte dei ministri di passaggio e della sottosegretaria leghista stabilmente seduta sulla casella di competenza. Anzi. Un soggetto fuori dal coro come «Siamo ai Titoli di Coda» è stato costretto a smentire un comunicato caramelloso del Mic, che faceva riferimento a un dialogo positivo con le realtà del settore. Niente affatto, se si guarda all’enorme campo dei non allineati, costituiti da coloro che permettono al cinema e all’audiovisivo di esistere.

Giuli non ha detto una verità tristemente nota: una grande percentuale dei professionisti del sistema è senza lavoro e coloro che hanno un impiego lo strappano magari per periodi brevi e con rapporti di lavoro precari nonché sottopagati. Insomma, l’allarme è rosso (o nero, se il ministro preferisce) e non basta limitarsi ad esibire cifre prive di analisi qualitative.

Sul teatro è successo un dramma, con numerose compagnie costrette a chiudere i battenti. Per non dire della situazione inquietante in cui versano i mondi connotativi dello stesso ministero: storici dell’arte, archeologi, laddove il maschile è sovraesteso data la significativa presenza femminile.
Nell’informativa non si è parlato di strategie dell’immaginario, oggi alle prese con un mutamento profondissimo nei paradigmi produttivi e nell’apparato tecnologico.

A che serve il Mic se si limita a predicare improbabili contronarrazioni e in realtà funziona da macchinetta di potere, per insediare figure di riferimento dei circoli della destra al governo? Dalla lotta per l’egemonia (quante volte Gramsci è tirato per la giacchetta) alla copertura di sedie e sgabelli il passo è breve.
Il ministro Giuli si è pure lasciato andare, con un certo sprezzo del ridicolo, ad evocare occupazioni sovietiche di Cinecittà. Che peccato, viste le attese assai diverse verso una personalità che appariva espressione di un conservatorismo né estremo né fazioso. Ma, per citare l’Ideologia tedesca di Marx, è proprio vero che l’essere sociale fa la coscienza.

Comunque, senza offesa per la persona, è lecito affermare che Lenin o Trotsky o Bucharin sarebbero stati più adatti a presiedere l’Istituto Luce- Cinecittà della new entry Antonio Saccone? Quest’ultimo magari si rivelerà bravo ma, se pensiamo a cos’è stato il cinema italiano, viene il magone.

Hanno ragione i filosofi: non si tocca il fondo, perché si può scavare ancora.

Ha proprio ragione il segretario della Cgil Maurizio Landini: serve una rivolta.

 

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Autore
Blitz

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