Non solo plastica, anche i farmaci contribuiscono ad inquinare l’ambiente marino

  • Postato il 22 aprile 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Fondazione Marevivo

L’inquinamento da farmaci è un fenomeno silenzioso, ancora poco conosciuto, che sta rapidamente emergendo come una delle sfide ambientali più urgenti del nostro tempo. Sono oltre13.000 i farmaci potenzialmente rilasciati nell’ambiente e più di 600 quelli rintracciati nelle acque di tutto il mondo, con poche informazioni su quali siano le conseguenze per gli organismi acquatici. Ma in che modo farmaci come antinfiammatori, anticoncezionali, antibiotici, raggiungono gli ambienti naturali?

Le case, gli ospedali, le industrie e gli allevamenti sono le principali fonti attraverso le quali finiscono negli ecosistemi. I farmaci vengono eliminati dal nostro corpo sia sotto forma di metaboliti che come principi attivi originali, e attraverso le acque reflue raggiungono gli impianti di depurazione, i quali spesso non risultano efficaci nel trattenere questi composti che si riversano inevitabilmente negli ambienti acquatici.

Il Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche coordina il progetto europeo PharmaSea e una specifica Azione PNRR, all’interno del Centro Nazionale di Biodiversità (NBFC), con l’obiettivo di caratterizzare la presenza dei farmaci lungo le coste europee e, in particolar modo, nel Mediterraneo per rilevare il loro accumulo negli organismi e i potenziali effetti tossicologici. Le analisi effettuate hanno dimostrato la presenza frequente di numerosi principi attivi nell’acqua e in molte specie come mitili, vongole, merluzzi, sogliole. Secondo i ricercatori, i livelli misurati sono di molto inferiori a quelli utilizzati nel dosaggio umano, ma possono rappresentare un serio pericolo per gli organismi acquatici, costantemente esposti a tali sostanze. Gli effetti tipici sono quelli a carico del sistema immunitario, del metabolismo lipidico e dello stress ossidativo.

Uno studio recente dell’Università di Pisa ha analizzato la circolazione dell’ibuprofene e il suo consumo (in rialzo dopo la pandemia) riscontrando che, pur non influenzando la crescita delle piante, la presenza di questo farmaco in mare ha causato alterazioni fisiologiche sulle angiosperme (piante marine) che variavano in gravità a seconda del grado di concentrazione. Se pensiamo che ogni anno il consumo di ibuprofene a livello globale supera le 10mila tonnellate, oggi più che mai è necessario progettare tecnologie all’avanguardia in grado di depurare le acque reflue ed evitare ulteriori contaminazioni.

Poche volte si riflette sul destino di queste sostanze una volta assunte, ipotizzando inconsapevolmente che la loro vita si esaurisca con il passare del mal di testa. I farmaci, composti da molecole attive per essere efficaci sull’uomo a basse dosi, continuano invece a svolgere la loro funzione anche nelle specie acquatiche. Gli organismi entrano in contatto con una moltitudine di farmaci, che sono veri e propri cocktail di principi attivi, la cui combinazione in terapia umana è spesso sconsigliata. Tra questi, ci sono anche gli anticoncezionali spesso presenti nelle acque di fiumi e laghi con ripercussioni sullo sviluppo sessuale della fauna ittica, come dimostrato da diversi studi.

Considerato che è alquanto improbabile poter contrastare gli effetti della dispersione dei farmaci sull’ambiente proponendo di ridurne la produzione o il consumo, per arginare il fenomeno si potrebbe stimolare una transizione scientifica, tecnologica e culturale. Si potrebbero stimolare nuovi farmaci tanto efficaci quanto rispettosi dell’ambiente, prescrivere e consumare medicinali più sostenibili, prestare maggiore attenzione al corretto smaltimento in ambito domestico e implementare tecnologie di trattamento delle acque reflue per rimuoverne più efficacemente i residui. Soluzioni che possono non porre del tutto rimedio al problema, ma che certamente contribuirebbero a tutelare meglio l’ecosistema marino.

I rischi per l’ambiente, l’impatto sulla biodiversità e gli effetti sulla salute umana sono aspetti cruciali su cui l’Unione Europea ha concentrato molti degli investimenti destinati alla ricerca scientifica, in linea con l’approccio One Health e riconoscendo l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale. Una connessione più volte ribadita da Marevivo, che da anni anche con campagne come “Only One: One Planet, One Ocean, One Health” cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla stretta correlazione tra salute dell’uomo e del Pianeta e sulla necessità di avviare la transizione ecologica.

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Il Fatto Quotidiano

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