Le mani israeliane su Gaza e il suo offshore: le acque palestinesi strategiche per il gas
- Postato il 9 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La geologia di Gaza e del suo offshore potrebbe contenere delle risposte alla domande perché il governo israeliano abbia affrontano in modo così sfrontato e deciso l’azione umanitaria della Global Sumud Flotilla e delle flotille successive. Nelle discussioni sul genocidio in corso a Gaza, il tema dei territori già occupati, e di quelli che Israele vorrebbe prendersi per sviluppare piani immobiliari di stampo trumpiano, è chiaro e con radici profonde. Sappiamo anche che del ‘piano di pace’ colonialistico proposto dal Presidente degli Stati Uniti i palestinesi non sono parte attiva nelle trattative ma solo spettatori, e dopo forse lavoratori a basso costo al servizio di multinazionali straniere.
Grazie all’azione delle flotille abbiamo avuto conferma che Israele non rispetta il diritto internazionale e che per i governi amici, quelli per cui una manifestazione di piazza è un attacco alla democrazia, ‘…il diritto internazionale è importante ma fino a un certo punto’ (A. Tajani). Quello che però resta fuori fuoco dalla narrazione mainstream è il perché Israele sia così interessato alle acque davanti Gaza.
La ragione risiede nell’impedire le attività di pesca e di importazione/esportazione ai palestinesi per rafforzare il loro isolamento e costringerli ad abbondare la loro terra? Israele ha schierato il suo arsenale militare compiendo atti di pirateria, come definiti da diversi esperti, abbordando imbarcazioni battenti bandiere straniere in acque internazionali solo per impedire loro di portare aiuti alla popolazione di Gaza? Certamente questi sono motivi perfettamente funzionali alle azioni di guerra che il governo israeliano sta portando avanti a Gaza, ma siamo sicuri che sia tutto? Siamo sicuri che l’interesse sia nell’acqua e non in cosa ci sta sotto?
La storia ci insegna che dietro guerre e massacri ci sono interessi economici che vanno oltre l’ovvio ed il visibile. Se proviamo a spingerci nelle rocce che si trovano al di sotto del fondo del mare, vediamo che forse ci sono anche altri interessi per i quali le acque davanti Gaza non devono essere violate ed è importante che il governo israeliano ne prenda il controllo e mostri al mondo intero che è disposto ad usare le armi ed andare contro il diritto internazionale per difenderle. Interessi che potrebbero avere il nome delle riserve di gas scoperte nel 2000 dalla British Gas e non sviluppate a causa delle tensioni in corso nell’area. Infatti, nonostante gli accordi di Oslo garantiscano all’Autorità Palestinese la giurisdizione marittima, le resistenze del governo israeliano hanno ostacolato lo sviluppo di questi giacimenti.
Il Bacino di Levante, che si estende davanti le coste di Gaza, Israele, Libano, Siria e Cipro, ha enormi riserve stimate in circa 1,7 miliardi di barili di petrolio e 3.453 miliardi di metri cubi di gas naturale. Di queste riserve, solo una minima quantità (circa 31 miliardi di metri cubi) sono in acque palestinesi, ma queste sono strategiche per lo sviluppo dell’area e l’autonomia economia ed energetica di Gaza.

Seguendo questo filo, per provare a capire meglio questo aspetto del business plan che stanno mettendo giù per il dopo Gaza (su cui c’è accordo solo per alcuni dei punti, ndr), ci viene in aiuto un personaggio, Tony Blair (lo stesso che come stabilito dalla commissione Chilcot decise di invadere l’Iraq basandosi solo sulle sue convinzioni personali), che ha un ruolo chiave nel ‘piano di pace’ proposto da Trump. Personaggio che è stato in prima fila a livello internazionale per molto tempo, ma che negli ultimi anni ha preferito rimanere lontano dal palcoscenico politico ma i cui link con il business del petrolio sono stati oggetto di diversi articoli. Siamo sicuri sia la persona giusta, e senza interessi, per questo ruolo?
Provando a cercare carte e mappe che rappresentino la situazione nell’area di Gaza, si vede come le stesse raccontino, a seconda di chi le realizza e dello scopo delle stesse, storie diverse con confini che si restringono sempre più fino alla totale perdita di territorialità a mare per Gaza.
Come in una non-mappa dell’artista Vincenzo Paonessa, in mostra a Roma a Palazzo Brancaccio, ci vorrebbero nuove prospettive senza più confini né violenze. Ma vedendo i personaggi che si stanno adoperando per ‘portare la pace’ in Palestina credo rimarrà una mera utopia.

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