Non ci si può dire antifascisti senza essere anticapitalisti: il monito di Brecht vale ancora oggi
- Postato il 25 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Qualche tempo fa, a una tavola rotonda su Bertolt Brecht a Ravenna mi venne di rivolgere una domanda un po’ provocatoria al pubblico. Dissi: per i progressisti, per la sinistra, proclamarsi antifascisti è ovviamente una cosa normale, tutti o quasi lo farebbero, credo. Ma quanti di loro, diciamo pure quanti di noi, sarebbero in grado oggi di definirsi anticapitalisti? Pochi, pochissimi (come ha confermato il recente “caso” del Manifesto di Ventotene). E’ in questa differenza – concludevo la provocazione – che si annida una delle ragioni profonde della crisi della Sinistra oggi.
L’idea mi era venuta leggendo per strada una scritta a grandi caratteri decisamente inconsueta: “Ravenna anticapitalista”. Ma in realtà la questione è antica e proprio Brecht l’aveva affrontata con grande lucidità negli anni Trenta dominati dall’avanzata del nazifascismo, che lo costrinse all’esilio poco dopo l’arrivo al potere in Germania di Hitler, nel 1933. La convinzione che, nella lotta politica da intraprendere, non si dovesse mai scindere l’opposizione al fascismo da quella al capitalismo diventa un leit-motiv quasi ossessivo del drammaturgo di Augusta.
Dal 21 al 25 giugno del 1935 si tenne a Parigi il I Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura. Era stato convocato per creare un movimento d’opinione e d’azione internazionale di scrittori e intellettuali contro il nazifascismo ma finì in un nulla di fatto per l’emergere di posizioni inconciliabili sul comunismo e i rapporti con l’Unione Sovietica di Stalin.
Decisamente a favore del comunismo e quindi anche dell’alleanza con l’Urss (va precisato che della violenta deriva autoritaria del regime di Stalin, molto poco si sapeva fuori allora dalla Russia) fu l’intervento di Brecht, che esortò più volte gli intellettuali ad abbandonare la loro torre d’avorio e a riflettere “sulle radici del male”, rappresentate dai “rapporti di proprietà”: “Non parliamo soltanto per la cultura! Si abbia pietà della cultura, ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando sono salvi gli uomini. […] Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà!”.
Tre mesi prima, egli aveva pubblicato un testo che costituisce il riferimento fondamentale sulla questione: Cinque difficoltà per chi scrive la verità (lo si trova negli Scritti sulla letteratura e sull’arte pubblicati da Einaudi nel 1973). E’ forse il più bello e potente fra gli i suoi testi extrateatrali.
Inutile sottolineare la straordinaria attualità di questo scritto brechtiano in un’epoca di post-verità e di fake news. Ma il punto chiave sul quale voglio soffermarmi si trova nel terzo paragrafo (L’arte di rendere la verità maneggevole come un’arma). Qui, dovendo fare l’esempio di “una verità da cui non si possono trarre conclusioni, o soltanto conclusioni sbagliate”, cita “l’opinione largamente diffusa secondo la quale le condizioni deplorevoli in cui versano certi paesi derivano dalla barbarie. Tale opinione vede nel fascismo un’ondata di barbarie che si è abbattuta su certi paesi come una catastrofe naturale”.
Di fronte a questo tentativo di separare fascismo e capitalismo, Brecht è perentorio: “Il fascismo è una fase storica in cui è entrato il capitalismo […]. Nei paesi fascisti il capitalismo non esiste se non come fascismo e il fascismo non può essere combattuto se non come capitalismo, come la forma più nuda, più sfacciata, più oppressiva e ingannevole del capitalismo”.
La conclusione sul punto è memorabile: “Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. […] Non sono contro i rapporti di proprietà che generano la barbarie, ma solo contro la barbarie”.
A mio parere, il ragionamento di Brecht resta un monito anche per l’oggi. Cosa pensare infatti di una Sinistra che pretenderebbe di sconfiggere i neofascismi e neonazismi dilaganti senza osare di mettere minimamente in discussione il totem del capitalismo, quasi fosse ormai un “dato di natura” immodificabile? Lui, lo abbiamo visto, ne avrebbe pensato tutto il male possibile. E anche il sottoscritto, nel suo piccolissimo.
L’incontro da cui sono partito si è tenuto il 24 aprile 2024 in occasione della replica ravennate di Santa Giovanna dei Macelli, di Bertolt Brecht, regia di Davide Sacco e Agata Tomšič (ErosAntEros). Il testo di Brecht sulle Cinque difficoltà (versione scenica di e con Agata Tomšič) è nel repertorio di ErosAntEros da oltre dieci anni, con il titolo Sulla difficoltà di dire la verità.
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