Mercedes non fa come Ferrari e ora si gode il talento italiano Antonelli

  • Postato il 17 giugno 2025
  • Formula 1
  • Di Virgilio.it
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Nel Circus della F1, dove il tempo è misurato in millesimi e le decisioni pesano più dei podi, c’è un dato che va oltre le prestazioni in pista e affonda nel cuore della cultura sportiva e non solo. L’età dei piloti scelti per il futuro. E allora succede che la scuderia più titolata dell’ultimo decennio, la Mercedes-AMG, affidi uno dei due sedili più ambiti dell’intero paddock a un ragazzo italiano di appena 18 anni, Andrea Kimi Antonelli. Invece, in casa Ferrari, simbolo italiano per eccellenza, si è scelto di puntare su un vincente d’esperienza come Lewis Hamilton che di primavere ne conta ormai quasi 40.

Due strategie opposte, due filosofie e due mondi che sembrano riflettere una verità più profonda sullo stato attuale del nostro Paese.

Il coraggio tedesco

Dopo l’annuncio del passaggio di Hamilton in Ferrari, a Brackley si è aperta una riflessione strategica. Invece di puntare a scegliere un veterano da affincare alla loro prima guida, hanno fatto l’opposto. Hanno guardato dentro la propria Academy e hanno promosso Antonelli. Giovane, italiano, con pochissima esperienza in monoposto a ruote scoperte di vertice.

Kimi si è rivelato tutto quello che una scuderia moderna può desiderare, C’è una buona dose di talento, c’è la giusta maturità rara per l’età, c’è una formazione sportiva rigorosa ma soprattutto c’è la fame agonistica che si percepisce a chilometri. Mercedes ha avuto il coraggio di progettare il domani, oggi.

Un’azzardo? Forse. Magari anche una visione. La stessa che ricordiamo fece nel 2007 la McLaren, con la scelta rivoluzionaria di mettere al volante un esordiente chiamato Lewis Hamilton. Il resto è storia negli annali della F1.

L’eco del sistema Italia

Ferrari, nella scelta della sua seconda guida per quest’ultima stagione, ha optato per un’operazione molto più conservativa, sebbene mediaticamente dirompente. L’ingaggio a sorpresa di Hamilton all’inizio della scorsa stagione fu qualcosa di clamoroso. Parliamo di uno dei piloti più vincenti della storia, un’icona globale, un uomo la cui esperienza e capacità di sviluppo possono essere un valore immenso per Maranello.

Allo stesso tempo parliamo anche di un pilota che, realisticamente parlando, ha davanti a sé gli ultimi GP prima di appendere il casco al chiodo. Una scelta valutata probabilmente meno sul piano tecnico-strategico ma certamente su quello commerciale. Un’operazione simbolica che in effetti aveva riacceso l’entusiasmo del popolo del Cavallino. Ma l’esigenza di quest’ultimo è ben nota e dopo i primi mancati risultati era facilmente prevedibile qualche principio di malumore.

Perché mentre Mercedes si assume il rischio di costruire qualcosa da zero, Ferrari sembra ancora voler affidarsi alla certezza, alla reputazione? In fondo, è lo stesso paradigma che osserviamo nella nostra Italia. Un Paese dove spesso ai giovani si chiede di “fare esperienza” prima ancora di dar loro un’opportunità. Dove la stabilità presunta viene preferita al talento inespresso. D’altra parte c’è da considerare anche il fatto che la Ferrari aveva lavorato bene con la formazione di Charles Leclerc. Nonostante ciò manca sempre quel qualcosa in più.

Che fatica fidarsi dei giovani

In Antonelli, Mercedes ha visto un potenziale e ha deciso di valorizzarlo prima che altri lo facessero. Gli ha dato fiducia e tutti i mezzi per crescere al meglio. Ha creato tutte le condizioni per far sbocciare un talento. La scuderia più celebre d’Italia invece ha preferito affidarsi a una leggenda straniera, per quanto rispettabilissima.

È un racconto che va oltre la F1 e che tocca le radici stesse della nostra società. Di queste situazioni ce ne sono tantissime, l’età media dei manager italiani è la più alta d’Europa. L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è spesso il più tardivo. I cervelli da anni fuggono all’estero. Tutto ciò sembra riflettersi anche nel motorsport. Pochi piloti italiani hanno fatto davvero strada negli ultimi anni. Non per mancanza di talento, ma per carenza di filiere di sostegno, sponsor e coraggio.

Kimi come simbolo

Il paradosso più grande è che il pilota di riferimento futuro della Mercedes sia italiano e che la fiducia arrivi proprio da una scuderia tedesca. È come se il nostro talento dovesse emigrare per essere riconosciuto. Una dinamica che abbiamo visto in diversi ambiti e settori lavorativi. Ora anche in Formula 1.

La speranza è che il debutto di Kimi continui a essere un successo, e che possa ispirare altri giovani italiani, dentro e fuori dalle piste. Ma anche che faccia riflettere il mondo del motorsport di casa, troppo spesso ripiegato su se stesso, ostaggio delle logiche di sponsor e dei “soliti” giri.

Futuro Ferrari

La scelta Ferrari non è comunque priva di logica. In Hamilton ci sono esperienza, carisma, capacità di sviluppo tecnico e un valore mediatico ineguagliabile. Ma cosa ci sarà dopo Hamilton? Chi raccoglierà l’eredità? A oggi, non sembra esserci un giovane italiano nel radar della Rossa. Nessun piano per formare un campione tricolore da portare a vincere in F1. La speranza arriverà quindi da un altro giovane straniero? Oliver Bearman è già stato mandato “a farsi le ossa” senza rischiare.

La Rossa, che un tempo fu casa di Villeneuve, Alesi, Schumacher, oggi rischia di diventare un museo di ricordi impolverati più che una fucina di talenti. E mentre altre scuderie costruiscono piloti o per lo meno ci provano, Maranello acquista fuoriclasse.

Visione e rischio

In uno sport che cambia a velocità vertiginosa, serve coraggio. Quello di guardare e immaginare il futuro prima degli altri. Quello di credere nei giovani, anche quando non hanno ancora tutto sotto controllo. Mercedes lo ha fatto con Antonelli. L’Italia, per ora li osserva.

Forse è tempo che anche nel nostro sistema sportivo e non solo, qualcuno abbia il coraggio di rompere gli schemi. Di credere nei ventenni non solo come ottime riserve, ma come protagonisti veri e propri. Qualcuno abbia il coraggio di osare, perché il talento italiano, quando ha spazio, diventa eccellenza. Ma se resta nel paddock, non vincerà mai nessun GP.

Da italiani, non possiamo che tifare per Kimi Antonelli. Non solo perché è bravo ma perché, in fondo, ogni suo sorpasso sarà anche un piccolo riscatto per tutti quei giovani a cui oggi viene ancora chiesto di “aspettare ancora il proprio turno”. Un turno che, spesso però non arriva mai.

Autore
Virgilio.it

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