L’auto elettrica e la corsa ai minerali, il lato oscuro delle batterie

Nel cuore della transizione ecologica e della lotta al cambiamento climatico si staglia l’auto elettrica, simbolo di un futuro più sostenibile e a emissioni ridotte. Alimentata da batterie al litio, promette di liberare il mondo dalla morsa dei combustibili fossili e di ridurre l’inquinamento atmosferico nelle nostre città. Tuttavia, dietro questa rivoluzione “verde” si cela un lato oscuro spesso trascurato: la corsa ai minerali necessari per costruirle, come litio, cobalto, nichel e grafite, sta innescando nuove tensioni geopolitiche, sfide ambientali e drammi sociali nei Paesi produttori.

Dalle miniere del Congo, dove il cobalto viene estratto talvolta con metodi artigianali e sfruttamento del lavoro minorile, alle saline dell’America Latina, dove l’estrazione del litio minaccia ecosistemi fragili e comunità indigene, la filiera delle batterie pone interrogativi urgenti. Così, mentre l’auto elettrica avanza come soluzione al problema del riscaldamento globale, rischia al contempo di alimentare nuove disuguaglianze e crisi ecologiche lontane dai riflettori dell’opinione pubblica. Questo approfondimento analizzerà nel dettaglio queste questioni, cercando di fare chiarezza su un tema estremamente delicato.

L’estrazione dei minerali per le batterie

L’ascesa dell’auto elettrica poggia su un pilastro fondamentale: le batterie agli ioni di litio. Queste, pur essendo il cuore pulsante dei veicoli a zero emissioni, nascondono un lato oscuro legato all’estrazione e alla lavorazione dei minerali strategici che le compongono. Litio, cobalto, nichel e grafite sono i protagonisti indiscussi di questa “corsa all’oro” contemporanea, e la loro crescente domanda sta ridefinendo equilibri geopolitici, economici e sociali a livello mondiale.

Il litio, spesso definito “oro bianco”, è l’elemento essenziale che permette agli ioni di muoversi tra anodo e catodo, generando la corrente elettrica. La sua leggerezza e la sua alta densità energetica lo rendono insostituibile nelle batterie attuali. I principali giacimenti si trovano nel cosiddetto “triangolo del litio” in Sud America (Cile, Argentina e Bolivia), ma anche in Australia e in Cina. La sua estrazione, spesso attraverso processi di evaporazione di salamoie, è ad alta intensità idrica e solleva preoccupazioni ambientali significative, specialmente in regioni aride.

Il cobalto è un altro componente critico, particolarmente apprezzato per la sua capacità di stabilizzare la struttura del catodo e prevenire il surriscaldamento delle batterie, aumentandone la sicurezza e la durata. Purtroppo, la sua estrazione è fortemente concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), che detiene oltre il 70% della produzione mondiale. Questa dipendenza quasi esclusiva ha portato a gravi problematiche etiche e sociali, tra cui lo sfruttamento di lavoro minorile, condizioni di lavoro insalubri e violazioni dei diritti umani, oltre ad alimentare conflitti armati e corruzione.

Il nichel gioca un ruolo crescente nelle batterie di ultima generazione, in particolare quelle ad alta densità energetica (come le NMC, nichel-manganese-cobalto). Un maggiore contenuto di nichel consente una maggiore autonomia del veicolo, rendendolo un elemento sempre più ricercato. I principali produttori includono Indonesia, Filippine, Russia e Canada. L’estrazione del nichel può avere un impatto ambientale considerevole, con la potenziale contaminazione del suolo e dell’acqua e la distruzione degli habitat naturali.

Infine, la grafite, nella sua forma sintetica o naturale, costituisce l’anodo della maggior parte delle batterie agli ioni di litio. La Cina è il produttore dominante di grafite a livello globale, sia naturale che sintetica. Sebbene la grafite sia un minerale relativamente comune, la sua lavorazione per renderla adatta all’uso nelle batterie è un processo complesso e ad alta intensità energetica, con potenziali ricadute ambientali legate alle emissioni e allo smaltimento dei residui.

L’impatto ambientale dei Paesi produttori

Uno degli impatti più pressanti è il consumo idrico massiccio. L’estrazione del litio da salamoie richiede enormi quantità d’acqua. Le salamoie vengono pompate dal sottosuolo in grandi vasche di evaporazione, dove il sole e il vento fanno il loro lavoro, lasciando precipitare i sali di litio. Questo processo può prosciugare le falde acquifere, riducendo la disponibilità di acqua dolce per le comunità locali, l’agricoltura e gli ecosistemi fragili in aree già caratterizzate da siccità. In Cile, ad esempio, le comunità indigene hanno sollevato preoccupazioni per l’impatto delle operazioni minerarie sui loro mezzi di sussistenza e sull’ambiente.

L’inquinamento è un’altra conseguenza diretta. Le attività minerarie generano una vasta gamma di inquinanti. I drenaggi acidi delle miniere (AMD) sono un problema comune nelle operazioni minerarie di cobalto, nichel e altri metalli. L’acqua, entrando in contatto con minerali solfidici esposti all’aria, forma acido solforico che può lisciviare metalli pesanti tossici (come piombo, arsenico, cadmio) nel suolo e nei corpi idrici circostanti, avvelenando fiumi, laghi e falde acquifere.

Le operazioni di scavo, frantumazione e trasporto generano grandi quantità di polveri che possono contenere particelle di metalli pesanti. Queste polveri possono essere inalate dalle popolazioni locali e depositarsi su vegetazione e colture, causando problemi respiratori e contaminazione alimentare. Il rilascio accidentale di sostanze chimiche utilizzate nei processi di flottazione o lisciviazione, insieme allo smaltimento improprio di scarti minerari (tailings), può contaminare vasti appezzamenti di terreno, rendendoli improduttivi per l’agricoltura e mettendo a rischio la salute umana e animale.

La perdita di biodiversità è un’altra grave conseguenza. L’apertura di nuove miniere e le infrastrutture associate (strade, alloggi, impianti di lavorazione) comportano la deforestazione e la distruzione di habitat naturali. Ciò porta alla frammentazione degli ecosistemi, alla riduzione delle popolazioni di specie vegetali e animali, e in alcuni casi, all’estinzione di specie endemiche. In aree come la Repubblica Democratica del Congo, l’espansione delle miniere di cobalto ha contribuito alla perdita di foreste pluviali e alla pressione su specie a rischio. Le operazioni minerarie possono anche alterare i modelli di flusso dei fiumi e i cicli idrologici, compromettendo ulteriormente gli ecosistemi acquatici.

In sintesi, mentre il mondo occidentale si impegna a ridurre le emissioni di carbonio attraverso l’adozione di veicoli elettrici, è imperativo riconoscere e affrontare gli oneri ambientali che ricadono sui Paesi in via di sviluppo, spesso con regolamentazioni ambientali più deboli e una minore capacità di farle rispettare. La sostenibilità dell’auto elettrica non può essere misurata solo dalle emissioni allo scarico, ma deve includere l’intero ciclo di vita, partendo proprio dagli impatti spesso devastanti dell’estrazione mineraria.

Autore
Virgilio.it

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