La morte di Franzoso fa indignare il mondo dello sci. Innerhofer racconta il dramma: il retroscena sulla caduta di Matteo

  • Postato il 17 settembre 2025
  • Di Virgilio.it
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Non può restare impunita la morte di un atleta, soprattutto se questa diventa l’ultima di una lunga scia di tragedie che hanno colpito il mondo dello sci alpino. Dove Matteo Franzoso aveva trovato la sua dimensione di uomo, ancor prima di sciatore professionista. “Non si può uscire per andare a sciare e non fare ritorno”, ha sentenziato Lucrezia Lorenzi, sorella di Matilde, morta lo scorso ottobre dopo una caduta in allenamento. La cui scomparsa, evidentemente, non è servita a molto.

Una pista troppo pericolosa, ma utilizzata da tutti i big

Sotto accusa sono finite le condizioni di scarsa sicurezza del comprensorio di La Parva, in Cile, dove la maggior parte degli atleti delle principali nazionali europee preparano durante la stagione estiva la stagione di Coppa del Mondo.

Non c’erano sono gli italiani in pista nei giorni scorsi: la Svizzera del fuoriclasse Marco Odermatt era arrivata addirittura prima, e così anche i norvegesi (con Kilde che si è preparato in vista del ritorno dopo un anno e mezzo di stop). Anche Lindsey Vonn si è allenata sulla pista dove è avvenuto l’incidente di Franzoso, per dire che quella è una delle piste più battute dagli atleti di punta.

Il problema però è che le condizioni di sicurezza non si sono rivelate degne di una pista occupata da atleti di una certa caratura: Franzoso, dopo aver abbattuto due reti di protezioni, è finito contro una barriera frangivento di legno, posta a 7 metri dal limite. Una cosa del genere nelle gare FIS non può accadere, ma in allenamento (per giunta dall’altra parte del mondo) è tutta un’altra storia.

Il dramma visto con gli occhi di Innerhofer

Col passare dei giorni emergono altri particolari sulla sfortunata fine del discesista azzurro. Christof Innerhofer, il veterano della squadra italiana, è sceso su quello stesso tratto di pista due minuti prima dello schianto di Franzoso. “Ho realizzato che l’atleta in barella era Matteo quando sono salito sulla seggiovia per tornare in cima.

Ho sentito le urla di tutti quelli che hanno cercato di aiutare, erano in panico, agitati. Purtroppo, in virtù della mia esperienza ultra decennale, ho capito subito che la situazione era gravissima. Conosco molto bene i tracciati della Coppa del Mondo, tutti sanno che le mie ricognizioni sono precisissime… Ecco in quell’istante, sulla seggiovia, il quadro mi è apparso subito molto chiaro. Sapevo che Matteo non ce l’avrebbe fatta. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo. Perché era finito dietro la staccionata di legno. E se sbatti la testa lì… sei finito.

Ero sotto choc. Non ho più sciato, non sono più tornato sulla neve. Fatico a dormire. Anche se era più giovane abbiamo diviso tanti giorni e momenti insieme, dal momento che condividevamo lo stesso gruppo militare, le Fiamme Gialle. Mi chiedeva consigli in continuazione, fatico veramente a realizzare”.

La voglia di tornare in Italia, ma un furto complica le cose

Innerhofer ha spiegato anche di non essere più voluto salire sugli sci. “Non su quella pista, non adesso. Sono andato in palestra fino a tarda notte per scaricare la rabbia e la tensione. Poi ho dormito si e no tre ore. Ora sento solo il bisogno di tornare in Italia. Per me a questo punto il lato sportivo non conta più, devo staccare. Dal mio punto di vista è un gesto di rispetto e amicizia nei confronti di Franzoso.

Purtroppo al mio arrivo in albergo, mentre caricavamo gli sci sul pullman, mi hanno rubato lo zaino dove tenevo i documenti e il computer: credo sia stata una cosa studiata nel dettaglio, ma adesso poco importa. Spero solo che l’ambasciata italiana mi aiuti in fretta e mi faccia ripartire, perché qui non riesco più a stare. E soprattutto perché vorrei partecipare ai funerali di Franz, seppure non sappiamo quando saranno”.

Anche i francesi chiedono norme di sicurezza rafforzate

La mente corre verso direzioni opposte a quelle desiderate anche in un elemento dell’esperienza di Innerhofer, che in carriera ha già assistito ad altri lutti, vedi quello che nel 2017 ebbe per protagonista il francese David Poisson in allenamento (lo ha ricordato anche Adrien Theaux in un post sui social, dove ha denunciato la mancanza di sicurezza sulle piste di training).

È assurdo morire a 25 anni. Poteva capitare a tutti un incidente così. Ne abbiamo discusso in squadra, ma le a devo staccare, tornare dai miei cari, dalla mia famiglia. Ho bisogno di vedere le montagne di casa a Gais, in Val Pusteria, lì vicino ho le Tre Cime, il lago di Braies e molte cascate. Sento la necessità di camminare e di respirare nella natura. Amo profondamente il mio territorio.

Perderò questi giorni di preparazione con gli sci lunghi ma non cambia molto. Non riuscirei a passare nello stesso punto in cui è morto Matteo. Anche se continuassi ad allenarmi non mi verrebbe niente di buono”.

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Virgilio.it

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