La mostra di Joana Vasconcelos ad Ascona: femminismo, moda, kitsch e barocco
- Postato il 24 luglio 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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Nel borgo di Ascona, sul versante elvetico del Lago Maggiore Joana Vasconcelos (Lisbona, 1971), è ora presente con un’esposizione al Museo Comunale d’Arte Moderna. Si tratta della sua prima personale in una istituzione pubblica svizzera. È stata fortemente voluta da Mara Folini, direttrice di questa istituzione – un fatto non irrilevante. A differenza dei cantoni tedesco e francese, il Canton Ticino (comunque sempre ricco di proposte) da qualche tempo sembra avvitato in una dinamica che noi chiamano “identitaria”, anche se non è questo il vocabolo in uso nella Svizzera italiana. Ascona però ha una tradizione particolare: segnata dalla vicenda sviluppatasi all’inizio del XX Secolo intorno alla comunità di artisti e pensatori rifugiatisi nel vicino Monte Verità (Hugo Ball, Hans Arp, Marianne von Werefkin, Alexej Jawlensky, Paul Klee e Hermann Hesse, e poi rinverdita da Harald Szeemann) non ha mai dimenticato di mantenere rapporti con il mondo esterno.
La mostra di Joana Vasconcelos ad Ascona
Joana Vasconcelos – Flower of my desire presenta oltre 40 opere tra installazioni, lavori a parete, dipinti, disegni, video e libri che ripercorrono i momenti salienti del suo percorso creativo, dagli Anni Novanta ad oggi. Il progetto ideato per gli spazi del museo svizzero lo occupa in ogni possibile volume. Marcatamente femminista, ironica e insieme pungente, l’opera di Vasconcelos lo è da sempre. Così all’ingresso del Museo gli spettatori sono costretti a sottomettersi al suo Wash and Go (1998): due rulli meccanici ricoperti da collant colorati che si azionano al passaggio. Se non li attraversi non puoi procedere. Subito dopo si erge La Baronessa (2023), scultura tessile alta dieci metri che percorre dall’alto in basso l’intero edificio. Non è un’opera site specific nel senso proprio del termine, ma come spesso accade con Vasconcelos, a seconda del luogo in cui compare, viene disposta e denominata in maniera differente: in questo caso “Baronessa”, era l’appellativo con cui Marianne von Werefkin, l’artista russa alla quale si deve la fondazione di questo museo, veniva chiamata dagli amici in riferimento ai suoi nobili natali.

Le bambole di Joana Vasconcelos
Superata la prima rampa di scale ci si imbatte in Fashion Victims (2018): ci troviamo di fronte a tre bambole nude (trovate chissà dove) le cui forme adolescenziali vengono progressivamente ricoperte da fili provenienti da rocchetti attivati a motore. A poco a poco, i volti delle bambole scompaiono, la loro bocca viene imbavagliata e le gambe legate per mantenere visibili solo i seni e il pube. Il rapporto di questa artista con il mondo fashion, come vedremo tra poco, non è affatto casuale. Un’ altro pezzo monumentale lo si trova immediatamente dopo isolato in una sala percorsa dal suono dei Fado dalla cantante Amália Rodrigues, regina di questo genere improntato a una struggente malinconia. Si tratta di Coração Independente Vermelho #3 (2013) dove l’immagine stereotipata e del cuore rosso viene proposta in nuova definizione formale. La scultura è sospesa, gira lentamente su se stessa ed è ricamata in base ai motivi ornamentali caratteristici del cuore di Viana, gioiello della tradizione barocca portoghese. In questo caso però il materiale prezioso viene sostituito da oltre duemila posate di plastica rossa usa e getta lavorate con la tecnica d’oreficeria.
Chi è Joana Vasconcelos
Il nome di Joana Vascolcelos è attualmente annoverato tra quello degli artisti super star. Ha partecipato a tre Biennali di Venezia è statala la prima donna a proporre una propria mostra alla Reggia di Versailles e al Guggenheim Museum Bilbao, ha inoltre raggiunto visualizzazioni di rara portata collaborando con il brand Dior allora diretto da Maria Grazia Chiuri. Nel catalogo della mostra in preparazione presso Allemandi apparirà una lunga intervista dal titolo Sono la versione femminile di Duchamp che si rivela notevole sotto diversi aspetti. Ne segnalo due: la personale interpretazione dei termini “barocco” e “kitch” e il rapporto con la moda. Qui di seguito per gentile concessione dei due curatori Mara Folini e Alberto Fiz.
Arte e Moda secondo Vasconcelos
Hai un rapporto preferenziale con Dior. Come ti relazioni con la maison di Bernard Arnault?
Quando Dior mi ha contattato attraverso Maria Grazia Chiuri, l’allora direttrice creativa, sono stata molto chiara: avrei accettato l’incarico solo se avessi potuto lavorare in completa libertà come avviene per tutti i miei progetti. Non solo hanno accettato, ma hanno anche accolto con entusiasmo questa condizione. Mi hanno fornito i materiali, ponendo totale fiducia in me. Ho condiviso con loro i bozzetti iniziali, ma non hanno mai imposto nulla né mai sono intervenuti. È proprio questo livello di rispetto e libertà che permette di realizzare un lavoro autentico. Il risultato è interamente mio, coerente con il mio linguaggio. Senza compromessi.
Non temi che il legame con il mondo della moda e del lusso possa condurre la tua arte ad un edonismo eccessivo?
Assolutamente no. Considero la relazione tra arte, moda e design un terreno fertile. Oggi la creatività attraversa diverse discipline: chef, architetti, designer e artisti contribuiscono tutti alla vita culturale. Questi incroci possono essere stimolanti, purché l’artista mantenga la propria autonomia. La differenza fondamentale è che gli artisti non sono vincolati da alcuna funzione; ci si aspetta che siamo liberi, persino imprevedibili. Nessuno mette in discussione il fatto che io utilizzi telefoni vintage per creare una pistola gigante, ma immaginate la confusione che susciterebbe se uno chef facesse lo stesso. La società concede agli artisti una sorta di licenza, e io apprezzo immensamente questa libertà.





Barocco e Kitch in Vasconcelos
Quanto influisce l’identità portoghese sul tuo lavoro?
Vivo e lavoro in Portogallo e naturalmente l’ambiente mi influenza profondamente. Dall’intensità della luce alle texture, dai colori agli aspetti ornamentali della vita quotidiana. Detto ciò, la mia indagine artistica va oltre i confini nazionali. È un lavoro che attinge dal panorama culturale europeo, come emerge dall’utilizzo di simboli e oggetti che si trovano comunemente nelle case di tutto il Continente. Che si tratti di uno spolverino, di un candeliere o di un centrino, sono riferimenti domestici condivisi che hanno come riferimenti la memoria collettiva. Quando invece ho portato dei candelieri in Giappone, le persone erano perplesse in quanto non sono presenti nella loro vita quotidiana. In Europa, tali oggetti hanno un significato comune a tutti i paesi. Questo linguaggio unificante conferisce al mio lavoro un’ampia risonanza che mi permette di viaggiare nello spazio e nel tempo.
La tua relazione con il barocco è molto forte.
Il barocco è una forza culturale determinante in Europa, dal Portogallo all’Italia, alla Francia, alla Germania e oltre. È uno stile che abbraccia il dramma, l’emozione, l’ornamento e l’esuberanza e lo trovo incredibilmente vitale. Sono attratta dalla teatralità e dalla stratificazione di significati. Recentemente, l’artista belga Wim Delvoye ha scherzato dicendo di essere il vero artista barocco, e io gli ho risposto: “Anch’io”. Forse lo siamo entrambi. Il barocco è una lente attraverso la quale mi relaziono con la vita contemporanea.
E come ti poni nei confronti del kitsch che talvolta sembra affiorare nella tua opera?
Ciò che spesso viene etichettato come kitsch nel mio lavoro è, per me, una celebrazione dell’estetica popolare e della cultura domestica.
Non desideri valorizzarlo?
Ciò che spesso viene scambiato per kitsch nel mio lavoro è, in realtà, una riflessione sui codici culturali e sull’estetica quotidiana. Non lavoro con il kitsch, ma con materiali e oggetti accessibili, familiari e domestici, che valorizzo attraverso la scala, il contesto e l’artigianalità. Mi interessa la trasformazione dell’ordinario in straordinario. Prendiamo ad esempio Coração Independente Vermelho: ho usato forchette di plastica per creare qualcosa di simile a un gioiello monumentale. Non si tratta di materiali “nobili”, ma portano con sé un peso simbolico e riflettono tradizioni legate al fare e al significato. Il mio obiettivo non è imitare il lusso, ma mettere in discussione ciò che consideriamo prezioso.
Aldo Premoli
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