Non possiamo chiamarli veggie burger? Usiamo il nome giusto: ‘poltiglia’

  • Postato il 9 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La mia avversione verso i veggie burger l’avevo già espressa cinque anni fa. Le ragioni sono diverse.

1. Linguistica. Se chiamiamo sedia una sedia che serve per sedersi, è innaturale chiamare “sedia” un ammasso di chiodi: su una sedia di chiodi solo un fachiro si può sedere comodamente. Così è per le parole “burger”, “salsiccia”, “latte”, “uova”: la maggioranza delle persone per salsiccia intende un preparato di carne insaccata e speziata; per latte intende il prodotto animale. Possiamo discutere su come evolvono le parole, ma non è ragionevole cancellare il significato comune per comodità commerciale (il Parlamento europeo mercoledì ne ha vietato l’uso). Non lasciamo che anche queste battaglie lessicali dividano ulteriormente il campo del progresso civile.

2. Salute e ingredienti. Cinque anni fa segnalavo che alcuni prodotti come i burger “vegetali” contengono decine o centinaia di ingredienti e additivi (Beyond Meat e affini). Dal punto di vista nutrizionale, un alimento poco processato e con pochi ingredienti è in genere preferibile a uno altamente trasformato. Le calorie non sono l’unico parametro: le proteine animali hanno un profilo diverso e, soprattutto, molti prodotti vegetali ultra-processati non sostituiscono in nessun modo il beneficio di una dieta ricca di legumi, cereali integrali, verdure fresche. Pasta e fagioli, per esempio, sono un piatto molto più sano rispetto a un hamburger industriale e, spesso, anche rispetto a un veggie burger.

3. Effetto sulla cultura alimentare. La proliferazione di prodotti che scimmiottano la carne rischia di consolidare abitudini di consumo sbagliate: invece di promuovere un’educazione alimentare reale (più legumi, cereali integrali, verdure fresche, meno prodotti processati), si favorisce la ricerca della “sostituzione facile” — trovare un prodotto che riproduca la cotoletta o l’hamburger, evitando il lavoro di cambiare gusti e abitudini. Questo non aiuta la diffusione autentica di diete basate su vegetali.

Io non sono vegetariano, sono onnivoro, ma sono consapevole dei rischi legati a un consumo massiccio di proteine animali: ci sono molte ricerche che associano diete molto ricche di carne e insaccati a rischi maggiori di alcune malattie, incluso il cancro (vedi gli interventi e gli studi citati da medici come Franco Berrino e molte altre ricerche epidemiologiche). Per questo consumo carne e insaccati in modo frugale — di fatto una volta alla settimana — e cerco di privilegiare prodotti provenienti da allevamenti non intensivi.

Conclusione: non demonizzo chi sceglie prodotti vegetali, ma invito a non illudersi che i “veggie burger” siano automaticamente salutari o educativi. Impegniamoci per una vera educazione alimentare: riduciamo il consumo di carne e derivati, preferiamo prodotti di qualità e pratiche d’allevamento sostenibili, e aumentiamo il consumo di legumi, cereali integrali e verdure fresche piuttosto che cercare soluzioni facili e ultraprocessate. Informatevi e scegliete consapevolmente.

Alla fine non vengono messi al bando dalla Ue i veggie burger, chi vuole continuare a mangiarseli potrà farlo. Liberi di scegliere ma senza fraintendimenti lessicali. Se permettete io ho il nome perfetto “poltiglia” .

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Il Fatto Quotidiano

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