“Ostili alla famiglia tradizionale e anticristiani”: gli americani “pericolosi” per Trump. Così l’ordine Antifa ha aperto alla repressione del dissenso

  • Postato il 3 ottobre 2025
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La scansione degli eventi lascia pochi dubbi. Lunedì 22 settembre Donald Trump firma un ordine esecutivo in cui dichiara Antifa “organizzazione terroristica interna”. Dopo tre giorni, il presidente pubblica una direttiva sulla sicurezza nazionale che, nelle parole di uno dei suoi consiglieri più ascoltati, Stephen Miller, punta a creare “un coordinato sforzo governativo per smantellare l’ala sinistra del terrorismo”. Quando gli chiedono chi sono quelli che finanziano “l’ala sinistra del terrorismo”, Trump fa due nomi: George Soros e Reid Hoffman (co-fondatore ed ex chairman di Linkedin). Ancora due giorni e Trump annuncia su “Truth Social” di aver autorizzato il “segretario alla Guerra Pete Hegseth” – carica che in realtà non esiste, quella legale e riconosciuta è “segretario alla Difesa” – di “mettere a disposizione tutte le truppe necessarie per proteggere Portland, devastata dalla guerra, e tutte le strutture dell’ICE sotto assedio a causa degli attacchi di Antifa e altri terroristi interni”. La città dell’Oregon, che non pare “devastata” da alcuna guerra, si unisce quindi agli altri grandi centri urbani – Washington D.C., Los Angeles, Chicago, Memphis – i cui cittadini si sono dovuti abituare a qualcosa di completamente inconsueto per la società americana: l’esercito chiamato a presidiare le strade delle città.

La scansione degli eventi lascia appunto pochi dubbi. L’amministrazione Usa sta preparando operazioni di repressione violenta del dissenso. Quella che però all’inizio della settimana scorsa si profilava come un’azione limitata ai gruppi della sinistra radicale, mostra ora ben altra ampiezza e pare coinvolgere chiunque dissenta o si trovi all’opposizione rispetto a questa amministrazione. Vediamo perché. All’uscita dell’ordine esecutivo su Antifa, molti commentatori hanno giustamente messo in evidenza gli errori fattuali e le debolezze legali del testo. Antifa non è infatti un gruppo organizzato, con un vertice, una struttura, sedi, conti correnti, iscritti. Antifa è una sigla che comprende movimenti e singoli che si richiamano genericamente all’antifascismo e che si sono in questi anni trovati a combattere battaglie comuni: da Black Lives Matter all’attivismo climatico alla difesa dei diritti dei migranti. Anche se Antifa fosse un gruppo organizzato, l’ordine di Trump presenterebbe comunque un problema. Negli Stati Uniti, non è possibile designare un gruppo interno, americano, come “organizzazione terroristica”. Legalmente, l’etichetta di “terrorismo” può essere applicata solo a organizzazioni estere.

È per questo che molti analisti di cose legali hanno subito rilevato che l’ordine di Trump potrebbe essere facilmente impugnato e annullato da un tribunale. Il punto qui è però un altro. A tre giorni da quell’ordine, la Casa Bianca ha emesso una direttiva sulla sicurezza nazionale che precisa e dà mezzi ben più potenti all’amministrazione. Mentre un ordine esecutivo definisce infatti pubblicamente il corso delle operazioni quotidiane del governo federale, una direttiva sulla sicurezza nazionale è decreto di più ampia portata ed è mirato espressamente agli apparati di polizia, dell’esercito, dell’intelligence, della politica estera. È questo carattere così legato ai temi più sensibili della sicurezza nazionale ad aver consigliato di mantenere la segretezza su molte direttive del passato. Rimase per lungo tempo segreta la “Top Secret Presidential Directive 59” emessa da Jimmy Carter nel 1980, che stabiliva le nuove politiche in tema di conflitto nucleare. E con una serie di direttive, anche queste classificate, George W. Bush ordinò dopo l’11 settembre la strategia antiterrorismo. Fu una direttiva del presidente repubblicano ad autorizzare le intercettazioni della National Security Agency, più tardi giudicate illegali.

La direttiva trumpiana del 25 settembre – designata NSPM-7, “Countering Domestic Terrorism and Organized Political Violence” – appare modellata proprio su quelle contro Al Qaeda e gli altri gruppi della War on Terror. Essa ordina al Dipartimento di Giustizia, all’Fbi, alle agenzie alla sicurezza nazionale di “bloccare” singoli o gruppi “che fomentano la violenza politica”, anche “prima che questi adottino atti politici violenti”. Tra gli “indicia”, come vengono definiti nella direttiva, tra gli “indicatori” che a giudizio dell’amministrazione possono essere considerati potenzialmente pericolosi, e forieri di violenza, ci sono: l’antiamericanismo, l’anticapitalismo, l’anticristianesimo, il sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti, l’estremismo sull’immigrazione, l’estremismo sulle questioni di genere e di appartenenza razziale, l’ostilità verso coloro che hanno una visione tradizionale della famiglia, della religione, della moralità americane.

Come si vede, lo spettro di idee e comportamenti che le autorità americane possono a questo punto indagare, ed eventualmente bloccare con operazioni di ordine pubblico, è molto più vasto del semplice “antifascismo”. Chi si oppone alle politiche di questa amministrazione e le definisce “autoritarie” – lo hanno fatto e continuano a farlo molti democratici, tra questi soprattutto il governatore della California Gavin Newsom – potrebbero essere oggetto di provvedimenti limitativi delle loro libertà. Chi contesta le operazioni anti-immigrazione dell’ICE, giudicandole non in linea con la storia degli Stati Uniti, con i suoi principi fondativi e valori, potrebbe a sua volta essere tacciato di “antiamericanismo” e quindi perseguito. Quanto alla “famiglia americana tradizionale” di cui si parla nella direttiva: una coppia omosessuale può essere definita “tradizionalmente americana”? L’ordine esecutivo contro Antifa è stato dunque una sorta di cuneo che ha aperto la strada a qualcosa di ben più vasto e potenzialmente pericoloso. Un’operazione di criminalizzazione del dissenso che ha pochi precedenti nella storia americana.

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