L’Ue e il piano Trump: "L'indignazione è immotivata", dice Niall Ferguson

  • Postato il 10 dicembre 2025
  • Di Il Foglio
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L’Ue e il piano Trump: "L'indignazione è immotivata", dice Niall Ferguson

“Buona parte dell’indignazione provocata dal nuovo documento sulla Strategia nazionale americana è immotivata”, dice al Foglio lo storico e saggista Niall Ferguson: “L’Europa è al secondo posto dopo ‘l’emisfero occidentale’ (il continente americano, ndr) per ordine di importanza: i dettagli sull’Ucraina non mi sembrano troppo controversi e nemmeno quelli su medio oriente o Cina. Qualche frase riciclata dal discorso di J. D. Vance a Monaco a febbraio non è poi così grave in un documento chiaramente scritto da molte persone”. A dire il vero il documento sulla Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti pubblicato venerdì è piombato sull’Europa come un’esplosione.

Ma Ferguson non è l’unico che cerca di ridimensionare il significato e le conseguenze del documento. Jeremy Shapiro dell’European Council on Foreign Relations ed ex consigliere speciale al desk per l’Europa e l’Eurasia presso il dipartimento di stato, comprende lo scorno europeo: “C’è una fazione significativa all’interno dell’Amministrazione che davvero non ama l’Europa e che incoraggia una guerra culturale contro il Vecchio continente, oltre a sostenere i partiti populisti europei”. Ma quella fazione non controlla l’Amministrazione e il report sulla Strategia non si traduce automaticamente in politica: “Ci sono molte altre correnti all’interno dell’Amministrazione, quindi sì, c’è motivo di allarmarsi ma non di andare nel panico”. Questi documenti sono solitamente lunghe liste di priorità e obiettivi, mentre questo dell’Amministrazione Trump è più una dichiarazione politica: descrive l’Europa come una civiltà in declino, governata da élite che soffocano il dissenso e gestiscono male l’immigrazione, alla deriva verso un collasso demografico. E afferma che gli Stati Uniti intendono “coltivare la resistenza” all’interno degli stati europei.

 

 

Alcuni funzionari europei hanno denunciato il documento come un’intrusione nella loro politica interna; diverse capitali lo vedono come un endorsement dell’estrema destra su immigrazione, identità e decadenza culturale. Bruxelles lo considera un attacco alla legittimità del progetto dell’Unione europea. Ma nonostante tutte le controversie, c’è davvero poco nell’Nss di nuovo per l’Europa: Washington considera da tempo l’Europa incapace di garantire la propria sicurezza, dipendente dal potere militare statunitense e limitata dalla eccessiva regolamentazione. Queste considerazioni hanno attraversato diverse Amministrazioni, anche se i presidenti precedenti le esprimevano con più cautela. Barack Obama segnalò lo stesso cambiamento con il “pivot verso l’Asia” e fu sempre durante quel che governo che la Polonia apprese – nell’anniversario della liberazione dall’Urss – che il sistema missilistico di difesa promesso non sarebbe stato consegnato. E furono i governi europei, non Washington, a resistere all’allargamento della Nato a Bucarest nel 2008. Ma certamente il contesto strategico è cambiato. L’Europa affronta una guerra ai suoi confini, una Russia che rappresenta una minaccia, e la realtà è che la spesa europea per la difesa resta ancora insufficiente per sostenere la sicurezza a lungo termine senza gli Stati Uniti. Il sostegno a partiti nazionalisti, inoltre, non è un linguaggio usuale e l’ostilità del documento segna una rottura rispetto a decenni di alleanza. Come dice Ferguson, molti dei punti fanno eco al discorso che il vicepresidente J. D. Vance ha tenuto a Monaco a febbraio.

“Non ho mai conosciuto nessuna Amministrazione americana che si facesse guidare religiosamente dalla propria Strategia di sicurezza nazionale”, dice Kurt Volker, ex ambasciatore americano presso la Nato e inviato speciale per l’Ucraina durante la prima Amministrazione Trump. In altre parole, Washington può scrivere quello che vuole, ma la politica si basa su quello che Harold Macmillan chiamava “events, my dear boy, events”. “In una crisi, nessuno si riferisce alla Strategia nazionale e chiede: ‘Cosa devo fare?’. Per lo più è un documento per i governi per parlare a sé stessi e alla loro base politica. E’ un’istantanea, ma non una guida per la politica. L’approccio è un po’ preoccupante, ma un approccio non regge quando la realtà ti colpisce in faccia”.

Il documento strategico non dedica quasi attenzione a Mosca, offre una vaga promessa di “lavorare con i partner” per “prevenire l’emergere di avversari dominanti”, senza specificare chi siano i partner o come fare prevenzione. “Vari paesi europei sono in diverse fasi di riduzione della loro dipendenza, e altri in diverse fasi di negazione”, dice Shapiro. “Questo, dopo il piano di pace per l’Ucraina, li sta spingendo verso la consapevolezza che c’è urgente bisogno di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, in particolare negli affari della sicurezza”. Cosa può fare, quindi, l’Europa? Nel breve termine, poco. Il continente rimane dipendente dagli Stati Uniti, e nessun governo può rischiare una rottura mentre una guerra è in corso nel vicinato. Ma il documento potrebbe accelerare il tentativo europeo di investire seriamente nella propria difesa e ricostruire le capacità industriali e militari. L’alternativa è il familiare istinto europeo: indignarsi, aspettare che la tempesta passi, e sperare che le prossime elezioni portino alla Casa Bianca un governo più solidale.

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Il Foglio

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