La storia di Proxima Fusion, la startup a guida italiana che ha raccolto 185 milioni per costruire la prima centrale a fusione nucleare
- Postato il 21 agosto 2025
- Innovation
- Di Forbes Italia
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Articolo tratto dal numero di agosto 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Francesco Sciortino ha un obiettivo: “Costruire una stella in laboratorio”. Con la sua startup, Proxima Fusion, vuole realizzare la prima centrale a fusione nucleare al mondo, cioè la prima a produrre energia tramite la stessa reazione che alimenta il Sole e le altre stelle. “Al centro del Sole, temperatura e pressione sono così alte che gli atomi di idrogeno possono fondersi, vincendo anche la repulsione tra i nuclei che, di norma, tiene la materia separata”, spiega Sciortino. La reazione avviene a una temperatura di 10-15 milioni di gradi. A partire da due atomi di idrogeno, produce un atomo di elio e libera energia. È il processo opposto alla fissione – la reazione in cui un atomo pesante si rompe in due atomi più leggeri -, su cui si basano le centrali nucleari tradizionali. “La densità di energia della fusione non ha un vero pari nell’universo. Il problema è che in natura il processo avviene perché le stelle hanno una massa enorme e nel loro nucleo la pressione è fortissima. Dobbiamo fare due cose: creare le condizioni che permettono la fusione sulla Terra, dove servono temperature molto più alte, e confinare in qualche modo quella materia incandescente”.
Che cosa fa Proxima Fusion
Per farlo, Proxima ha già raccolto 185 milioni di euro, di cui 130 in un round di finanziamento chiuso a giugno. Scommette su una tecnologia chiamata ‘stellarator quasi isodinamico’. Sciortino la definisce, in sintesi, “un sistema molto complicato di bobine, con altre componenti ausiliarie”. Più in dettaglio, l’idea è “confinare con campi magnetici quella materia calda, che è un plasma, il quarto stato della materia. In pratica, quello che si ottiene se si scalda un gas a milioni di gradi. Vogliamo creare una specie di bottiglia di campo magnetico, per fare in modo che quella materia non tocchi alcuna superficie. Nessun materiale resisterebbe a quelle temperature. Poi pieghiamo la bottiglia e le diamo la forma di una ciambella”.
Proxima è nata nel gennaio del 2023, quando si è staccata dall’Istituto per la Fisica del Plasma (Ipp) della Società Max Planck, una delle principali istituzioni scientifiche tedesche. Lavora sulla base dei risultati di uno dei più importanti esperimenti di ricerca mai condotti sulla fusione nucleare, lo stellarator Wendelstein 7-X (W7-X). È stato costruito dall’Ipp a Greifswald, una cittadina di 60mila abitanti nel nord-est della Germania, sul Mar Baltico. Lo hanno finanziato il governo federale tedesco e l’Unione europea con 1,3 miliardi di euro. “Quando Proxima è nata, esistevano sette compagnie che puntavano sugli stellarator”, ricorda Sciortino. “Nessuna lavorava con W7-X. Per noi era un chiaro errore. Chiunque fosse convinto che gli stellarator fossero la soluzione migliore per arrivare a una centrale a fusione voleva vedere una startup che si staccasse dal laboratorio con lo stellarator più avanzato al mondo. Si può dire che siamo partiti perché non lo faceva nessun altro con le nostre stesse idee”.
Proxima ha sede a Monaco di Baviera e impiega oggi circa 90 persone, divise tra il quartier generale, l’Istituto Paul Scherrer, vicino a Zurigo, e il campus di fusione di Culham, a pochi chilometri da Oxford. Le ha reclutate da istituti come l’Ipp, da università come Harvard e il Massachusetts Institute of Technology (Mit), da aziende come SpaceX, Tesla, Google e McLaren. “Per battere sul tempo i concorrenti, non potevamo limitarci a prendere persone con esperienza nella fusione”, dice Sciortino. “Abbiamo preso esperti di software dalle grandi aziende tecnologiche, di meccanica dall’industria dell’auto, di manifattura dalle compagnie aerospaziali. Non abbiamo assunto chi faceva domanda, ma chi consideravamo il migliore al mondo per un certo ruolo”.
Chi è Francesco Sciortino
Sciortino è uno dei cinque fondatori di Proxima e l’amministratore delegato. Nato a Viterbo nel 1993, a 17 anni si è trasferito nel Distretto dei Laghi, nel nord-ovest dell’Inghilterra, per completare il liceo. Poi si è iscritto alla facoltà di fisica dell’Imperial College di Londra. “All’inizio mi sono occupato di astrofisica da laboratorio, cioè di esperimenti per riprodurre gli effetti che si osservano con i telescopi”, racconta. “La scelsi perché nel college, in un sotterraneo nel centro di Londra, c’è una macchina che a ogni esperimento fa tremare tutto l’edificio. Pensai che fosse troppo bello: volevo far tremare i muri anch’io”.
A fargli cambiare strada fu l’incontro con un professore. “Era un grande oratore, molto convincente e affascinante. Era anche il direttore del Joint European Torus, il più grande reattore a fusione sperimentale costruito finora”. Sciortino decise di spostarsi in quel campo di studi. Andò a Losanna per la tesi, poi a Princeton, quindi al Mit per il dottorato. È entrato nella Società Max Planck nel 2021. “Mio padre ha studiato fisica alla Sapienza ed è stato un ricercatore dell’Enea per tutta la vita”, ricorda. “Non cercò certo di incoraggiarmi a fare fisica, o almeno non intenzionalmente. E fece ancora meno per spingermi verso la fusione. Un suo collega se ne era occupato per un periodo e diceva che sarebbe rimasta sempre lontana nel tempo”.
In cerca del Graal
Non era il solo a pensarlo. Tra i fisici circola da decenni, in varie formulazioni, una massima che recita più o meno così: “La fusione è l’energia del futuro – e sempre lo sarà”. Le ricerche sono cominciate circa un secolo fa, e già nel 1932 il fisico australiano Mark Oliphant riuscì a produrre una reazione di fusione in laboratorio. Solo che nessuno, fino a oggi, è riuscito a costruire un impianto capace di raggiungere la cosiddetta ‘energia netta positiva’, cioè di produrre più energia di quella necessaria per accenderlo e tenerlo in funzione.
Molti hanno definito la fusione il ‘Sacro Graal’ dell’energia. Sarebbe una fonte pressoché inesauribile: come combustibile usa il deuterio, un isotopo dell’idrogeno presente in grande quantità nell’acqua di mare, e il trizio, un altro isotopo dell’idrogeno che si può ricavare dal litio. “Con 17 chili di deuterio e trizio si potrebbe alimentare una centrale in grado di dare energia a una cittadina di 100mila abitanti”, dice Sciortino. “Un cucchiaio di questi isotopi genera la stessa energia di dieci tonnellate di carbone”. La disponibilità di energia da fusione, a differenza di quanto accade con altre risorse rinnovabili, come il vento e la luce solare, non dipende dalle condizioni atmosferiche. E, sottolinea Sciortino, la fusione presenta due differenze fondamentali rispetto alla fissione: non ha radioattività di lungo termine e “non può innescare le reazioni a catena incontrollate” che hanno provocato incidenti nucleari in passato, come quello di Chernobyl. Tanto che anche le bombe a fusione – come quelle a idrogeno, le più potenti mai testate – usano una bomba a fissione per innescare la fusione. “Avere paura della fusione”, dice, “sarebbe come avere paura di una bottiglia d’acqua”.
Il derby della fusione
Nemmeno lo stellarator è un concetto nuovo: fu ideato nel 1951 da un fisico statunitense, Lyman Spitzer, e costruito l’anno seguente a Princeton. Non è l’unico modello di reattore a fusione, né il solo a cui lavorano startup che hanno raccolto grandi investimenti. Tra i tanti, il più popolare per molti decenni è stato il tokamak – acronimo di un’espressione russa che sta per ‘camera toroidale con spire magnetiche’ -, pensato sempre negli anni ’50 da due scienziati sovietici, Andrej Sacharov e Igor Tamm. Stellarator e tokamak usano lo stesso combustibile e funzionano a temperature nell’ordine dei 100 milioni di gradi. “In sostanza, il tokamak è una forma speciale di stellarator”, spiega Sciortino. “È una variante in cui si semplifica la geometria e si possono usare magneti più semplici da progettare e produrre”.
La tecnologia rivale ha molti sostenitori illustri. Il più grande progetto sperimentale al mondo per l’energia da fusione, l’International Thermonuclear Experimental Reactor, prevede di costruire un tokamak nel centro di ricerca di Cadarache, nel sud-est della Francia. È portato avanti da un consorzio composto da Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti, India e Corea del Sud.
Anche la startup di fusione meglio finanziata al mondo, Commonwealth Fusion Systems, scommette sui tokamak. Nata nel 2018 come spin-off del Mit, ha raccolto più di 2 miliardi di dollari da investitori come Bill Gates di Microsoft, Marc Benioff di Salesforce, il finanziere George Soros, Google ed Eni. Sciortino, che ha lavorato su diversi concetti di reattore a fusione e ha dedicato anni ai tokamak, racconta di essere stato “convertito” agli stellarator dai cofondatori di Proxima. “I fautori del tokamak dicono che lo stellarator può essere migliore nel lungo periodo, ma che il tokamak è a un livello di sviluppo più avanzato, e dunque sarà la soluzione su cui si baserà la prima centrale a fusione. Noi riteniamo invece che lo stellarator abbia già compiuto il sorpasso. Ci vuole solo un po’ di tempo perché questo sorpasso sia realizzato in una nuova macchina avanzata e sia compreso da tutti”.
Gli ostacoli
Sciortino è convinto che la prima centrale a fusione sostenibile a livello commerciale sia vicina. A inizio 2025 Proxima ha presentato Stellaris, che ha definito come il primo concetto di stellarator “scientificamente validato”. Il primo, cioè, che integra tutti gli aspetti critici a livello di fisica, ingegneria e manutenzione. Rispetto alle altre centrali a stellarator progettate in passato, afferma l’azienda, Stellaris può produrre più energia per unità di volume. Il reattore, più piccolo, dovrebbe garantire una costruzione più rapida, una generazione di energia più efficiente e minori costi. Proxima conta di completare entro il 2027 una “dimostrazione hardware”, lo Stellarator Model Coil, e di mettere in funzione uno “stellarator demo”, Alpha, entro il 2031.
L’azienda, spiega Sciortino, deve ancora superare molte barriere tecnologiche: “Una è costruire bobine molto più potenti di quelle di W7-X. La seconda è produrre il trizio. Sappiamo come farlo, ma occorre sviluppare tecnologia. La terza è ottimizzare materiali che possano sopportare le condizioni estreme all’interno della macchina, e in particolare il bombardamento costante di neutroni prodotto dal processo di fusione”.
“Una rivoluzione”
Sciortino è convinto che il successo di aziende come Proxima “cambierebbe tutto per l’Europa”. Racconta di essere tornato dall’America quattro anni fa perché il continente “ha un chiaro vantaggio nella ricerca sulla fusione. Il mese scorso in Europa operavano sette tokamak e uno stellarator, contro un solo tokamak negli Stati Uniti. Se un’azienda come la nostra rendesse la fusione commercialmente vantaggiosa, ridefinirebbe gli equilibri di leadership tecnologica mondiali e, di conseguenza, quelli politici”.
Sciortino non immagina, però, un futuro in cui la fusione sarà la sola fonte energetica: “Nel mix del futuro, la fusione avrà il ruolo di fornire una quota stabile e continua di energia. Nel settore energetico è fondamentale avere diversità. L’obiettivo non è sostituire i pannelli fotovoltaici: serve una combinazione di risorse e tecnologie per l’energia pulita”. L’idea di una competizione tra varie fonti rinnovabili, dice, è “un’invenzione del discorso pubblico. Non è detto nemmeno che in fusione emergerà un solo concetto a livello commerciale, o che non possa esserci spazio per la fissione. Come ci sono tanti tipi di fertilizzanti e tanti tipi di farmaci, ci saranno tanti tipi di centrali”.
Solo la fusione, però, rappresenta a suo giudizio “una rivoluzione”. L’umanità, dice, “è sempre stata limitata da due cose: intelligenza ed energia. Per superare il limite di intelligenza, spingiamo su quella artificiale; ma l’IA è limitata dalla disponibilità di energia. Per superare il limite energetico, servono macchine come gli stellarator; ma siamo limitati dalla nostra intelligenza nel disegnarli e realizzarli. Cerchiamo di rompere questo circolo”. La fusione, assicura, potrebbe permettere “cose che al momento sembrano fisicamente impossibili. Si parla di andare su Marte, e per il trasporto interplanetario serve la fusione. L’espansione della civiltà passa per la fusione”.
L’articolo La storia di Proxima Fusion, la startup a guida italiana che ha raccolto 185 milioni per costruire la prima centrale a fusione nucleare è tratto da Forbes Italia.