L’ennesimo gruppo Facebook dove coltivare fantasie di violenza: un’altra prova della cultura dello stupro

  • Postato il 20 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ed ecco a voi, ancora una volta – e non sarà l’ultima – la cultura dello stupro. La scrittrice Carolina Capria sulla pagina Instagram “Lo ha scritto una femmina” ha puntato i riflettori sulla sessualità violenta di migliaia di iscritti al gruppo Facebook “Mia moglie”, dediti a coltivare fantasie di stupro più o meno esplicite. La pagina è stata denunciata anche dall’associazione “No justice, no peace”.

Sulla pagina “Mia moglie” c’erano ben trentaduemila iscritti che diffondevano foto e si scambiavano commenti degradanti su compagne, sorelle, madri o presentate come tali, fotografate mentre sono impegnate in attività quotidiane o ritratte in pose sessualmente esplicite (è un reato diffonderle). Non è da escludere che siano foto saccheggiate da profili di donne del tutto inconsapevoli di essere diventate una sorta di trofeo sul quale viene ritualizzato uno stupro di gruppo. A questa pagina Fb sarebbe collegata una chat privata su Telegram con commenti probabilmente più volgari e violenti.

Nel gennaio del 2025, il programma tedesco STRG_F diffuse la notizia di una chat su Telegram, condivisa da 70mila uomini, dove venivano scambiati consigli su come stuprare le donne. Ne scrisse la giornalista Jennifer Guerra su TheWom, in un articolo intitolato “Perché la chat dei 70mila uomini scoperta in Germania dovrebbe farci ribellare al #Notallamen”: “Se ogni moneta da un euro corrispondesse ad un uomo e provassimo a impilarle una sull’altra, otterremmo una torre alta sette metri. Se ogni passo corrispondesse ad un uomo, percorreremmo cinquantasei chilometri a piedi”.

Similitudini che rendono evidente quanto la cultura dello stupro sia diffusa, condivisa, normalizzata e sistemica. La notizia venne 72enne Dominique Pelicot che, insieme ad altri cinquanta uomini, perpetuò per oltre 10 anni violenza sessuale su Gisele Pelicot, resa inerme e priva di coscienza da psicofarmaci.

Carolina Capria non a caso cita il processo Pelicot: “Il caso Gisele Pelicot non è una anomalia del sistema. Un uomo che è convinto di poter disporre della propria moglie e per il quale la sessualità è legata a doppio filo alla sopraffazione è il sistema. Perché è così che educhiamo gli uomini. A riconoscersi in una maschilità che conquista, espugna, occupa. Non riesco a smettere di pensare a cosa significhi per una ragazza/donna scoprire di essere finita su un gruppo del genere, di essere scambiata, di essere messa in piazza e ceduta”.

Manon Garcia, autrice di Vivere con gli uomini. Cosa ci insegna il caso Pelicot, si interroga e interroga gli uomini sulle dichiarazioni dei cinquanta stupratori finiti sotto processo ad Avignone; buona parte di loro si sollevò da ogni responsabilità dicendo di non aver capito che la vittima non fosse consenziente (una donna totalmente inerte) o dicendo di aver ricevuto il consenso del marito. Una donna, nel 2025, è ancora un possesso che si può cedere a piacimento.

Manon Garcia pone attenzione ad un dato: Dominique Pelicot progettava con cura gli stupri della moglie. Nella scelta dei complici, calcolava il percorso che li separava dalla sua abitazione di Mazan e anche i tempi dell’effetto sedativo del farmaco che somministrava alla moglie. La distanza non doveva essere superiore a 50 chilometri. Manon Garcia si chiede con inquietudine: se Pelicot riuscì a contattare almeno una settantina di uomini (non tutti gli autori di stupro vennero identificati) nel raggio di così pochi chilometri, quanti sono gli uomini che possono commettere uno stupro?

Siamo di fronte all’evidenza che la violenza sessuale è normalizzata e banalizzata ed è questo il motivo per cui è molto più diffusa di quanto si creda. Ed è anche questo il motivo per cui le donne denunciano sei volte di più gli stranieri o sconosciuti e molto difficilmente partner e amici. Anche le ricerche Istat ci dicono che la violenza sessuale viene commessa in larga maggioranza da uomini che sono in relazione con le vittime.

Lo stigma dell’uomo estraneo, alieno, emarginato e talvolta mostrificato, aiuta a riconoscere la violenza sessuale mentre la normalità di chi lo commette può renderla invisibile: per questo motivo, a mio parere, solo un procedimento di deformazione dell’identità degli autori di violenza ci permette di riconoscere uno stupro.

Chi vìola il corpo di una donna è il padre di famiglia di 57 anni che aggredisce una ragazza di 17 anni priva di sensi in un aiuola, è il gruppo di minorenni che accerchia una coetanea e filma lo stupro dicendo “abbiamo fatto un porno”. Sono i campioni dello sport che incontrano il sostegno della piazza e di giornalisti sportivi (ahinoi) nonostante accuse o condanne per stupro di gruppo.

In assenza di una consapevolezza dei magistrati che, come tutti, possono avere pregiudizi, le donne che denunciano violenze vedono archiviate le loro denunce o sono vittimizzate e non credute. Molto più spesso non denunciano rimuovendo il trauma come “qualcosa che è accaduto”. Eppure, dietro la maschera dello stupratore si cela sempre un uomo comune, non un mostro.

Ps. Gruppi di attiviste femministe stanno promuovendo la segnalazione nella pagina Fb, ma è come arginare uno tsunami. Per una chat chiusa quante continueranno a restare aperte?

Un uomo si è iscritto alla pagina per denunciare la violenza degli iscritti. E’ stato apostrofato malamente. La coralità che vediamo esprimersi nell’esibizione di mascolinità non si trova quando sarebbe importante esprimere la condanna della violenza maschile simbolica o attuata contro le donne. Non si ha l’impressione di una solida e nascente coscienza maschile contro la cultura dello stupro… Not All Men?

@nadisedaa

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Il Fatto Quotidiano

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