“Leccavo i capezzoli delle statue del Trocadero di Parigi. Ho rischiato di diventare sordo, ho l’acufene con up e down di depressione”: lo rivela Piero Pelù
- Postato il 27 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Una vita di successi, alti e bassi, problemi di salute e poi ancora un disco “Deserti”, pubblicato lo scorso anno, il tour “Il ritorno del Diablo” e il brano inedito “Sos” a favore della Flotilla e contro il genocidio in Palestina, oltre al concerto evento organizzato in pieno conflitto. Dopo il passaggio alla Mostra del Cinema di Venezia “Piero Pelù. Rumore dentro” arriva nelle sale il 10, 11 e 12 novembre e in anteprima il 5 novembre al Festival dei Popoli.
“Con l’acufene – racconta Pelù a Il Corriere della Sera – purtroppo dovrò farci i conti finché vivo: la forma che ho, dovuta a un trauma, è la più cattiva. Un fonico incapace mi ha fatto esplodere una bomba nelle orecchie, in cuffia. Per fortuna, anziché la sordità, ho un’ipersensibilità a certe frequenze e con il tempo sono riuscito a inventarmi un sistema per cantare. Devo mettere spesso i tappi quando sono tra la gente o esco a cena, se ci sono rumori di piatti o voci acute che mi feriscono”.
Poi la depressione: “Non so se lo choc sia stato scatenante ma, da allora, gli up e i down sono stati frequenti. Ci sto ancora lavorando, e mi aiutano molte cose. La musica, gli amici, i viaggi, la barboncina che viene con me ovunque, pure alla Mostra del Cinema di Venezia. Si chiama Tina, come mia nonna e Tina Modotti. E come altre Tine della musica: la Turner, la Weymouth bassista dei Talking Heads. Mi ha aiutato molto girare il film: ho potuto parlare di tutto questo in maniera artistica”.
Nel racconto per immagini del suo docufilm si parla anche del concetto di movimento: “Forse perché mio padre, per lavoro, si spostava da una città all’altra e noi lo seguivamo. Da bambino ho cambiato spesso scuole e compagni, ho imparato ad adattarmi ed è stata una palestra fantastica: oggi sono a mio agio in situazioni disparate, dalla festa gitana agli incontri con grandi stilisti. E viaggiare mi è di grande ispirazione nella scrittura: ti estranei dalla quotidianità e vai di fantasia. Lo faccio anche guidando, una forma di meditazione. Quando mi girano le scatole, nulla di meglio che prendere un camper e sparire per una settimana“.
Tanti i viaggi tra cui Londra: “Per un ragazzo punk era il posto dove andare e io mi ci sono trasferito nell’80 pieno di speranze, con l’idea di creare lì la mia band. Poi scoprii che la scena musicale era poco spontanea, più estetica che vera. E Londra era una città senza empatia. Non successe niente e decisi di tornare a Firenze. Però al Trocadero di Parigi mi arrampicavo sulle statue per leccarne i capezzoli… Andavamo nei cimiteri della Francia sperduta, sotto la neve, perché mi riconoscevo nell’atmosfera gotica. Portavo un cappotto da Piotre degli Urali, il personaggio tsigano nel quale mi identificavo all’epoca”.
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