Obiettivo sharia: come i Fratelli Musulmani mirano a trasformare la Francia

  • Postato il 22 maggio 2025
  • Di Panorama
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Mentre Emmanuel Macron si concentra sull’Ucraina e sul conflitto a Gaza, criticando quotidianamente Israele, la Francia affronta numerose crisi interne, tra cui quella legata all’islam radicale promosso dalla Fratellanza musulmana. Un recente rapporto dell’intelligence francese, lungo oltre 70 pagine, delinea un quadro allarmante: il Paese sarebbe infiltrato da una rete ben organizzata della Fratellanza, che ha costruito una «rilevante infrastruttura di insediamenti». Secondo il dossier, «sono stati individuati sul territorio nazionale 139 luoghi di culto riconducibili ai Musulmani di Francia», ritenuti «la principale espressione della Fratellanza in Francia», sebbene gli interessati neghino ogni legame. A questi si aggiungono altri 68 siti di preghiera «considerati vicini alla federazione», distribuiti in 55 dipartimenti. «Ciò corrisponde al 7% dei 2.800 luoghi di culto musulmani registrati nel Paese, e al 10% di quelli aperti tra il 2010 e il 2020 (45 su 447)», specificano gli autori del documento, che stimano una «frequenza media di circa 91.000 fedeli ogni venerdì» nelle moschee affiliate o vicine al movimento. Anche se «la Federazione dei Musulmani di Francia dichiara attualmente di essere legata a sole 53 associazioni», il rapporto – reso pubblico dopo essere stato declassificato – sostiene che «le informazioni in possesso dei servizi indicano l’esistenza di circa 280 associazioni riconducibili al movimento, attive in numerosi ambiti della vita comunitaria musulmana, inclusi quelli religiosi, educativi, caritatevoli, professionali, giovanili e persino finanziari». Il «nucleo interno» della rete, ovvero il cosiddetto «zoccolo duro» che sarebbe disposto a «prestare giuramento» alla leadership dell’organizzazione, viene stimato dagli «osservatori più informati» in «circa 400 persone, con un massimo che non supererebbe le 1.000 unità».

Il bilancio annuale dell’organizzazione Musulmani di Francia «si aggirerebbe attorno ai 500.000 euro», dimezzato rispetto a cinque anni fa. Gli analisti collegano il calo di risorse alla mancata organizzazione del tradizionale raduno di Le Bourget, che nei primi anni 2010 attirava oltre 100.000 partecipanti, con forti ricadute sulle finanze. Grazie ai «fondi di dotazione» utilizzati «in modo massiccio a partire dalla fine degli anni 2000» e al supporto dello SCI, «i progetti dei Musulmani di Francia hanno ricevuto, fino al 2019, finanziamenti esteri provenienti dal Qatar», si legge nel documento. Tra le località coinvolte figurano Strasburgo, Mulhouse, Villeneuve-d’Ascq, Schiltigheim, Lille, Marsiglia e varie moschee della Seine-Saint-Denis. Inoltre, si segnala che «fondi provenienti dall’Arabia Saudita» sarebbero stati impiegati per sostenere una struttura a Mulhouse e l’Istituto Europeo di Scienze Umane (IESH), specializzato nell’insegnamento della lingua araba e nello studio del Corano. Come riporta Le Figaro, la Fratellanza Musulmana in Francia dispone di una rete ben strutturata composta da scuole religiose, fondazioni caritative attive e un’influente cerchia di predicatori. «Il comparto educativo appare come l’assoluta priorità del ramo francese della Fratellanza Musulmana, in misura tale da distinguerlo dalle sue controparti negli altri Paesi europei», evidenzia un rapporto dei servizi, secondo cui a settembre 2023 erano «stati censiti 21 istituti riconducibili al movimento della Fratellanza – 18 in modo diretto e tre ritenuti vicini – per un totale di 4.200 alunni iscritti nell’anno in corso». Il documento sottolinea inoltre che «solo cinque scuole musulmane hanno siglato un contratto di associazione con lo Stato», e che «tre di queste fanno capo alla Federazione nazionale dell’insegnamento privato musulmano (Fnem)».

Particolare attenzione viene dedicata al caso del liceo Averroès di Lille, definito nel dossier come «la punta di diamante dell’istruzione musulmana in Francia». L’istituto è stato oggetto di un’indagine della Corte regionale dei conti, che ha rilevato «finanziamenti irregolari ottenuti tramite prestiti poi annullati, erogati da moschee vicine e dal centro islamico di Villeneuve-d’Ascq», quest’ultimo sostenuto economicamente da Kuwait, Qatar ed Egitto. L’audit ha inoltre evidenziato «serie lacune nelle risorse didattiche offerte agli studenti» e la presenza nei programmi scolastici di contenuti giudicati «in contrasto con i principi repubblicani». Tra questi figurano gli scritti dell’Imam Hassan Iquioussen – esponente della Fratellanza Musulmana, inserito nella lista “Fiche S” (individui pericolosi per la sicurezza dello Stato) e rimpatriato in Marocco – e i «quaranta hadith dell’Imam An-Nawawi», che promuovono «la separazione rigida tra uomini e donne, il divieto per le donne di essere visitate da medici di sesso maschile, la condanna a morte per apostasia e la superiorità delle leggi divine su quelle civili». Nell’incessante tentativo di ottenere «legittimazione e rispettabilità», la Fratellanza Musulmana opera sotto molte forme, con l’obiettivo di costruire veri e propri ecosistemi paralleli. A partire dagli anni ’80, il movimento ha cercato di radicarsi nel quadro legale dell’ex UOIF – Unione delle organizzazioni islamiche in Francia – che, secondo quanto riportato dal dossier, «dichiara soltanto una parte delle sue attività e delle associazioni affiliate, al fine di ridurre il controllo esercitato dalle autorità francesi sull’effettiva ampiezza del movimento».

Gli estensori del documento, dotati di conoscenze approfondite, parlano di una «struttura doppia», dove l’architettura ufficiale viene affiancata da un «consiglio direttivo islamico», riservato agli iniziati e incaricato di definire la linea strategica dell’organizzazione. Facendo del velo islamico il simbolo della «difesa della religione in un contesto laico e secolarizzato», soprattutto a partire dalla vicenda delle ragazze velate del liceo di Creil nel 1989, il movimento si è poi attivato per la «creazione di un comparto halal» e per la «diffusione della finanza islamica». Secondo il rapporto, «questi argomenti restano elementi di identificazione per una parte dei musulmani di Francia e continuano a emergere in certi ambiti». Viene inoltre sottolineato come la questione dell’«islamofobia» (fenomeno inventato a tavolino), accompagnata da una narrativa di vittimizzazione, sia tuttora molto presente nel lavoro delle associazioni locali. Mentre la comunicazione ufficiale dell’UOIF, e successivamente della Federazione dei musulmani di Francia, ha evitato esplicitamente di evocare la cosiddetta «islamofobia di Stato», lasciando questo terreno all’ex Collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF), il dossier mette in evidenza i frequenti appelli all’«impegno nella vita collettiva e pubblica al fine di affermare un’identità musulmana».

La strategia di infiltrazione nelle istituzioni

Il movimento, conclude il documento, sta progressivamente raffinando la propria immagine per ottenere il gradimento delle istituzioni, in particolare del Ministero dell’Interno, arrivando perfino ad aderire al Consiglio francese del culto musulmano (CFCM). L’ultimo elemento determinante, si legge nel rapporto, è rappresentato dal «conflitto israelo-palestinese, fonte costante di antisionismo e, sempre più spesso, di un antisemitismo esplicito». Questo scontro agirebbe come un «catalizzatore dell’antisionismo storicamente sostenuto dalla Fratellanza Musulmana», che si sarebbe progressivamente trasformato in un sentimento apertamente antisemita all’interno del movimento. Tale mutazione troverebbe alimento in «narrazioni cospirazioniste, nella confusione tra Israele e l’ebraismo in senso lato, nella costruzione di un’identità musulmana presentata come inconciliabile con quella ebraica – richiamando l’antigiudaismo islamico – e in un’idea di ostilità intrinseca tra ebrei e musulmani».In Francia, osservano gli analisti, «l’antisemitismo continua a emergere nel linguaggio di alcuni membri del movimento». «Dagli attacchi del 7 ottobre», sottolinea il dossier, si è registrata «un’impennata nelle espressioni di antisionismo in alcune moschee», fenomeno alimentato dalla «rabbia suscitata dall’elevato numero di vittime civili nelle rappresaglie israeliane su Gaza».Un esempio citato riguarda la moschea di Massy, nel dipartimento dell’Essonne, dove – secondo fonti ben informate – sarebbero stati invitati «predicatori e oratori con posizioni apertamente antisioniste» per affrontare il tema del conflitto in Palestina. Durante uno di questi interventi, un ex ministro palestinese avrebbe dichiarato pubblicamente: «Io sono Hamas», ricevendo applausi da parte dei fedeli presenti. Forse Emmanuel Macron dovrebbe occuparsi di questo invece che sposare le tesi degli odiatori di Israele. Ma di tutto ciò, un giorno, la storia gli chiederà conto.

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Panorama

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