La diffusione della chirurgia estetica e l’obbligo di non invecchiare: una battaglia persa in partenza

  • Postato il 30 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Una storia vera: una ragazza giovane, bella e dai lineamenti regolari accompagna la nonna benestante che si è fatta un lifting dal chirurgo estetico: lei è una psicologa. Alla fine dell’incontro chiede al chirurgo che cosa vedrebbe utile per migliorare il suo aspetto. Costui, invece di farsi una risata, cade nella trappola e propone: un rifacimento del naso (normalissimo), le labbra (che non sono sottili) e certamente il seno, che è piccolo (la ragazza è magra): ma tu quanti anni hai?, chiede. Venticinque. Forse aveva il dubbio che fosse minorenne. Sembra ancora più giovane.

Dopo due giorni la ragazza riceve anche una foto del naso che le vuole rifare. Speriamo che sia una eccezione questo chirurgo, ma comunque la diffusione esponenziale della chirurgia estetica, con effetti spesso tristi – vedi Nicole Kidman – è indicativa di una patologia sociale: l’obbligo di non invecchiare, addirittura – come ha detto Ornella Vanoni al chirurgo che si rifiutava di farle l’ennesimo intervento: “Voglio morire bella”. Sì, non vogliamo invecchiare, non vogliamo morire: due battaglie perse in partenza, su cui vive un’industria della debolezza. Affrontare la solitudine esistenziale con un intervento sul collo, un’illusione da ventimila euro, mi dicono.

Così si rafforza il sintomo, invece di lavorare sulle cause psicologiche. Le iniezioni di botulino hanno un effetto che dura due, tre mesi, dopo bisogna ripetere il trattamento, quando le rughe riappaiono. E’ quindi evidente che si è pazienti per molti anni, se non per tutta la vita. Il famoso chirurgo brasiliano Pitanguy una volta alla settimana operava gratuitamente chi ne aveva davvero bisogno. Dopo il tremendo incendio di Nitiroi per mesi con una equipe di volontari curò gli ustionati, integrando la chirurgia ricostruttiva con quella estetica.

Purtroppo oggi siamo ben lontani dalla famosa battuta di Anna Magnani che al truccatore che le voleva mascherare le rughe rispose che non ci si provasse, “ci ho messo una vita per farmele”.

Naturalmente, come tutte le epidemie sociali, si sta sviluppando anche nel mercato degli uomini. Quando vedo lo spazio delle pubblicità legate all’estetica, magari delle unghie, quando sento una pubblicità in cui due ragazze si chiedono cosa usano le donne in Corea (la ditta deve essere coreana), penso che ogni civiltà giunge al declino e un’altra si affaccia e ne prende il posto: magari saranno i palestinesi o gli africani.

Vedo in giro una reazione sana, donne che si stufano di tingersi i capelli e lottare con le ricrescite, e stanno benissimo. Un uomo a Bali mi disse con orgoglio: ho molti nipoti, sono un uomo vecchio. In quanto ufficialmente nella categoria, quell’orgoglio mi ispira.

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Il Fatto Quotidiano

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