L’Ai promette di stravolgere il lavoro intellettuale: che fine faranno i lavoratori?
- Postato il 25 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il dibattitto europeo sull’intelligenza artificiale (AI) tende a concentrarsi sulle caratteristiche delle sulle tecnologie e i principi e le regole che dovrebbero guidarne il suo governo nell’interesse individuale e sociale. E’ questo il cuore del EU AI act. Ma le questioni essenziali, quelle che preoccupano la gente e possono stravolgere il nostro sistema economico, vanno ben al di là dei temi della trasparenza, “beneficialità” o responsabilità delle aziende AI e dei suoi clienti: l’AI promette di stravolgere l’organizzazione del lavoro, soprattutto intellettuale, ponendo drammatiche questioni relative alla distribuzione del reddito e al rischio di una disoccupazione strutturale.
Affronto il tema con un esempio. Nella aziende di servizi legali la sostituzione del lavoro umano con un sistema di intelligenza artificiale è ormai una realtà: la stesura di una memoria o la ricerca “intelligente” di precedenti sentenze è un lavoro che l’AI fa meglio del normale professionista. Immaginiamo uno studio in cui i dipendenti sono adibiti a queste mansioni. Sono inevitabilmente spiazzati: costano di più e performano peggio di un buon sistema di AI. Ne risulta che questi lavoratori, a tendere, non servono perché vengono sostituiti dalla tecnologia. Rimarranno probabilmente professionalità più qualificate in grado di correggere e perfezionare i prodotti automatici. Semplificando, lo studio legale avrà bisogno di meno lavoratori, probabilmente più qualificati, e dovrà investire in modo consistente in nuove tecnologie.
A questo punto si pongono i due problemi essenziali. Il primo riguarda chi si avvantaggia del progresso tecnologico: il consumatore che paga meno servizi migliori, l’azienda che eroga i servizi tecnologici o l’impresa che eroga i servizi legali? Difficile dirlo; forse tutti e tre ma in ogni caso in terzo attore (l’impresa tecnologica) potrebbe avere un potere di mercato notevole, soprattutto se prevalessero economie di apprendimento e di scala. In uno scenario forse troppo negativo, l’evoluzione tecnologica arricchirebbe le aziende di AI lasciando alla sbarra sia gli studi legale che i consumatori. Servizi forse migliori per i clienti, profitti invariati per gli studi legali ed extra-profitti per le nuove aziende tecnologiche. O forse le tecnologie spingeranno verso assetti oligopolisti o addirittura monopolisti per le aziende che utilizzano AI, ad esempio tramite economie di dimensione e di apprendimento. Quello che sembra probabile è una caduta della domanda di lavoro intellettuale a livello medio e medio-basso. Uno scenario non inverosimile è che ci saranno meno lavoratori, altamente qualificati e che guadagneranno di più, e molti altri che saranno ridondanti. Un netto spostamento verso una società ancora più ineguale.
Il problema più drammatico riguarda proprio la sostituzione dell’AI al lavoro umano. Che fine fanno i lavoratori non più necessari? I più bravi probabilmente diventeranno interfaccia con le nuove tecnologie, ma gli altri? Il tema è stato già grave se si pensa ad ambiti quali la fotografia, i traduttori, i servizi di sorveglianza. Ma in questo caso il tema è più serio perché la rivoluzione AI è trasversale, quello appena descritto per i servizi legali vale anche per la finanza, la medicina, la contabilità, l’insegnamento, la ricerca, il marketing, le progettazione edilizia, etc. etc.
Siamo cioè di fronte ad una sostituzione sistematica del lavoro intellettuale di medio livello, in sostanza il lavoro del ceto medio della nostra società. Se espulsi dalle aziende cosa faranno tutte queste persone, come si manterranno e, forse cosa più importante, come si manterrà un minimo di ordine sociale a fronte di questo tsunami.
Porre dei temi non implica avere delle soluzioni, ma se non altro serve ad allertarci. E’ questa la vera minaccia dell’AI ancor prima del fatto che gli algoritmi siano trasparenti. La trasparenza è importantissima, ma da sempre l’uomo ha fatto ricorso a intelligenze “esterne” senza capirle: si pensi ai piccioni viaggiatori oppure ai cani da caccia; sappiamo addestrarli ma solo recentemente abbiamo (quasi) capito la loro intelligenza. Redistribuire drammaticamente reddito e occupazione, aprendo le porte ad una disoccupazione diffusa deve essere la prima preoccupazione.
In conclusione, mi permetto solo due avvertimenti. Primo, non aspettiamoci che sia il mercato a risolvere il problema; non siamo più negli anni ’90, con i suoi estremi ideologici pro-mercato, e le vicende delle big tech ci hanno insegnato che le nuove tecnologie non sono facilmente interpretabili dai tradizionali modelli economici e che la forza dei monopoli tecnologici globali trova difficilmente argini nella timide regolamentazioni pubbliche. Ma non speriamo neanche troppo in regolazioni soft, responsabilità sociale, sistemi di auto-controllo e altri meccanismi spesso più complicati che efficaci. O queste dinamiche si governeranno con decisione e coraggio, o il rischio è che questa rivoluzione tecnologica possa avere ripercussioni tragiche sul già fragile sistema sociale dei paesi più o meno avanzati.
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