L’Amazzonia che ospita la Cop30 soffocata dai roghi appiccati per far spazio ai pascoli: a Porto Velho livelli di inquinamento superiori a Pechino
- Postato il 3 novembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Mentre il Brasile si prepara ad accogliere la Conferenza delle Parti sul clima, l’agribusiness soffoca l’Amazzonia che quest’anno accoglie la Cop 30 a Belém (Leggi l’approfondimento). A Porto Velho (Rondônia) e Lábrea (Amazonas), dentro e intorno alla più grande foresta pluviale del pianeta, si respira aria contaminata da livelli di particelle tossiche superiori a quelli di molte megalopoli mondiali, come San Paolo, Pechino o Londra. Lo raccontano i dati di un report appena pubblicato da Greenpeace International. La quasi totalità degli incendi nell’Amazzonia brasiliana, inoltre, è causata da attività umane e concentrata in aree soggette a sfruttamento agricolo. Secondo i dati di MapBiomas, il pascolo rappresenta oltre il 90% di tutte le aree deforestate dell’Amazzonia brasiliana e, nel 2025, il 75% delle aree bruciate entro 50 chilometri da Porto Velho. Segno, secondo la ong, che gli incendi sono appiccati intenzionalmente per liberare terreni forestali e destinarli al pascolo di bestiame e, quindi, alla domanda di carne bovina guidata dall’industria agroalimentare. E questo, nonostante la legge brasiliana vieti severamente la combustione non autorizzata a fini di deforestazione. Nel report si sottolinea anche che oltre 30 milioni di ettari, un’estensione pari alle dimensioni dell’Italia, sono stati bruciati in un raggio di 360 chilometri intorno agli stabilimenti di Jbs, la più grande azienda produttrice di carne al mondo. Che, però, si difende, sostenendo che le distanze di approvvigionamento variano di Stato in Stato.
Le aree dove deforestazione e incendi sono più concentrati
Gli incendi rilasciano inquinanti dannosi come particolato, ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti organici volatili come il benzene, un noto cancerogeno. “L’Amazzonia svolge un ruolo fondamentale per la vita sul pianeta, ma oggi sta soffocando nel fumo degli incendi innescati dall’industria della carne. Questi roghi non sono eventi naturali – spiega Martina Borghi, campagna Foreste di Greenpeace Italia – ma vengono appiccati per fare spazio a pascoli o piantagioni per la mangimistica, mettendo a rischio la salute e la vita delle persone, dalle città alle comunità indigene”. Nel 2025 Greenpeace Brasile ha installato nuovi sensori di qualità dell’aria fissi e mobili, per misurare il pm 2.5 e integrare i dati con quelli satellitari e delle reti di monitoraggio già esistenti, offrendo un quadro aggiornato della qualità dell’aria nelle due aree dove si concentrano maggiormente incendi e deforestazione. Il pm 2.5 è collegato a malattie respiratorie e cardiovascolari, oltre che a morti premature, in diverse località della foresta amazzonica.
Concentrazioni di pm 2.5 tra 6 e 20 volte superiori ai limiti dell’Oms
Durante la devastante stagione degli incendi del 2024, le concentrazioni di pm 2.5 misurate a Porto Velho e Lábrea hanno superato di oltre 20 volte il limite giornaliero raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità, con medie giornaliere superiori a 300 microgrammi al metro cubo. Anche se nel 2025 gli incendi sono stati meno numerosi rispetto all’anno precedente, Greenpeace International ha comunque rilevato in diverse aree livelli di pm 2.5 sei volte superiori alle linee guida dell’Oms. Nei mesi di luglio, agosto e settembre, infatti, sono stati registrati valori molto elevati, con medie giornaliere oltre 100 microgrammi al metro cubo. Questi dati collocano l’Amazzonia tra le regioni più inquinate del pianeta, nonostante la sua fitta copertura forestale. Livelli pericolosi di inquinamento atmosferico sono stati rilevati in diverse aree dell’ Amazzonia brasiliana durante la stagione degli incendi, non solo nella capitale dello stato del Rondônia, Porto Velho, ma anche nel territorio indigeno Caititu, situato in un’area prevalentemente forestale.
A Porto Velho poche industrie, ma livelli di pm 2.5 superiori a Pechino
I livelli annuali di pm 2.5 registrati a Porto Velho, quindi, hanno superato quelli di megalopoli come Pechino, Santiago e San Paolo, secondo i dati dell’ Air Quality Life Index (AQLI) dell’Energy Policy Institute dell’Università di Chicago, rendendola una delle città più inquinate del Brasile nonostante le sue ridotte dimensioni e la quasi totale assenza di attività industriali. Gli incendi non sono un fenomeno naturale nella regione amazzonica, eppure sono diventati una ricorrenza annuale. A differenza di ecosistemi come le foreste della Sierra Nevada o il fynbos sudafricano, dove il fuoco svolge un ruolo rigenerativo, la foresta amazzonica è un ecosistema sensibile al fuoco, non adatto a bruciare.
Gli effetti sulla salute delle comunità
Negli ultimi decenni, l’esposizione al fumo degli incendi è stata identificata come la principale causa di quasi 50mila ricoveri l’anno in Brasile. Una revisione della letteratura scientifica mostra che gli ospedali di Porto Velho registrano forti aumenti di ricoveri per problemi respiratori durante la stagione degli incendi, soprattutto tra bambini e anziani. “Gli studi stimano che il fumo degli incendi causato dall’agribusiness abbia contribuito, nell’ultimo decennio, a decine di migliaia di ricoveri e morti premature nella regione amazzonica del Brasile” scrivono gli autori. Lo testimoniano le parole di Anderson Torres, operatore sanitario, durante la stagione degli incendi del 2024: “Nel nostro territorio, il clima è molto secco e, insieme alla foschia, causa gravi problemi respiratori. Su dieci bambini, almeno sei hanno la tosse, e il numero continua a crescere. Noi medici cerchiamo di porre rimedio a qualcosa che va oltre le nostre possibilità”.
Il ruolo dell’agribusiness, principale motore della deforestazione
Il Brasile è tra i principali produttori ed esportatori di carne bovina al mondo: rappresenta quasi un quarto del commercio globale e, nel 2024, ha generato ricavi record per 12,8 miliardi di dollari. Le esportazioni di carne bovina brasiliana sono cresciute del 27% tra gennaio e dicembre 2024 (oltre 2,5 milioni di tonnellate) e nel primo semestre del 2025 sono aumentate di quasi il 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel report si mettono in evidenza i dati satellitari raccolti tra il 2019 e il 2024. “Mostrano che oltre 30 milioni di ettari, sono stati bruciati in un raggio di 360 chilometri intorno agli stabilimenti di Jbs” segnala Greenpeace International, evidenziando il rischio che il colosso possa acquistare bestiame proveniente da aree incendiate. Secondo Hong Imazon (l’Amazon Institute of People and the Environment) i macelli autorizzati all’esportazione, come gli stabilimenti di lavorazione della carne di Jbs hanno, infatti, un raggio medio di circa 360 chilometri all’interno del quale acquistano potenzialmente il bestiame.“L’efficacia dei sistemi di monitoraggio della catena di fornitura di Jbs – racconta la ong – è stata più volte messa in discussione, anche dagli stessi fornitori dell’azienda, come ha rivelato una recente inchiesta condotta da The Guardian, Unearthed e Repórter Brasil”. Interpellata per un commento, però, l’azienda ha criticato l’applicazione di un raggio fisso di 360 chilometri, sostenendo che le distanze di approvvigionamento del bestiame variano notevolmente da uno Stato all’altro. Secondo Jbs questa stima non tiene conto del reale processo di acquisto del bestiame, delle politiche e delle capacità di monitoraggio della catena di fornitura dell’azienda.
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