Meloni definita ‘cortigiana’: quando un nomignolo può divenire doloroso
- Postato il 21 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Nella mia attività professionale ho visitato vari pazienti che mi hanno riferito di nomignoli, epiteti o soprannomi che hanno gravemente turbato la loro vita. Solitamente la storia è che una persona riceve la definizione quasi casualmente; questo soprannome suscita ilarità negli astanti e il soggetto interessato, pur rosicando dentro, diviene succube di questo epiteto. Se infatti si arrabbia e pretende che nessuno usi il termine negativo in sua presenza provoca negli altri il desiderio, quando lui non c’è, di usarlo con ancora maggiore frequenza. Il bello, se così si può dire, dell’evocare un epiteto o un soprannome è quello infatti di far sottilmente arrabbiare la persona che ne è colpita. Succede allora che la persona coinvolta faccia finta di niente o addirittura ci rida sopra. Si tratta di un tentativo di mitigare l’effetto del soprannome negativo ma se tutti sanno che, sotto sotto, lui ci soffre, esso continuerà ad essere usato tanto da divenire abituale.
I soprannomi più difficili da sradicare sono quelli che qualcuno appiccica in infanzia come Ciccio se si è sovrappeso o viceversa Grissino, Perticone o Tappino riguardo l’altezza. Ricordo il caso e la sofferenza di una ragazza che per anni, chiamandosi Antonella, veniva sbeffeggiata col soprannome di Tontonella.
Questi ricordi di pazienti che hanno grandemente sofferto per una cattiva definizione mi sono venuti in mente leggendo le prese di posizione sull’epiteto proferito dal segretario generale della Cgil riguardo alla presidente del Consiglio: cortigiana. A dire il vero chi l’ha enunciata ha subito chiarito che intendeva con questo termine definire ”qualcuno che fa parte di una corte”. Quindi una definizione neutra o quasi. Maliziosamente qualcun altro, tra cui la stessa diretta interessata, hanno ritenuto vi fosse nascosto il significato più negativo di “persona che è nella disponibilità sessuale del sovrano, quindi una sorta di prostituta di alto bordo”. Esiste anche un significato intermedio in cui la persona col termine cortigiana viene descritta come “opportunista che si comporta in modo servile verso i potenti per ottenere favori”.
La velocità con cui la presidente del Consiglio ha attaccato questa definizione mi ha fatto pensare che ne avverta la pericolosità. Già nel passato dell’Italia epiteti denigranti hanno colpito politici affermati rimanendo loro appiccicati volenti o nolenti. Ricordo tra i più famosi: belzebù (Andreotti), il cinghialone (Craxi), psiconano (Berlusconi), mortadella (Prodi), il bomba (Renzi), il bibitaro (Di Maio). Tutte definizioni denigratorie che hanno accompagnato la vita mediatica di politici famosi provocando un’immagine negativa.
Non so se il termine cortigiana rimarrà legato alla presidente del Consiglio. Spero di no, perché è sessista e denigratorio per una donna che rappresenta tutti noi. Rimane però la necessità che lei si allontani da questa immagine rifiutando anche atteggiamenti che, fino ad ora, non destavano particolari problemi. Ad esempio la smania di andare a ogni riunione in cui ci sia il capobranco Trump può apparire eccessiva. Concedere la possibilità al presidente albanese o al presidente Usa di parlare della sua avvenenza può risultare sminuente e ambiguo per chi esercita un ruolo istituzionale. Autocelebrarsi dicendo che dietro le quinte ha collaborato per la pace offre alla denigrazione l’idea che vi siano rapporti ambigui, privilegiati e di amicizia che esulino dalle normali prassi fra capi di governo. Insomma occorre maggiore sobrietà e un rientro nel ruolo istituzionale. Se infatti la presidente del Consiglio è la prima che attacca gli avversari con parole infamanti (essere “peggio di Hamas”) è chiaro che non può aspettarsi un trattamento migliore.
Occorre inoltre stare attenti, come affermavo all’inizio, perché se gli avversari capiscono che quel termine punge nel vivo lo utilizzeranno a piene mani. Ricordiamo che Renzi ha cercato per anni di scrollarsi di dosso il termine “il bomba” che faceva riferimento a una presunta tendenza a spararle grosse. Prodi, a dispetto delle maratone che riusciva ad ultimare, veniva etichettato come “mortadella” per definirlo grassoccio, smidollato e provinciale. Credo che Di Maio abbia patito il termine “bibitaro” che gli è stato appioppato per definire una sua carenza di curriculum per il ruolo ricoperto. Per non parlare di Berlusconi che metteva i tacchi contro chi descriveva con aggressività la sua statura e la capacità di influenzare, tramite la televisione, le folle.
Da un punto di vista psicologico il soprannome crudele diviene doloroso perché in piccola parte incarna un difetto della persona che se lo vede appiccicare. Il problema, quindi, si pone quando una definizione, errata per il 90-95 per cento, può avere un 5-10 per cento di verosimiglianza. Proprio in questa ambiguità si situa la maldicenza che, appigliandosi a uno scampolo corretto, attrae tutto il resto della persona nella definizione. La maldicenza quindi funziona come un inquinante che pur in piccole quantità contamina tutto il resto.
La sofferenza che si determina nella persona oggetto della maldicenza, come dicevamo, è molto rilevante. Chi ne è colpito sbaglia se si pone in un atteggiamento passivo, come fare finta di non interessarsi al soprannome o riderci sopra, perché a quel punto sdogana la maldicenza. Sbaglia però anche se reagisce perché pare prendersela per poco o nulla.
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