Les Rencontres d’Arles 2025: uno specchio incrinato della fotografia contemporanea  

  • Postato il 8 ottobre 2025
  • Arti Visive
  • Di Artribune
  • 1 Visualizzazioni

In Francia l’arte è un affare di Stato: hanno inventato la fotografia e poi, generosi (o folli), hanno regalato il brevetto al mondo. Oggi siamo sommersi: nel XXI Secolo una statistica ci sbatte in faccia un dato fastidioso — 1,3 miliardi di foto caricate ogni giorno solo su Instagram. Senza contare quelle sepolte nei cellulari. Un’isteria fotografica, una compulsione che ci rende più robot che umani. Da anni fotografo la strada. Vivo a Roma, dove i turisti scattano qualsiasi cosa in trance collettiva. Me lo disse Martin Parr quando lo intervistai: “Tourists in Rome go crazy and I love that”. Un massacro estetico che fa sorridere e fa male insieme. È da lì che arrivo ad Arles, con quella nausea addosso, quella domanda che non smette di bruciare: con tutta questa pornografia di immagini, ha ancora senso parlare di fotografia come arte? 

eaeb686e 0461 47e4 b42b ea8fc18643bc Les Rencontres d’Arles 2025: uno specchio incrinato della fotografia contemporanea  
Installation view, Les Rencontres de la Photographie, Arles

Les Rencontres de la Photographie 2025 ad Arles  

Arles è diversa, è un’altra storia, è la prova che la fotografia non è morta anche se è stata stuprata milioni di volte dai nostri schermi. Arles è una piccola città romana fondata da Cesare nel 46 a.C. Durante l’annuale festival Les Rencontres de la Photographie (7 luglio – 5 ottobre 2025), ogni muro diventa manifesto, ogni piazza un’installazione, ogni portone un varco. Chiese sconsacrate trasformate in sale espositive, supermercati che non vendono cibo ma visioni, biblioteche che ti scagliano addosso immagini come pugni, abbazie, scuole, musei, criptoportici. Tutta la città suda fotografia, non la ospita: la suda, la espelle dai pori. Cammini e sei dentro un’inondazione visiva, e a un certo punto non sai più se stai guardando le foto o se le foto stanno guardando te. 

La fotografia di Batia Suter ad Arles 

Il posto che mi ha mandato in tilt è stato il criptoportico romano. Un ventre sotterraneo, umido, ancestrale, un posto che puzza di storia e muffa, in cui Batia Suter ha piantato Octahydra, un’opera che è una mostra viva, un collage di architetture e manufatti manipolati digitalmente, impastati come in un sogno febbrile. È un viaggio viscerale, e lì sotto il tempo si sbriciola: sei nel passato e nel futuro allo stesso tempo, la pietra romana che abbraccia l’immagine digitale. Ti entra sotto pelle come un acido lento. 

La mostra da Lumière des Roses 

Ma Arles non è solo spettacolo: è un campo di battaglia. Non vuole intrattenere, vuole imprimere, graffiare la retina e costringerti a fare domande che non hanno risposta. Siamo tutti fotografi? Basta uno smartphone per essere autori? Quando una foto diventa arte e quando resta solo rumore? E poi arriva una mostra come Elogio della fotografia anonima a mandare tutto in frantumi. Marion e Philippe Jacquier, fondatori della galleria Lumière des Roses, hanno passato vent’anni a raccogliere foto senza nome, anonime, disperse, diecimila stampe in sali d’argento, e ne hanno tirato fuori un universo parallelo. Immagini familiari, erotiche, scientifiche, ridicole, geniali. Nessuna spiegazione, solo sussurri. La fotografia come cosa intima, come collezione di tempo rubato. Una magia chimica che spesso moriva con chi l’aveva scattata. E allora ecco gli autoritratti di “Lucette” travestito da donna, ecco gli amanti nudi che non avevano bisogno di esistere per il mondo ma solo per loro stessi, ecco il farmacista che spiava i clienti con la macchina fotografica. Ossessioni private che oggi diventano patrimonio collettivo, fantasmi che tornano a perseguitare chi guarda. 

La partecipazione centro e sudamericana a Les Rencontres de la Photographie 

Quest’anno Arles ha aperto una finestra sciamanica sull’America Latina. Musuk Nolte, messicano, ci trascina in Amazzonia con guide sciamaniche: tigri fuori fuoco, occhi perforati da flash violenti, un’estetica da trance psichedelica che imita l’effetto della ayahuasca. È come essere risucchiati dentro una visione che non ti lascia scampo. Poi Octavio Anguilar da Oaxaca porta in scena maschere, tessuti, sangue, rituali collettivi: un carnevale che diventa manifesto identitario, corpo politico. Infine, il boliviano Daniel Mebarek con Fotos Gratis: uno studio mobile in un mercato, ritratti regalati a chiunque passasse, volti che diventano performance, identità che si specchiano in uno spazio condiviso. Non è più fotografia, è scambio, rito, comunità. 

Distruzione e ricostruzione degli Stati Uniti e del padre 

Dall’altra parte dell’oceano, invece, c’è solo la sbornia tossica degli Stati Uniti, il sogno che si sfascia. La Route 1 fotografata da Berenice Abbott, Anna Fox e Karen Knorr è un incubo a cielo aperto: insegne con scritto “too ugly to be a stripper”, donne con zampe di insetti che gli escono dalla faccia, Gesù trasformato in testimonial contro l’aborto, pubblicità che puzzano di apocalisse. È un’estetica del collasso, un freak show della modernità. E poi, come sempre, arriva lei: Nan Goldin. Ribalta il tavolo con un video che mescola le sue opere con quelle del Louvre, un pugno e una carezza nello stesso gesto. Intimità, nostalgia, sensualità: pura benzina nelle vene. 
Nello spazio Van Gogh, Todd Hido con The Light from Within ci porta dentro case vuote, strade bagnate, interni sospesi. Fotografie che sembrano fotogrammi di un film muto e inquieto, dove tutto è malinconia e desiderio. Pioggia sui parabrezza, montagne che si sciolgono, alberi che guardano l’orizzonte. Silenzi che fanno rumore. 
Il tema del padre ritorna ossessivo in due mostre: Diana Markosian con Father, la sua storia personale di bambina scappata con la madre dalla Russia, lasciando dietro un padre che non ha mai potuto salutare, e che poi ha cercato disperatamente. Lettere, assenze, ricordi che diventano immagini. E Camille Leveque con In Search of the Father, un’indagine feroce sull’archetipo maschile: padri autoritari, padri assenti, padri come simbolo di patriarcato e potere. Chi è un buon padre? Chi è un cattivo padre? E cosa significa oggi questa figura ormai logora? Domande che restano sospese come colpi di tosse. 

Le foto di Andujar, Roy, Battaglia ad Arles 

Poi c’è la retrospettiva di Claudia Andujar, sopravvissuta all’Olocausto, che ha trovato in Brasile un nuovo linguaggio e una missione: la fotografia come modo di comunicare con l’altro, prima ancora del suo impegno storico con gli Yanomami. Fotografie degli Anni Sessanta e Settanta che hanno la forza di un grido. E infine Kourtney Roy con The Tourist: una festa kitsch, colori saturi, autoritratti grotteschi, snorkeling con la sigaretta in bocca. Martin Parr spinto all’estremo, fino al collasso, un universo glamour-trash in cui realtà e fantasia si mischiano fino a non distinguersi più. È una risata sguaiata che si strozza in gola. 
Il gran finale è italiano. Letizia Battaglia, retrospettiva monumentale: cento scatti e documenti dal suo archivio, la Palermo che ha raccontato, la mafia, i volti fragili e forti, le contraddizioni di un’isola. Dignità, dolore, bellezza. Una ricerca ossessiva di luce che non si spegnerà mai. Ogni foto è un graffio, una cicatrice, un bacio. E poi, tra i tavoli del Book Award, un incontro casuale: Alba Zari con Fear of Mirrors. Identità liquida, dissolta nel digitale, un vortice di specchi che ti risucchia dentro un feed piatto. Non importa più chi sei, importa solo come ti proietti. Un futuro che è già qui, e fa paura. 

img2618 Les Rencontres d’Arles 2025: uno specchio incrinato della fotografia contemporanea  
Installation view, Les Rencontres de la Photographie, Arles, con libro Alba Zari

Les Rencontres d’Arles 2025: cosa rimane? 

Alla fine Arles resta questo: un enorme specchio incrinato. Ti costringe a guardarti dentro, a vedere non solo il mondo ma anche le tue ossessioni, i tuoi fantasmi, i tuoi desideri sporchi. Non è un festival, è una malattia temporanea, un’allucinazione collettiva che ogni anno risucchia migliaia di persone dentro il suo vortice. Ne esci stanco, con gli occhi gonfi e il cuore che batte ancora. E ti chiedi se tutta quella fotografia serva a qualcosa, se non sia solo un altro inganno. Ma intanto hai già preso appunti, hai già scattato, hai già scritto, perché non puoi farne a meno. 
 
Alessandro Asciutto 
 
Libri consigliati: 

(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)

L’articolo "Les Rencontres d’Arles 2025: uno specchio incrinato della fotografia contemporanea  " è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

Potrebbero anche piacerti