La critica d’arte è davvero al capolinea o si sta trasformando? Ecco cosa risponde Vincenzo Di Rosa
- Postato il 17 agosto 2025
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Per questa nostra inchiesta ecco l’intervista al ricercatore e critico d’arte Vincenzo Di Rosa.
Quando si è smesso di fare critica?
Non si è mai smesso di fare critica così come non si è mai smesso di dipingere. È sicuramente un momento di profonda crisi, soprattutto in Italia, dove il panorama appare più che mai desolante, ma in fondo è la crisi la dimensione stessa della critica. Se vogliamo continuare ad utilizzare questa parola, tuttavia, dobbiamo fare i conti col fatto che ogni gesto critico è un gesto che esclude e che assegna valore. Non c’è critica senza giudizio. Il punto cruciale è individuare nuovi criteri e nuovi metodi che, pur confrontandosi con la decostruzione del canone occidentale, bianco ed eteropatriarcale, siano capaci di produrre argomentazioni e giudizi. L’illusione di poter esibire l’arte senza che vi sia una scelta di valore – lo diceva Filiberto Menna – è una falsa illusione: “non fa altro che omologare l’esistente, lasciando, di fatto, ad altri il compito delle scelte reali e, tra gli altri, proprio al tanto vituperato mercato”. Non abbiamo smesso di fare critica, abbiamo smesso di costruire e immaginare nuovi criteri.
La figura del curatore secondo Vincenzo Di Rosa
Come si inserisce la figura del curatore in questo contesto?
Almeno a partire dagli anni Novanta, la figura del curatore ha conquistato sempre più spazio e potere e, oltre ad aver offuscato quella del critico, ha messo in ombra gli stessi artisti. Credo che, nello scenario attuale, critica e curatela siano due pratiche radicalmente diverse e per certi aspetti inconciliabili. Sebbene ogni gesto curatoriale implichi (o dovrebbe implicare) un processo di valutazione e selezione, nella maggior parte dei casi, il lavoro del curatore non può prescindere da un rapporto strettissimo con il mondo dell’arte e le sue dinamiche. Troppo spesso, i curatori sembrano schiacciati dal presente, non mirano a supportare orientamenti linguistici, sono i miglior alleati di un sistema che considera l’artista come l’ultima ruota del carro, che riduce l’opera a illustrazione di tematiche che cambiano di mese in mese. Ed è deprimente che gli artisti abbiano smesso di immaginare un’alternativa, che siano fin troppo felici di assecondare quest’andamento. In questo senso, credo che la critica debba rivendicare una sua autonomia e una sua indipendenza ritagliandosi sacche di resistenza che le permettano di sopravvivere al di là del sistema dell’arte. Allo stesso tempo, però, non può prescindere da uno sguardo allargato che, senza rinunciare a un confronto costante con le opere d’arte, sia capace di focalizzare la sua attenzione anche sugli apparati che ne governano la fruizione, sui meccanismi di ricezione, sul modo in cui vengono presentate e comunicate. In sintesi, credo che la curatela stia alla critica d’arte così come la dama sta al gioco degli scacchi.
Manca una formazione accademica adeguata?
Non penso che manchi un’adeguata formazione accademica, ma penso che, soprattutto nelle università, si debba incentivare maggiormente un rapporto diretto con le opere d’arte e con gli artisti. Il vero problema credo sia lo scollamento sempre più preoccupante tra il mondo accademico e quello dell’arte. Gli storici dell’arte sembrano accontentarsi di minime scoperte filologiche che consegnano alle pagine di riviste che nessuno legge e nessuno conosce. Non partecipano al dibattito pubblico e sono disinteressati alla produzione artistica contemporanea.
La professione del critico secondo Vincenzo Di Rosa
Sulla professione di critico oggi.
Da quando le riviste d’arte hanno svenduto il proprio immaginario al mondo della moda, la critica ha perso ogni spazio di autonomia, influenza e profitto. Troppo spesso gli artisti vengono scelti sulla base del numero di follower che hanno su Instagram, per le loro soggettività marginalizzate, per la visibilità che possono portare al brand o alla rivista stessa. Il risultato di queste operazioni è infimo: senza profondità né futuro. L’approfondimento critico di un’opera o di una pratica risulta noioso, quasi fuori luogo. Si preferisce il formato dell’intervista – più veloce, meno impegnativo. La moda ha portato tanti soldi ma anche tanta mediocrità. La professione che produce profitto oggi è quella del ciarlatano.
Fare critica oggi secondo Vincenzo Di Rosa
Nuovi metodi e finalità: cosa significa fare critica oggi?
Un grosso problema nell’ambito della scrittura è stata l’ondata di citazionismo theory che, almeno da dieci anni a questa parte, ha colpito la critica d’arte e la curatela. È stata un’ondata che ha portato all’affermarsi di mode teoriche che hanno avuto la vita delle farfalle. Si pensi all’object-oriented-ontology, al realismo speculativo, all’accelerazionismo o a tutti i neologismi che sono nati attorno al postumanesimo. Qualche anno fa si faceva a gara a citare Mark Fisher, Timothy Morton o Rosi Braidotti: erano tutti autori e autrici che, puntualmente, ritrovavi nei comunicati stampa e nei testi curatoriali. Nella maggior parte dei casi, il risultato applicativo di queste teorie è stato goffo, maldestro: si è cercato di piegare riflessioni nate altrove e per altri obiettivi ad opere che neanche lontanamente riuscivano a rispecchiarle. Credo che la strategia per fronteggiare l’iperproduttività del sistema dell’arte contemporanea, e la bulimia quasi endogena della curatela – che ha sempre bisogno di nuovi artisti, di nuove tematiche, di nuove mode teoriche da assecondare – sia quella della lentezza. Fare critica oggi, per me, significa stare accanto agli artisti, seguirne pochi, essere sempre aggiornati sui loro lavori, ascoltarli senza credere a tutto quello che dicono, e, nella scrittura, non dire mai nulla che non possa essere indicato, partire sempre dall’opera e non dalle teorie. Sono per una critica lenta e partigiana.
A cura di Caterina Angelucci
L’articolo "La critica d’arte è davvero al capolinea o si sta trasformando? Ecco cosa risponde Vincenzo Di Rosa" è apparso per la prima volta su Artribune®.