“La storia di mio zio repubblichino salvato dai partigiani”: Luigi Contu in libreria con “Domani sarà tardi”
- Postato il 10 maggio 2025
- Cultura
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nell’inverno del 1944 Luigi Contu, fascista della prima ora che aveva fatto parte anche del governo Mussolini, arriva in un piccolo paese della Val Brembana per dirigere un ufficio del ministero dell’Agricoltura della Repubblica Sociale Italiana. Intorno a lui il regime si sgretola. In quei mesi tra attesa e paura – segnati dall’avanzata degli Alleati, la lotta di Resistenza e l’occupazione nazista -, Contu tiene un diario in cui annota la crisi del suo mondo e una tormentata vicenda sentimentale con Virette, giovane antifascista.
Ottant’anni dopo, a partire da quel diario ritrovato nella biblioteca di famiglia, Luigi Contu, dal 2009 direttore dell’Ansa e omonimo pronipote del protagonista, ricostruisce questa storia nel suo primo romanzo. Un racconto dove la vicenda personale e quella collettiva si intrecciano fino a un esito inatteso, che il titolo Domani sarà tardi. Il 25 aprile di un fascista salvato dai partigiani (Solferino) lascia soltanto intuire.
Luigi Contu, ha mai sentito il peso del suo nome?
Sì, certo. È da quando ho scritto il mio primo libro sulla biblioteca di famiglia che mi arrovello su questo tema. Com’è stato possibile che mio nonno Rafaele e suo fratello Luigi, uomini di grande cultura e principi, non si siano resi conto di dove li stava portando il fascismo, a cui aderirono fin dal primo giorno e al quale hanno creduto fino alla fine. Trovare il diario di mio zio Luigi ha rappresentato una svolta. Ho trovato alcune sue riflessioni autocritiche che mi hanno aiutato a capire come sia stato possibile. A capire, non a giustificare.
È stato difficile rendere pubblico il legame con un uomo che, dopo la caduta del fascismo, aderisce anche alla Rsi?
È stato difficile, ma anche stimolante. Ho temuto che il lettore potesse leggere in questo romanzo scritto in prima persona una qualche forma di revisionismo storico. Immedesimarsi in un uomo che sbaglia non significa giustificare, ma è stato il tentativo di capire. Quanti ragazzi italiani sono stati abbagliati dal fascismo. E tra loro c’è chi, come Luigi, che veniva dal mondo sindacale socialista, ci ha creduto pensando di combattere le ingiustizie e la povertà di operai e contadini. E loro sono stati i primi a essere traditi da Mussolini e dai suoi gerarchi.
Oltre alla dimensione politica, nel libro emerge il ritratto di chi ha cercato fino all’ultimo di restare fedele a sé stesso. Cosa ha rappresentato per lei, narratore e familiare, questa insolubile fedeltà?
Mi ha molto colpito la sua critica nei confronti dei tanti fascisti che, non appena hanno capito che il regime stava per finire, sono passati dall’altra parte. Così come tanti socialisti, liberali, cattolici e perfino comunisti hanno aderito al fascismo per convenienza. Lui ha capito gli errori del regime, ma non si è voluto unire agli opportunisti. Una coerenza tipica dei sardi, forse anche testarda. Si è consegnato al Cln locale dicendo: “Non ho commesso alcun crimine, se devo pagare per le mie idee lo farò”.
Dopo il 25 aprile suo zio viene arrestato e processato. Saranno dei partigiani a salvargli la vita. Oggi definirebbe la cronaca di quei giorni più drammatica o inattesa?
Studiando a fondo quello che è successo in quei giorni in Val Brembana, sono entrato in un clima di violenza terribile. Mi è sembrato di essere tornato indietro nel tempo, a quei giorni oscuri. I repubblichini, fino all’ultimo momento, hanno imperversato uccidendo senza pietà chiunque fosse schierato con i partigiani, come a Cornalba e San Pellegrino. Ma anche molti giovani repubblichini sono stati uccisi per vendetta, benché si fossero arresi, come a Rovetta. Giorni drammatici, privi di umanità. Ma proprio la vicenda di Luigi, che ancora influente aveva salvato alcuni partigiani dalla fucilazione nazifascista e che poi è stato appunto salvato dai partigiani, ci dimostra che l’uomo può rimanere umano anche quando la violenza sembra inarrestabile. E che perfino tra avversari si possono rispettare le regole del vivere civile, del rispetto. Drammatici ma anche inattesi, dunque.
Ci sono poi i giorni finali della Rsi. E la narrazione non scende mai a compromessi con gli stereotipi.
Bisogna avere il coraggio di guardare la storia per quello che è stata. Soprattutto se si è antifascisti convinti, come lo sono io, non si deve aver paura di riconoscere che anche tra chi combatteva dalla parte giusta c’è stato chi ha commesso errori e crimini. Senza che questo significhi mettere sullo stesso piano chi ha oppresso, ucciso, varato le leggi razziali e poi consegnato gli italiani ai nazisti per le deportazioni, con chi ha lottato per la libertà.
Se guarda all’Italia di oggi, la preoccupa chi ancora si richiama al fascismo o pensa che, parlandone troppo, si rischi solo di dar loro un’importanza che altrimenti non avrebbero?
Non si può non essere preoccupati per chi ancora oggi si dichiara fascista o per coloro che, senza dichiararlo, professano idee violente e razziste. Gli episodi nostalgici vanno sempre denunciati. La democrazia è un bene troppo prezioso, e denunciare chi vuole calpestarla è un dovere.
Nel libro racconta un’epoca di propaganda e verità manipolate. Da direttore dell’Ansa, come vive la responsabilità di garantire un’informazione libera e trasparente?
Sono orgoglioso di poter fare il mio mestiere per una testata nata proprio dalla Liberazione, con l’obiettivo di aiutare la nascita di un’informazione libera e indipendente come antidoto contro il totalitarismo. Quando è nata l’Ansa si è deciso che fosse una cooperativa privata composta da tutte le testate rinate dopo il fascismo, proprio per garantire la massima autonomia e indipendenza dal potere politico. Lavorare all’Ansa è un privilegio e una grande responsabilità. Come ha ricordato il presidente Mattarella, siamo un servizio indispensabile per il pluralismo e la democrazia.
Lei, quest’anno, il 25 aprile ha accettato di celebrarlo con “sobrietà” o ha fatto il contrario, omaggiando magari quei partigiani che salvarono la vita a suo zio Luigi Contu?
Ho trovato inopportuna quella espressione. È stato bello vedere come le cerimonie e le manifestazioni siano state partecipate, serene e corrette. Io ho festeggiato nel migliore dei modi: presentando il mio libro a Castiglion Fiorentino, comune in cui i partigiani hanno combattuto con coraggio. Il 25 aprile è un giorno bellissimo della nostra storia. È assurdo pensare che ci sia ancora qualcuno che non riesca a identificarsi con coloro che hanno sacrificato la vita per restituire libertà e dignità al nostro Paese.
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